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Realtà Virtuale e Dismorfismo corporeo: indagine sui bias cognitivi

La realtà virtuale può essere uno strumento utile per facilitare in vivo la correzione delle disfunzioni cognitive alla base del dismorfismo corporeo

Di Marianna Lucibello

Pubblicato il 09 Feb. 2023

L’American Psychiatric Association (APA, 2013) definisce il disturbo di dismorfismo corporeo come una preoccupazione per il proprio aspetto fisico, in particolare per difetti o imperfezioni, spesso lievi o inosservabili dall’esterno.

 

 Questa preoccupazione è significativamente invalidante e comporta una compromissione di diverse aree del funzionamento, come quella sociale e lavorativa. Perché possa essere fatta diagnosi, l’individuo deve aver mostrato comportamenti ripetitivi o azioni mentali conseguentemente ad essa. All’interno del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-5; APA, 2013), il Disturbo di Dismorfismo Corporeo è collocato nello spettro dei Disturbi Ossessivi. Se non trattato precocemente, può comportare problematiche nella vita quotidiana nonché l’esacerbazione di disturbi concomitanti come la depressione maggiore, il disturbo ossessivo compulsivo, la fobia sociale e disturbi alimentari, come l’Anoressia Nervosa. La terapia più utilizzata comprende un intervento sia farmacologico che psicoterapico, finalizzato alla desensibilizzazione allo stimolo trigger mediante l’esposizione; inoltre, con il progredire degli strumenti tecnologici, ha iniziato a crescere l’interesse verso l’utilizzo della realtà virtuale, la quale offre interessanti novità per fronteggiare le problematiche legate al corpo.

L’utilizzo della Realtà Virtuale (VR)

Secondo quanto riportato in letteratura, gli individui affetti da dismorfismo corporeo interpretano negativamente e in modo minaccioso le informazioni sociali ambigue. Queste inferenze mantengono la sintomatologia e la compromissione a livello psicologico e sociale, rafforzando l’immagine distorta di sé. Conseguentemente, questi bias interpretativi maladattivi costituiscono un target del trattamento terapeutico; ciononostante, secondo Summers e colleghi (2021), i protocolli di intervento che li coinvolgono sono limitati.

Per quanto riguarda l’utilizzo della realtà virtuale, secondo gli studi condotti da Porras-Garcia e colleghi (per esempio, Porras-Garcia et al., 2020), le procedure basate su di essa potrebbero offrire numerose novità per fronteggiare diverse problematiche legate al corpo. Infatti, questa tecnologia è considerata promettente come approccio esperienziale sia alla valutazione che alla comprensione e al trattamento di numerosi disturbi psichiatrici. La letteratura esistente sull’utilizzo della realtà virtuale afferma che i trattamenti svolti in questo setting artificiale si traducono in cambiamenti considerevoli in situazioni reali (Morina et al., 2015), perciò è ipotizzabile che essa possa essere uno strumento di intervento utile anche per pazienti affetti da dismorfismo corporeo e che possa facilitare in vivo la correzione delle disfunzioni cognitive alla base di questo disturbo.

Uno studio su dismorfismo corporeo e realtà virtuale

 Tuttavia, nonostante i risultati positivi, non è ancora stata particolarmente utilizzata con pazienti affetti da questo disturbo; perciò, Summers e colleghi (2020), hanno svolto uno studio con l’ausilio della realtà virtuale avente tre obiettivi: il primo era comprendere se i partecipanti affetti da dismorfismo corporeo mostrassero maggiore approvazione delle interpretazioni di minaccia legate all’aspetto e minore approvazione delle interpretazioni benigne rispetto ai controlli sani, attraverso misure consolidate e nuove scene esperite in realtà virtuale; il secondo era quello di osservare se vi fossero distinzioni per quanto concerne il disagio negli ambienti simulati tra i due gruppi, ipotizzando che i soggetti affetti dal disturbo esperissero maggiore minaccia, angoscia, propensione a cercare di controllare gli stimoli trigger o evitamento; il terzo obiettivo era quello di verificare la fattibilità, accettabilità e utilizzabilità della realtà virtuale all’interno della popolazione affetta dal disturbo.

I risultati ottenuti dagli autori hanno mostrato come rispetto ai controlli non psichiatrici i partecipanti mostrassero maggiori bias di minaccia legati all’aspetto fisico. Inoltre, grazie a questo studio, è stato possibile ampliare le conoscenze sui bias cognitivi, mostrando che quelli maladattivi di interpretazione della minaccia, caratteristici del disturbo da dismorfismo corporeo, possono essere stimolati e valutati in modo efficace e in vivo attraverso la realtà virtuale. I partecipanti hanno valutato l’esperienza con la realtà virtuale come accettabile, coinvolgente, realistica e simile ad esperienze pregresse; inoltre, hanno riportato di percepire un senso di presenza nell’ambiente di simulazione virtuale.

Considerazioni conclusive

Secondo gli autori, nonostante la ricerca sul presente argomento necessiti un ampliamento, sembra che la realtà virtuale possa rappresentare un mezzo con maggior validità ecologica per misurare gli stili interpretativi maladattivi rispetto alle valutazioni tradizionali. Sebbene gli obiettivi della Dott.ssa Summers e colleghi (2021) fossero primariamente focalizzati sulla valutazione dei bias interpretativi, il loro studio potrebbe portare anche a valutazioni più ampie per nuove implicazioni terapeutiche.

In conclusione, sarebbero necessari studi di approfondimento sul possibile utilizzo della realtà virtuale nel trattamento del dismorfismo corporeo, ponendo particolare attenzione ai bias cognitivi che ne sostengono la sintomatologia.

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