expand_lessAPRI WIDGET

Vulvodinia: tra causa e trattamento – FluIDsex

La vulvodinia è patologia diffusa, con stime che vanno dal 10% al 28%, ma rimane ancora poco compresa, poco riconosciuta e poco trattata

Di Greta Riboli, Laura Vecchiati, Rosita Borlimi, fluIDsex

Pubblicato il 16 Nov. 2022

La vulvodinia è una patologia caratterizzata da dolore o fastidio cronico nella regione della vulva per la durata di almeno tre mesi, senza che sia riscontrata alcuna causa eziologica.         

 

Come si manifesta la vulvodinia?

I sintomi possono essere descritti come una sensazione di prurito, bruciore, puntura, irritazione o trafittura, e possono coinvolgere l’intera vulva (vulvodinia generalizzata) o essere localizzati in alcune porzioni dei genitali come il clitoride (clitorodinia) o il vestibolo della vagina (vestibolodinia).

Allo stesso modo, a seconda che vi sia o meno un fattore scatenante, la vulvodinia può essere provocata (ad esempio dal posizionamento di un tampone, o da un rapporto sessuale), non provocata o mista.

Sulla base della sua insorgenza si divide in primaria (se causata dallo sfioramento o dal contatto con uno stimolo) o secondaria (se insorge spontaneamente), e può anche essere classificata in: intermittente, persistente, costante, immediata o ritardata, dipendentemente dalla frequenza con cui si presenta (Vasileva et al., 2020).

Si tratta di una patologia diffusa, con stime che vanno dal 10% al 28% nelle donne in età riproduttiva della popolazione generale. Secondo uno studio pubblicato di recente (Harlow et al., 2014), l’8% delle donne di età compresa tra i 18 e i 40 anni ha riferito una storia di dolore vulvare che persiste da più di 3 mesi, e che ha come conseguenza rapporti sessuali dolorosi (dispareunia). I ricercatori hanno anche rilevato che presentano una maggiore probabilità di svilupparne i sintomi le donne caucasiche (principalmente quelle di origine ispanica) rispetto a quelle di altre etnie (Pukall et al., 2016).

Il segno cardinale per effettuare la diagnosi di vulvodinia è una significativa sofferenza esperita a seguito del test di pressione puntuale apportato con un bastoncino di cotone in uno schema circonferenziale intorno al vestibolo vulvare. Questo inoltre aiuta a mappare la localizzazione e la gravità del dolore vestibolare, che, le pazienti, proveranno in maniera sproporzionata una volta esercitata la pressione attraverso il tocco del tampone (Harrison, 2017).

Sono numerosi i fattori connessi a questa patologia, e comprendono molti sintomi diversi e frequenti comorbidità nell’area pelvica, come le sindromi dolorose urologiche o coloproctologiche, la sindrome dolorosa associata all’endometriosi e la sindrome dell’intestino irritabile. Queste si espandono anche ad aree meno limitrofe, lontane dai genitali, come nel caso del dolore orofacciale e della fibromialgia, un dolore muscolo-scheletrico diffuso che comporta affaticamento. La loro associazione suggerisce che la vulvodinia sia l’espressione di processi fisiopatologici sottostanti simili (Torres-Cueco e Nohales-Alfonso, 2021).

Vulvodinia e psicopatologia

Nelle donne vittime di questa condizione è stata inoltre riscontrata un’ampia gamma di disturbi psicologici, tra cui somatizzazione, disturbi ossessivo-compulsivi, depressione, ansia e sintomi fobici, con conseguenti sensibilità interpersonali, ostilità, paranoia e un peggioramento generale della qualità di vita.

Non è chiaro se questi disturbi siano la causa o la conseguenza della patologia (Tribó et al., 2020), ciò che risulta però evidente, è il profondo disagio psicologico esperito da chi ne soffre.

Le pazienti riferiscono infatti di provare bassa autostima, paura, frustrazione, un’immagine di sé alterata, senso di inadeguatezza, senso di colpa, vergogna e depressione (la quale varia dal basso umore fino a raggiungere livelli clinici che richiedono l’assunzione di psicofarmaci; Buchan et al., 2007). Tuttavia, queste difficoltà non sono determinate esclusivamente dall’esperienza del dolore o dall’incapacità di avere rapporti sessuali in sé, ma piuttosto sono il risultato di narrazioni e ideologie sociali che contribuiscono in larga misura alle esperienze psicologiche negative delle donne con vulvodinia. Per esempio, Marriott e Thompson (2008) hanno affermato che le pazienti provano vergogna a causa dello stigma sociale, delle valutazioni che fanno parenti, amici e partner circa la malattia, così come a causa del fatto che percepiscono di essere giudicate come anormali, o “diverse” (Shallcross et al., 2018).

Le teorie sulla comparsa di questa condizione sono molteplici e l’eziologia è ancora sconosciuta, sebbene sia riconosciuta come multifattoriale.

Eziologia della vulvodinia

Analizzando la patologia da un punto di vista organico, è innanzitutto possibile, a livello locale, parlare di un fattore scatenante primario che provoca un’infiammazione, o un trauma diretto della vulva. Ciò comporta la stimolazione dei recettori del dolore ed eventualmente un’alterazione degli stessi o dei nervi connessi.

Traumi diretti della vulva (ad esempio, a seguito di una episiotomia), traumi diretti/indiretti del fondo pelvico (ad esempio, a seguito di un parto vaginale operativo) possono essere indicati come fattori scatenanti.

Tra le altre cause annoverabili, l’insorgenza dei sintomi può essere legata all’avvio ormonale (assunzione della pillola anticoncezionale, menopausa e parto), ad una lesione o infiammazione dei nervi che trasmettono il dolore dalla vulva alla colonna vertebrale, all’aumento del numero e della sensibilità delle terminazioni nervose nella vulva, all’aumento dei livelli di sostanze infiammatorie nella vulva, alla predisposizione genetica, alla debolezza dei muscoli del fondo pelvico, oppure può anche essere il riflesso di un dolore proveniente da altre parti del corpo, come la schiena o i fianchi, per cui è necessario prendere in considerazione una valutazione muscolo-scheletrica (Vasileva et al., 2020).

Per quanto concerne le cause di matrice psicosociale, la vulvodinia può rappresentare una reazione anomala a fattori ambientali. È emerso che le donne affette dalla patologia, presentino una probabilità circa tre volte maggiore di aver subìto gravi abusi (psicologici, fisici e sessuali) nell’infanzia e di aver vissuto nella paura e nella percezione di pericolo circa subire ulteriori vessazioni di varia natura (Khandker et al., 2014).

A proposito di ciò, è stato dimostrato che gli eventi traumatici disregolano l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene e i sistemi immunitari, che svolgono un ruolo significativo nell’adattamento dell’organismo allo stress. Quando questi sistemi sono sovraccaricati o gestiti in modo inefficace, i processi fisiopatologici possono portare all’infiammazione in varie parti del corpo. Diversi studiosi hanno ipotizzato che la vulvodinia possa essere il risultato di un’alterata risposta immunoinfiammatoria (Plante e Kamm, 2008).

Giungendo agli studi che hanno valutato le pratiche igieniche in relazione alla vulvodinia, è emersa un’associazione tra la patologia e: sensibilità a saponi, cosmetici e materiali abrasivi, infezioni ginecologiche pregresse, cattive abitudini di toilette, in particolare la pulizia dalla parte posteriore a quella anteriore, e l’uso di indumenti aderenti come i jeans. Questi, infatti, possono intrappolare l’umidità nella zona vulvare e creare un ambiente favorevole alle infezioni, in particolare i lieviti, che sono stati trovati correlati alla malattia (Klann et al., 2019).

Il trattamento della vulvodinia

La vulvodinia e i disturbi correlati al dolore sono problematiche poco comprese, poco riconosciute e poco trattate (Ault, 2014) e le donne che ne sono affette spesso sono molto angosciate dal fatto di non riuscire a identificarne una “causa”. In aggiunta, come aggravante, alleviarne la sintomatologia può risultare una sfida perché nessun trattamento funziona per tutte. Risulta dunque necessario lavorare a stretto contatto con gli operatori della salute mentale per trovare, in un range di opzioni, quella migliore per ciascuna paziente.

Secondo la letteratura, gli interventi maggiormente efficaci e di prima linea risultano essere: la riabilitazione muscolare del pavimento pelvico (o terapia fisica del pavimento pelvico con bio-feedback) condotta attraverso esercizi fisici mirati, la farmacoterapia topica (ad esempio: Lidocaina, Ketoprofene o Baclofene) e orale (ad esempio: Pelvilen o antidepressivi triclici), il blocco anestetico dei centri nervosi direttamente coinvolti nella ricezione del dolore e, in caso di fallimento dei precedenti, si può fare ricorso alla chirurgia (anche detta vestibolectomia; Harrison, 2017).

È infine importante coadiuvare i sopracitati trattamenti con un percorso psicoterapeutico, dove i miglioramenti più sostanziali sono stati osservati attraverso: il training autogeno, che favorisce il rilassamento dei muscoli e degli organi interni procurando una sensazione di benessere; la psicoterapia ipnotica, che aiuta la riduzione della sensibilità agli stimoli dolorosi e la gestione delle emozioni ad essi correlati; e la terapia EMDR, la quale permette di elaborare i vissuti traumatici che possono essere legati alla vulvodinia (aborti, maltrattamenti, violenze e abusi sessuali subìti; Onnis, 2019).

 

Si parla di:
Categorie
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
CONSIGLIATO DALLA REDAZIONE
Vulvodinia: il ruolo della ruminazione a seguito di eventi traumatici precoci
Vulvodinia: il ruolo della ruminazione in risposta ad eventi traumatici precoci

Vulvodinia: un recente studio ha indagato il ruolo della ruminazione in risposta ad eventi traumatici precoci, per donne che soffrono di questa patologia

ARTICOLI CORRELATI
“Se ti tradisce è perché manca qualcosa nella vostra relazione”. Credi ancora nelle favole?

Uno studio condotto sugli utenti di Ashley Madison, famoso sito di incontri extraconiugali, fa luce sulle ragioni che portano al tradimento

Le credenze metacognitive nelle disfunzioni sessuali

La review di Olivari e colleghi (2023) ha analizzato il ruolo delle credenze metacognitive nelle disfunzioni sessuali maschili e femminili

WordPress Ads
cancel