Il Disegno della Famiglia consiste in uno strumento psicodiagnostico di facile somministrazione che consente al soggetto di esprimere pensieri e sentimenti inibiti vissuti nei confronti del sé e del gruppo familiare, di mettere in evidenza la sua collocazione all’interno del nucleo familiare, le relazioni oggettuali che ha interiorizzato e strutturato e che sono alla base dei rapporti attuali con i vari componenti della famiglia.
Il Test del Disegno della Famiglia
Il disegno ha una lunga storia nell’ambito della psicologia clinica e dello sviluppo in quanto rappresenta uno strumento efficace per valutare aspetti cognitivi, affettivi ed emotivi del bambino attraverso una modalità che risulta essere per lui meno minacciosa rispetto al canale verbale (Camisasca, 2003; Ionio e Procaccia, 2006).
In letteratura è stato evidenziato come il disegno possa rappresentare un valido ausilio, in ambito terapeutico o giuridico, per comprendere il mondo interno del bambino e favorire l’espressione delle esperienze vissute, soprattutto quelle caratterizzate da intense emozioni di rabbia, paura e vergogna che possono ostacolare una verbalizzazione diretta, come accade per i bambini vittime di abuso e maltrattamento, permettendogli così di muoversi in un “territorio” meno ansiogeno (Camisasca, 2003; Ionio e Procaccia, 2003). Il disegno, infatti, colorandosi di emozioni e sensazioni personali (Thomas e Silk, 1998), fornisce un’immagine grafica delle rappresentazioni mentali del bambino e permette l’emergere del suo contesto relazionale interiorizzato (Giani Gallino, 2000), inteso come costruzione di rappresentazioni interne, dove si connettono elementi reali ed elementi proiettivi (Tambelli et al., 1995).
In particolare, nei casi di maltrattamento e abuso infantile, il Test del Disegno della Famiglia può essere considerato uno strumento di indagine clinica e di ricerca particolarmente significativo (Veltman e Browne, 2002; Piperino e Di Biasi, 2005; Ionio e Procaccia, 2006).
Il Test del Disegno della Famiglia è stato introdotto negli Stati Uniti da Hulse (1951, 1952) e in Europa da Poròt con la consegna di disegnare la propria famiglia; successivamente Corman (1967), considerato l’autore di questo strumento, Shearn e Russell (1970), Castellazzi (1996), Timbelli, Zavattini e Mossi (1995) modificarono il linguaggio della consegna richiedendo la rappresentazione di “una famiglia”, al fine di superare i meccanismi di difesa del bambino e favorire l’emergere delle sue rappresentazioni interne, della famiglia interiorizzata che non necessariamente corrisponde a quella reale.
Il Disegno della Famiglia consiste in uno strumento psicodiagnostico di facile somministrazione che consente al soggetto di esprimere pensieri e sentimenti inibiti vissuti nei confronti del sé e del gruppo familiare, di mettere in evidenza la sua collocazione all’interno del nucleo familiare, le relazioni oggettuali che ha interiorizzato e strutturato e che sono alla base dei rapporti attuali con i vari componenti della famiglia, facilitando la rilevazione di conflitti familiari da parte del clinico (Ionio e Procaccia, 2003; Piperino e Di Biasi, 2005).
Il test non prevede limiti temporali stabiliti e presenta molteplici e diverse possibilità di interpretazione dei dati emersi che scaturiscono da ipotesi precise circa la relazione tra stimolo (linguaggio di consegna) e la proiezione delle dinamiche affettive.
Come interpretare il Disegno della Famiglia
Seguendo le indicazioni di Corman (1967) e Castellazzi (1996) il disegno può essere interpretato in relazione a tre livelli: grafico, delle strutture formali e di contenuto.
Il livello grafico fa riferimento alle modalità in cui i soggetti utilizzano la matita che diventano rivelatrici di tendenze pulsionali e delle qualità delle relazioni interiorizzate del soggetto con parti del sé e con i membri della famiglia.
Il livello formale, invece, fa riferimento alla collocazione, la dimensione, la staticità o il movimento delle rappresentazioni e gli stili di esecuzione, che nell’insieme, forniscono un’immagine della famiglia nella sua globalità.
Per quanto concerne il livello di contenuto il referente è la teoria psicoanalitica di riferimento. Corman propone di considerare tre dimensioni fondamentali: la composizione della famiglia, la posizione in cui si colloca il soggetto in relazione agli altri familiari, la valorizzazione o svalorizzazione dei personaggi.
Questo strumento di osservazione e codifica delle relazioni interiorizzate può essere utilizzato in ambito clinico, di ricerca e in ambito giuridico e consente di conoscere attraverso un canale privilegiato l’immagine che il bambino ha di sé, degli altri, di sé con gli altri e in particolare, in situazioni di abuso e maltrattamento, può rivelarsi uno strumento che facilita il ricordo e la verbalizzazione di esperienze traumatiche, nonché uno strumento di valutazione diagnostica.
La letteratura indica infatti la possibilità di riscontrare indicatori grafici tipici di bambini gravemente abusati, maltrattati o trascurati suggerendo però, al tempo stesso, cautela nella generalizzazione in quanto non si può basare la diagnosi di abuso esclusivamente sulla base della produzione grafica del bambino (Vetlman e Browne, 2002).
Il Disegno della famiglia nei bambini vittime di abuso
Diversi autori hanno cercato di analizzare le diverse caratteristiche del “Disegno della famiglia” nei soggetti vittime di abuso, cercando di individuare elementi strutturali che potessero essere indicativi dell’abuso subito e, in particolare, della percezione di esso da parte del bambino (Ionio e Procaccia, 2003).
Tali studi, che hanno preso in considerazione variabili grafiche, formali e di contenuto, mettono in luce, innanzitutto, che i bambini che non hanno vissuto esperienze di abuso tendono in maniera sufficientemente superiore, rispetto ai bambini vittime di abuso, a disegnare spontaneamente la propria famiglia, indice di relazioni positive con almeno uno dei genitori. Nei bambini abusati, invece, le forti disfunzioni nei legami portano spesso a ricorrere a meccanismi di difesa, quali l’evitamento e lo spostamento, che si esprimono nella maggiore tendenza a rifiutare di rappresentare graficamente la propria famiglia o a rappresentare famiglie di amici o di animali (Ionio e Procaccia, 2006).
Nei bambini vittime di violenza, oltre all’omissione frequente di sé, del genitore abusante o dell’intero nucleo familiare reale, è frequente l’introduzione di animali o elementi estranei come coetanei che potrebbero rappresentare la confusione circa i confini del nucleo familiare e il desiderio di evitamento di sentimenti dolorosi scaturiti dalla relazione familiare (Piperino e Di Biasi, 2005).
Tra le diverse caratterestiche del disegno sono state analizzate la pressione esercitata sul foglio, la tipologia di tratto e delle linee e la presenza di ombreggiature, cancellature, annerimenti, l’uso del colore, l’utilizzo dello spazio, la collocazione dell’intero gruppo familiare, le dimensioni del disegno, la direzione del gruppo familiare, la staticità e il movimento, la presenza di una linea di terra o sopra i personaggi (Ionio e Procaccia, 2006).
Dagli studi effettuati si constata che sebbene sia difficile individuare un’unica modalità di rappresentazione grafica comune a tutti i bambini vittime di abuso e maltrattamento (in quanto ogni bambino di fronte alla specificità della situazione abusante potrebbe mettere in atto strategie differenti nell’affrontare l’evento traumatico proiettato nei suoi disegni con modalità altrettanto differenti), da quanto emerso nella letteratura sul tema, è possibile individuare alcuni elementi a cui prestare particolare attenzione durante l’analisi delle rappresentazioni grafiche infantili, in quanto potrebbero costituire un “campanello d’allarme” di cui bisogna tener conto e che lo psicologo dovrebbe approfondire (Ionio e Procaccia, 2006).
È dunque possibile asserire che test grafici come il Disegno della Famiglia e l’analisi dei relativi aspetti grafici, formali e di contenuto rappresentino un valido supporto nel processo di individuazione delle problematiche emotive legate all’abuso, al maltrattamento e alla trascuratezza di minori, ma anche nell’individuazione di dinamiche relazionali particolari che possono essere patogene per lo sviluppo del bambino (Camisasca 2003).