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Wolfgang Blankenburg e la perdita dell’evidenza naturale: la descrizione delle psicosi subapofaniche

Blankenburg nel 1971 inaugura un nuovo corso della fenomenologia descrivendo processi meno visibili ma altrettanto patologici: le schizofrenie subapofaniche

Di Filippo Besana

Pubblicato il 08 Nov. 2022

Aggiornato il 11 Nov. 2022 12:51

Con “La perdita dell’evidenza naturale”, Wolfgang Blankenburg ha aperto un nuovo corso all’interno della psicopatologia fenomenologica, concentrandosi sul nucleo basale dell’esperienza schizofrenica.

 

 Le schizofrenie subapofaniche sono quelle patologie della sfera psicotica caratterizzate dall’avere una spiccata componente negativa e disorganizzata, senza però presentare le caratteristiche di quelle che Conrad chiamava “apofanie”. Si tratta di un’entità clinica non facilmente riconoscibile al suo esordio, non essendo caratterizzata spesso dalla sintomatologia produttiva. Esse hanno molte analogie con il modello dei sintomi di base, che è stato per lungo tempo oggetto di studio ad opera di diversi gruppi nel Nord Europa. Lo psicopatologo che più di altri ha analizzato le schizofrenie subapofaniche è lo psichiatra tedesco Wolfgang Blankenburg (1928-2002), andando a ricercare la schizofrenia dove “non c’è o sembra non esserci” (Di Petta, 2012) e aprendo un nuovo corso all’interno della storia della psicopatologia.

I sintomi di base sono codificati dalla BSABS (Bonn Scale Assessment of Basic Symptoms, Vollmer-Larsen et al., 2007): si tratta di alterazioni di natura elementare, aspecifica e acaratteristica di pensiero, linguaggio e caratteristiche confinate alla sfera soggettiva, talvolta difficilmente verbalizzabili. Ballerini osserva che i gruppi di studio che hanno analizzato i sintomi di base, principalmente quelli di Bonn e Copenaghen, sono riusciti a raccordare nella propria metodologia il piano biologico con quello fenomenologico, articolando la nozione di sintomo di base come indicatore “di vulnerabilità endofenotipica” (Ballerini, Rossi Monti, 1992). Nel modello dinamico proposto da Huber, allievo di Schneider, i sintomi di base non sono sufficienti a formulare una diagnosi di schizofrenia; è necessaria la co-incidenza di molte altre variabili (personologiche, antropologiche e ambientali) affinché si sviluppi un processo psicotico (Gross, Huber, 2010). Klosterkötter propone invece un approccio volto alla rilevazione di sintomi e fattori di rischio prima della fase di esordio psicopatologico. Secondo questo modello i soggetti, nelle fasi precoci di malattia, rispondono ai criteri dell’ultra-high-risk (UHR), con manifestazioni cliniche aspecifiche, spesso associate ad un generico declino funzionale. A questa fase fa seguito la early initial prodromal state (EIPS) in cui clinicamente si ha la presenza esclusivamente di sintomi di base; solo successivamente questi soggetti iniziano a sviluppare “sintomi psicotici attenuati” o “sintomi psicotici intermittenti brevi” che determinano l’entrata nella late initial prodromal state (LIPS), seguita dall’esordio psicotico (Klosterkötter et al., 2010).

Ciò che appare interessante è l’idea di un modello dinamico di continuum delle psicosi, secondo il quale i diversi individui possono progredire (temporaneamente o per un lungo periodo) oppure fermarsi in una specifica posizione, dando così vita a possibili traiettorie di percorsi psicotici che possono andare da manifestazioni sub-cliniche alle floride espressioni schizofreniche (D’Offizi, Saullo, Pascolo-Fabrici, 2018).

In linea generale, la difficoltà diagnostica relativa all’inquadramento delle psicosi subapofaniche ricorda molto il riconoscimento dei “prodromi schizofrenici”.

Bleuler lega la schizofrenia ad un concetto di dissociazione (Spaltung) in linea con Janet e il gruppo francese. Già egli, con le sue quattro “A” (autismo, anaffettività, ambivalenza e allentamento dei nessi associativi) aveva descritto in parte la negatività dei fenomeni psicotici. Minkowski, invece, considerava la “perdita dello slancio vitale” alla base della schizofrenia. Andreasen parlava di schizofrenia di tipo “2” per definire quelle patologie a prevalenza di sintomi negativi (Andreasen et al., 1995), Lorenzi e Pazzagli parlavano di “psicosi bianche”(Lorenzi, Pazzagli, 2006), Federn descriveva delle “psicosi latenti” (Federn, 1947).

Schneider analizza invece ciò che è “visibile” e descrivibile, nelle schizofrenie caratterizzate dai sintomi positivi, delineandone i sintomi di primo rango.

Nel 1958 Conrad pubblica, nel suo libro “Die beginnende Schizophrenie”, studi su soldati della Wehrmacht colti nel momento dell’esordio psicotico, descrivendo quindi anche egli processi clamorosi e conclamati. Egli delineò essenzialmente tre fasi nel processo psicotico: il “Trema”, ovvero il terremoto, lo stadio prodromico in cui l’intera psiche appare come circondata da barriere invalicabili e la libertà viene sempre più compressa e limitata; l’”apofania”, intesa come una “immotivata visione di connessioni”, con una “anormale significatività”, che dà comunque luogo a una riorganizzazione del senso; infine, l’“anastrophé”, intimamente connessa all’apofania, caratterizzata da una sorta di inversione – o trasgressione – dell’ordine o delle proporzioni delle cose e dei fatti che accadono (Conrad, 1958).

Prima di Wolfgang Blankenburg, Wyrsch, nel 1971 parlava di quadri clinici simili, descrivendo “Non si può nemmeno dire che i malati non ci riescono, semplicemente non accade nulla. Essi sembrano come usciti dal mondo a tal punto che l’osservatore riconosce d’intuito il male di cui soffrono” (Wyrsch, 1971).

Wolfgang Blankenburg: cenni biografici e la “perdita dell’evidenza naturale”

L’autore ha una formazione filosofica e psicologica portata avanti all’università di Friburgo fra il 1947 e il 1950. Fra i suoi docenti ci furono Eugen Fink, a sua volta allievo di Hussel e Heidegger, e Szilasi, che collaborò con Binswanger. Seguì anche alcune lezioni di Martin Heidegger, il quale in quel periodo era stato forzatamente messo a riposo per le compromissioni con la linea politica nazionalsocialista. Wolfgang Blankenburg si forma quindi nell’immediato dopoguerra, in una Germania condizionata dagli orrori del conflitto mondiale, dall’elaborazione collettiva del senso di colpa e dei processi di denazificazione (Molaro, Stanghellini, 2020).

Nel 1950 decide di studiare Medicina, dove elabora una tesi su uno studio daseinanalitico di un caso di schizofrenia paranoide, che lo porta ad avere i primi contatti con Binswanger.

Blankenburg nel 1971 inaugura un nuovo corso della fenomenologia, descrivendo dei processi meno visibili ma altrettanto patologici: le schizofrenie subapofaniche (rifacendosi al concetto che Conrad definì “apofania”). Si tratta di un termine coniato da Blankenburg stesso, che sta a definire tutte quelle forme di schizofrenia caratterizzate dalla mancata rivelazione di senso: prive cioè di una sintomatologia positiva, delirante, dispercettiva ed ebefrenica e che restano quindi ad un livello sub-sindromico. In questi quadri, secondo l’autore, può essere colto il nucleo basale dell’esperienza schizofrenica, perché non sommerso dalla produzione delirante-allucinatoria delle forme paranoidi (Blankenburg, 1971).

L’autore porta il caso di Anna Rau, una sua paziente, che afferma che “la realtà le sfugge” e ne “perde l’ovvietà”. Si tratta di una ventenne che arriva alla clinica di Friburgo nell’ottobre 1964, a seguito di un tentato suicidio compiuto assumendo 70 compresse di sonnifero. Viene descritta come una ragazza con uno sviluppo tardivo, i cui genitori hanno un rapporto conflittuale che sta sfociando in un divorzio all’epoca del tentato suicidio. Da adolescente, Anne è una ragazzina timida e chiusa, con un buon rendimento scolastico. Tuttavia, come spesso ripete, non si sente “umanamente all’altezza” e le sue difficoltà aumentano nel passaggio al mondo lavorativo, mostrando incapacità ad adattarsi nei contesti in cui si sperimenta.

Ad Anne, dal punto di vista clinico, viene diagnosticata una “schizofrenia paucisintomatica” o “schizofrenia simplex”, nel complesso di una organizzazione anancastica della personalità, con pensieri forzati che la fanno sentire continuamente esposta a situazioni in cui non si sente adeguata.

 Dagli incontri con questa sua paziente nacque infatti il titolo del suo libro: ella, durante un colloquio, afferma, nel tentativo di esprimere l’assenza e il vuoto che la tormentavano: “È senza dubbio l’evidenza naturale che mi manca”. Racconta che “Manca qualche cosa. Qualche cosa di piccolo, di strano, qualche cosa d’importante, d’indispensabile per vivere. Nella vita umanamente non ci sono. Non sono all’altezza. Mi limito a stare lì, sto semplicemente in quel posto, senza essere presente”. Ella perde quindi la capacità di “costituire la realtà” e di “sintonizzarsi con l’altro”; lo si legge bene nelle sue parole: “mi sono mancate le basi. Ciò che precisamente mi manca è poter sapere in maniera evidente quello che so…nei rapporti con altri esseri umani. È proprio questo che non mi riesce”.

Il caso di Anne Rau mostra come le alterazioni basali emergano in primo piano grazie alla capacità della paziente di autodescriversi, indipendentemente da ogni tipo di intervento personale e riuscendo così ad estrarre i momenti strutturali essenziali a partire dagli enunciati del paziente stesso.

La perdita dell’evidenza naturale (natürlichen Selbstverständlichkeit), per Wolfgang Blankenburg, non è un sintomo specifico (come invece lo possono essere un delirio o un’allucinazione), ma si tratta di uno dei “fili conduttori” della metamorfosi schizofrenica. Pertanto, le essenze dei fenomeni patologici, non sono fatti né sintomi, ma strutture che indicano il modo di darsi e di costituirsi del fenomeno stesso. Inoltre, la polarità tra evidenza naturale e non-evidenza, non è da intendersi in senso dicotomico, come “sano” o “malato”, ma in senso dialettico: “la non evidenza non è meno costitutiva dell’evidenza per l’essere-nel mondo umano, semplicemente lo è in modo diverso”.

In qualche modo, l’”epochè” operata del fenomenologo, ovvero la capacità di abbandonare categorie e nozioni diagnostiche accostandosi al malato, assume analogie con la perdita dell’evidenza naturale del paziente schizofrenico: la prima, serve a cogliere che cosa accade quando si verifica la seconda. Secondo Blankenburg, la differenza fra “epochè” fenomenologica e schizofrenica sta nel fatto che il fenomenologo dispone di un filo conduttore (una “bretella elastica”) che gli permette di allontanarsi momentaneamente dal senso comune, per poi ritornare ad esso.

Nelle psicosi subapofaniche viene perso il senso comune, definito come la facoltà di relazionarsi immediatamente e intuitivamente con gli altri, sulla base di schemi psico-motori socialmente appresi, di cui già faceva cenno Kant nella “Critica del giudizio”.

La crisi del senso comune è una crisi della situatività, dell’essere emotivamente situato nel mondo. Si tratta di un concetto pre-riflessivo e pre-verbale che ha il suo fulcro nella corporeità, concetto che va in linea con l’interpretazione fenomenologica della schizofrenia come forma di disembodiment (Stanghellini 2001a,2001b, Fuchs, 2005).

Secondo Blankenburg, è necessario essere consapevoli del fatto che qualunque posizione assunta dal clinico ha influenza sulla storia del malato: la fenomenologia, che significa innanzitutto “orientamento dello sguardo” e “disposizione ad osservare i fenomeni”, deve quindi essere orientamento alla prassi clinica, osservazione partecipativa e partecipazione osservativa.

Wolfgang Blankenburg si interroga su dove sia il disturbo fondamentale alla base del processo schizofrenico, quello che Minkowski chiamava il “disturbo generatore”, dei pazienti “senza delirio e senza mondo” (Di Petta, 2012).

Per Blankenburg il termine “basale” non ha valenza neurobiologica, ma trascendentale: si discosta in questo senso dal lavoro di Huber in merito ai sintomi di base, in cui in riferimento al nucleo basale della schizofrenia veniva anche data una caratterizzazione neurobiologica. Le persone affette da schizofrenia perdono la possibilità di “costituire” la realtà e di “costituire” l’altro. I pazienti, così, in termini preriflessivi sono privi di “attunement” (Ballerini, 2012) con la realtà, sono incapaci di sintonizzarsi con l’altro. I soggetti schizofrenici sono continuamente impegnati a costruire in modo empirico quel substrato, “già fornito” nel soggetto sano, in cui attuare le esigenze della vita concreta. In questa costituzione intersoggettiva dell’evidenza naturale il soggetto schizofrenico, per poter vivere l’esperienza dell’incontro con la realtà, deve sempre, in primo luogo, produrre i presupposti per poter-incontrare.

Questo tipo di processi, essendo tendenti ad essere meno “evidenti” dei fenomeni psicotici produttivi, corrono il rischio di non essere riconosciuti, come anche sottolinea Ballerini nel suo libro che analizza questo tema (“Delia, Marta e Filippo. Schizofrenia e sindromi sub-apofaniche: fenomenologia e psicopatologia”), e pertanto non adeguatamente curati.

È necessaria pertanto un’attenzione particolare verso questi quadri, che non sono solamente successivi ai sintomi positivi, come per primo Kraepelin ha teorizzato, ma anche prodromici e caratterizzanti l’intero decorso della patologia schizofrenica. Questo si può fare coltivando quello che Minkowski chiamava “sentimento di schizofrenicità” o “diagnosi per penetrazione”, ovvero quella sensazione, data dalla formazione didattica e dall’esperienza clinica, che il terapeuta possiede al cospetto del paziente affetto da psicosi, che permette di andare oltre la semplice presenza della sintomatologia delirante e allucinatoria, più facilmente riconoscibile e che gli psichiatri sono più facilmente formati a riconoscere e trattare.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Andreasen NC, Arndt S, Alliger R, Miller D, Flaum M. (1995). Symptoms of schizophrenia. Methods, meanings, and mechanisms. Arch Gen Psychiatry. May;52(5):341-51. doi: 10.1001/archpsyc.1995.03950170015003. PMID: 7726714.
  • Ballerini A., Rossi Monti M. (1992). Il vissuto della vulnerabilità nella schizofrenia”. In Stanghellini G., Verso la schizofrenia. La teoria dei sintomi-base., Idelson Liviana, p. 17-31.
  • Ballerini Arnaldo, Di Petta Gilberto, Il disturbo schizofrenico di base, relazione a Congresso, Società Italiana di Psicopatologia  2012.
  • Ballerini A. (2012). Delia, Marta e Filippo: Schizofrenia e sindromi sub-apofaniche: fenomenologia e psicopatologia, Fioriti Editore.
  • Blankenburg W. 1998 (edizione originale 1971). La perdita dell’evidenza naturale: Un contributo alla psicopatologia delle schizofrenie pauci-sintomatiche. Milano:Raffaello Cortina.
  • Conrad G.T. (1958). Die Beginnende Schizophrenie, Stoccarda.
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  • Federn P. Principles of psychotherapy in latent schizophrenia. (1947) Am J Psychother. Apr;1(2):129-44. doi: 10.1176/appi.psychotherapy.1947.1.2.129. PMID: 20295290.
  • Fuchs T., (2005). Corporealized and disembodied minds: A phenomenological view of the body in melancholia and schizophrenia, Philosophy, Psychiatry & Psychology, 12, 95-107.
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  • Stanghellini G., (2001a). Psychopathology of common sense, Philosophy, Psychiatry & Psychology, 8 (2-3), 201.218.
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  • Vollmer-Larsen A, Handest P, Parnas J. (2007). Reliability of measuring anomalous experience: the Bonn Scale for the Assessment of Basic Symptoms. Psychopathology. 40(5):345-8. doi: 10.1159/000106311. Epub 2007 Jul 24. PMID: 17657133.
  • Wyrsch J. (1971). Clinica della schizofrenia. In: Gruhle H. W., Jung H., Mayer-Gross W., Müller E. (a cura di): Psichiatria del presente. Luxusausgaben Rekord, Vaduz.
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