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I ritmi biologici in un mondo che impone di correre

Il tempo chiama e i ritmi biologici son pronti ad eseguire quanto imposto dall’esterno, ma l’organismo può faticare ad assecndare le richieste della società

Di Cristi Marcì

Pubblicato il 11 Ott. 2022

Guai a fermarsi, a concedersi un minuto tutto per sé, la parola relax sembra ormai bandita dal vocabolario, nondimeno nel momento in cui ci si permette di regalarsi un minuto di svago scatta subito quel senso di colpa in grado di farti sentire estraneo ai ritmi. 

 

 Siamo davvero padroni delle nostre scelte quotidiane? Quotidianamente svolgiamo una serie di attività abitudinarie, delle quali ormai non sempre siamo consapevoli: ci svegliamo dopo una notte di sonno, facciamo colazione, mangiamo e subito siamo pronti per una nuova giornata.

Ci prepariamo dunque per una sequenza di attività già programmate, rispetto alle quali siamo chiamati a rispondere quasi in maniera automatica, per non dire tempestiva, non consentendo al nostro organismo la libera scelta delle reali attività che si vorrebbero svolgere.

Il tempo chiama e i nostri ritmi biologici son pronti ad eseguire quanto imposto dall’esterno. Il ritmo circadiano (dal latino circa diem) si riferisce non solo alle 24 h ore della giornata, ma sottende un’ampia varietà di funzioni fisiologiche, tra cui il ciclo sonno-veglia, la temperatura corporea, la secrezione degli ormoni, l’attività immunitaria, il comportamento alimentare e non ultimo l’attività cerebrale. Una vera e propria danza dell’organismo, che deve però fare i conti con le richieste della società odierna.

La rigidità psicocorporea a sostegno di uno schema privo di imprevisti

In quanto animale diurno, l’essere umano organizza capziosamente la propria giornata sulla base e in funzione di uno schema pre-programmato, col rischio tuttavia di inficiare il proprio assetto psicosomatico, determinando oltremodo l’innesco di una vera e propria rigidità psicocorporea.

Quest’ultima infatti può determinare ripercussioni sulla produzione ormonale, dei neurotrasmettitori e sull’andamento ritmico cerebrale. Nondimeno, seguendo una visione d’insieme, possono verificarsi disfunzioni inerenti il pancreas (Dibner, Schibler, 2015), il fegato, le surrenali e altri organi fondamentali per il nostro  equilibrio giornaliero: l’intestino, il cuore e i polmoni, ciascuno dei quali esercita, sotto il profilo psiconeuroendocrinoimmulogico, una funzione vitale e adattiva circa le richieste dell’esterno, influenzando i nostri stessi ritmi circadiani.

Guai a fermarsi, a concedersi un minuto tutto per sé, la parola relax sembra ormai bandita dal vocabolario, nondimeno nel momento in cui ci si permette di regalarsi un minuto di svago scatta subito quel senso di colpa in grado di farti sentire estraneo ai ritmi che, al contrario, riflettono il lasciapassare per poter partecipare alla vita sociale (Selye, 1973). Tutto questo col rischio di costruire la propria identità in funzione di un ritmo frenetico che sovente non ci appartiene, scivolando gradualmente in una spirale in cui il respiro, il battito cardiaco e la funzione intestinale non hanno altra scelta se non quella di adeguarsi, privandosi pian piano dei propri ritmi.

Un approccio neurobiologico dei ritmi circadiani

La struttura che genera e regola i ritmi circadiani è costituita da uno specifico sistema neuronale, il quale funge da vero e proprio orologio biologico. Quest’ultimo trova la sua collocazione in un piccolo gruppo di neuroni, circa 20.000, sopra il chiasma ottico nell’ipotalamo anteriore, chiamato nucleo soprachiasmatico (Buijs, 2016).

Questi neuroni sono organizzati in una fitta rete intrecciata tra due emisferi e sono peraltro dotati di una proprietà ritmica; infatti qualora vengano isolati dal cervello, continuerebbero ad oscillare e ad attivarsi in maniera autonoma. Quanto emerge è per l’appunto una proprietà intrinseca/autonoma che rispecchia un automatismo, garantito da un complesso ingranaggio di geni detti “clock” (Copinschi, Challet, 2016).

Un vero e proprio macchinario genetico presente in tutte le cellule che va a costituire e consolidare una rete di orologi periferici a loro volta influenzati e orientati dall’orologio centrale.

Al nucleo soprachiasmatico arriva un input dalla retina tramite una speciale via di collegamento, denominata tratto retino-ipotalamico, la quale non trasmette informazioni di natura visiva, ma risulta connessa ai ritmi circadiani stessi (Critchley, 2009). Inoltre dal sistema nervoso centrale partono collegamenti che portano informazioni a tutti i principali nuclei ipotalamici, a un’area strategica dell’ipotalamo chiamata epitalamo e ad aree del tronco dell’encefalo da cui partono collegamenti agli organi interni, tramite il sistema neurovegetativo.

Grazie a questa fitta rete di segnalazione il nucleo soprachiasmatico va a regolare il ritmo di funzioni fisiologiche cruciali, come la regolazione della temperatura corporea, degli assi neuroendocrini e del sistema neurovegetativo. Al tempo stesso giungono al sistema nervoso centrale informazioni dai nuclei ipotalamici, dall’epitalamo, dagli organi interni e dalle attività dell’organismo.

L’orologio centrale pertanto risulta dunque influenzato dal nostro ritmo genetico ma riflette una sincronizzazione correlata ad una serie di fattori interni ed esterni come la luce, il proprio comportamento alimentare, gli orari del sonno, la pressione arteriosa e infine le attività diurne e notturne (Qian, Scheer, 2016).

I nuclei soprachiasmatici producono centinaia di neuropeptidi a partire da 24 pro-ormoni, assieme alle citochine e ad alcuni neurotrasmettitori come il GABA, il glutammato e l’ossido nitrico.

Si determina così una mappatura dei principali neuropeptidi (Southey, Lee, Zamdbrorgù, 2014) in grado di coinvolgere i diversi livelli del nostro equilibrio psicosomatico: tra questi vi sono infatti il peptide intestinale vasoattivo VIP, l’arginina vasopressina AVP ed infine il peptide che rilascia la gastrina GRP.

 Come sopra accennato l’intestino, il cuore e i polmoni esercitano, sotto il profilo  psiconeuroendocrinoimmulogico, una funzione vitale e adattiva circa le richieste dell’esterno, influenzando i nostri stessi ritmi circadiani; nondimeno ciascuno di questi organi è costituito da un proprio ritmo biologico. Ad esempio il cuore presenta un ritmo in grado di evidenziarne la propria vulnerabilità intrinseca, infatti tra le 9 e le 11 del mattino quest’organo presenta la sua massima fluttuazione ritmica, che lo espone, come accennato, ad una maggiore vulnerabilità.

Si delinea così una cronobiologia di quegli organi che quotidianamente sono sottoposti ad uno stress di cui non sempre siamo consapevoli e che nondimeno innesca un contrasto tra i nostri ritmi interni all’organismo e le richieste esterne, relative alla dimensione familiare, lavorativa e sociale.

La fisiologia dello stress crono biologico

Come accennato in precedenza, dal sistema nervoso centrale partono collegamenti che portano informazioni a tutti i principali nuclei ipotalamici, a un’area strategica dell’ipotalamo chiamata epitalamo e ad aree del tronco dell’encefalo da cui partono collegamenti agli organi interni, tramite il sistema neurovegetativo.

Pertanto il concetto di benessere non può limitarsi ad una sola dimensione corporea e/o biologica, bensì comprende nel suo insieme l’intero organismo. Quest’ultimo infatti rispecchia il nostro stile di vita e soprattutto un tempo che troppo spesso evitiamo di accogliere, finendo così per sottovalutare quanto il corpo ci vuole comunicare. Quello che emerge è dunque un automatismo privo di quelle flessibilità ed elasticità che al contrario consentirebbero l’emergere di un nuovo modo di approcciarsi alle richieste esterne.

A tal riguardo infatti il paradigma dell’allostasi consente di vedere il concetto di stress come una richiesta da parte dell’organismo di riappropriarsi dei propri ritmi (Gaggioni, Maquet, Schmidt, 2014). Sotto stress per l’appunto l’organismo mette in atto modificazioni multi-sistemiche coordinate, fisiologiche e comportamentali, finalizzate al raggiungimento di un nuovo equilibrio, migliore rispetto al precedente, ciascuna delle quali produce delle modificazioni inerenti i vari distretti psicobiologici, con un’ulteriore ricaduta sui rispettivi ritmi crono biologici (McEwen, 2007).

A tal riguardo tuttavia la fase di adattamento presenta un costo, un prezzo vero e proprio da pagare, definito “carico allostatico” (Cannon, 1935), strettamente correlato ad una condizione di stress cronico e/o ripetuto. La ripetitività e la cronicizzazione derivanti da questo nuovo equilibrio provocano viceversa uno squilibrio fisiologico, determinando sia risposte meno adattive, sia una mancanza progressiva dell’elasticità (McEwen, 2000).

A lungo termine possono usurarsi gradualmente i sistemi di regolazione ed autoregolazione, con conseguenze negative sull’intero organismo.

Ad esempio uno stato protratto di ansia ed elevata vigilanza mantiene cronicamente accesa la risposta di arousal, (intensità dell’attivazione psicofisiologica di un organismo) sostenendo così il tono ortosimpatico e l’attività dell’asse ipotalamo – ipofisi – surrene (Wassing, Benjamins, Dekker, 2016).

Questo quadro può compromettere non solo il “nuovo stile di vita” dell’individuo, ma anche i ritmi crono biologici. Ad esempio livelli elevati e persistenti di cortisolo possono determinare disturbi a livello del sistema cardiovascolare, causando il rischio di ipertensione e aterosclerosi (Kanth, Ittaman, Rezkalla, 2013). Nondimeno insorgerebbe una vera e propria difficoltà nel sapersi adattare e rispondere a nuovi fattori stressanti (Sterling, 2012). L’omeostasi viene a configurarsi così in un panorama disfunzionale e disadattivo, nel quale rischiamo di creare la nostra nuova identità: quella del sacrifico, a favore di una maggiore riconoscenza sociale e lavorativa.

Riequilibrare i ritmi al fine di scoprire il proprio crono tipo

A seguito di quanto esposto è stato possibile considerare come i propri ritmi biologici rivestano un ruolo fondamentale per il nostro equilibrio psicosomatico (Hermida, Ayala, Smolensky, 2016).

L’orologio centrale deve quindi essere continuamente monitorato sia in rapporto ai fattori ambientali esterni, sia in rapporto a quelli interni e di natura intrapsichica. A tal riguardo infatti la suddivisione dei cosiddetti sincronizzatori consente una migliore comprensione circa le nostre rispettive interazioni.

Quelli esterni risultano di due tipi: primari e secondari. Se i primi sono circoscritti all’ambiente, quelli secondari invece si correlano al nostro modo di organizzare la nostra vita, sia individuale che sociale. Nondimeno quelli secondari ricoprono un ruolo più incisivo poiché sono direttamente proporzionali tanto alla qualità quanto alla quantità di sonno di ciascun soggetto e più nello specifico al tipo di lavoro svolto.

Perché se siamo in balia delle richieste e delle pressioni esterne, rischiamo di dimenticare ciò che ci caratterizza e che al contrario dovrebbe guidarci anche nel saper scegliere cosa è più giusto per noi: la nostra unicità.

 

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Cristi Marcì
Cristi Marcì

Psicologo, Specializzando in Psicoterapia

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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