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La Qualità di Vita nelle persone con Autismo

Il riferimento al concetto di Qualità di Vita è particolarmente utile negli interventi per adulti con Autismo, date le caratteristiche life-span tipiche

Di Gaia Giglio

Pubblicato il 22 Set. 2022

Aggiornato il 20 Ott. 2022 12:39

La maggior parte degli studi sulla Qualità di Vita delle persone con Disturbo dello Spettro Autistico si è concentrata sulla valutazione degli aspetti oggettivi (stato educativo e professionale, vita indipendente, relazioni con i pari) ma, è indispensabile il ricorso alla misurazione anche della percezione soggettiva di tale concetto.

AUTISMO E QUALITÀ DI VITA – (Nr. 3) La Qualità di Vita negli interventi per le disabilità

 

Il riferimento al Modello di Qualità di Vita (QdV) di Schalock e Verdugo del 2002 (ndr: il modello verrà illustrato dettagliatamente nel prossimo numero della rubrica) nei servizi per le disabilità ha una duplice funzionalità: dal punto di vista individuale e orientato alla persona, permette di indirizzare i programmi di intervento a seconda dei bisogni e desideri personali e di valutarne l’efficacia sulla base degli esiti conseguiti in termini di benessere stesso; dall’altro lato, di conseguenza, tale costrutto permette di migliorare la qualità dei servizi a livello gestionale (Coscarelli e Balboni, 2014). La Qualità di Vita rappresenta pertanto l’obiettivo di qualsiasi intervento, nonché il parametro per misurarne l’efficacia (Cottini, 2009). Questi dovrebbero permettere all’utente con disabilità di ridurre la discrepanza esistente tra le sue competenze (considerati i deficit funzionali) e le richieste ambientali, favorendo le condizioni per un funzionamento ottimale dell’individuo all’interno del proprio ambiente, al fine di perseguire i propri obiettivi di vita (Coscarelli e Balboni, 2014). Pertanto, nelle parole di Buntinx e Schalock (2010), un sistema di sostegni individualizzato e basato sul concetto di Qualità di Vita, rappresenta “a critical bridge between the individual’s present state of functioning (“what is”) and a desired state of functioning (“what can be”) for a person with ID” [“un ponte essenziale tra lo stato attuale di funzionamento dell’individuo (ciò che si è) e lo stato di funzionamento desiderato (ciò che si potrebbe essere)”, p. 289]. Gli interventi dovrebbero quindi aspirare non solo al miglioramento del funzionamento dell’individuo (interventi abilitativi), ma anche, soprattutto, a un incremento della sua Qualità di Vita, centrandosi sul suo progetto di vita e sul suo universo esistenziale (Cottini, 2009). Di conseguenza, non è sufficiente una pianificazione dei sostegni sulla base delle aree deficitarie emerse nella valutazione delle competenze di un individuo, risulta fondamentale anche una valutazione delle sue preferenze, dei suoi desideri e delle sue aspirazioni, in modo da selezionare quelle specifiche competenze, il cui miglioramento permetta un incremento nella Qualità di Vita dell’individuo stesso (Buntinx e Schalock, 2010). Nasce così l’esigenza di sviluppare un modello di presa in carico centrato su un progetto di vita capace di promuovere condizioni ampliative di sviluppo delle potenzialità e miglioramento del benessere della persona con disabilità, da affiancare al tradizionale modello clinico abilitativo volto principalmente (se non esclusivamente) alla riduzione dei comportamenti problematici. Un modello quindi in grado di valorizzare un percorso centrato sul funzionamento adattivo dell’utente, dettato da indicazioni personali e soggettive, più che sul suo Quoziente Intellettivo (ANFFAS, 2015).

Qualità di Vita nei soggetti con Disturbo dello Spettro Autistico

La maggior parte degli studi sulla Qualità di Vita delle persone con Disturbo dello Spettro Autistico (ASD) presenti in letteratura si è concentrata sulla valutazione degli aspetti oggettivi di tale costrutto (per esempio, stato educativo e professionale, vita indipendente, relazioni con i pari) ma, dal momento che la Qualità di Vita è collegata a bisogni e aspettative personali, risulta indispensabile il ricorso alla misurazione anche della percezione soggettiva di tale concetto, al fine di ottenere una valutazione della Qualità di Vita più globale, inclusiva ed ecologica (Müller e Cannon, 2014).

Gli indicatori soggettivi di Qualità di Vita vengono principalmente misurati attraverso modalità auto-valutative (self-report), mentre per quelli oggettivi si fa solitamente ricorso a forme di etero-valutazione, quindi attraverso coloro che se ne prendono cura. Le misure auto-valutative consentono di disporre del punto di vista personale del soggetto valutato, in linea con i princìpi stessi della Qualità di Vita, i quali pongono la persona con i suoi bisogni e desideri al centro del sistema (Coscarelli e Balboni, 2014). L’affidabilità di tali tecniche, però, costituisce motivo di dibattito nell’ambito della valutazione della Qualità di Vita di soggetti con Disturbo dello Spettro Autistico, e questo potrebbe in parte spiegare la maggiore disposizione all’utilizzo di tecniche etero-valutative in questo ambito. L’utilizzo dei metodi auto-valutativi risente maggiormente delle difficoltà tipiche delle persone con Disturbo dello Spettro Autistico, come quelle legate alla comunicazione, al pensiero astratto e all’interpretazione delle emozioni proprie e altrui (Brugha et al., 2015). A tal proposito, Cummins (2001; come citato in Hatton e Ager, 2002) raccomanda l’utilizzo di un pre-test nelle misurazioni della Qualità di Vita, in modo da valutare la capacità del soggetto di comprendere le domande. Tuttavia, spesso il problema appena riportato viene arginato chiedendo a delle persone delegate (proxy), solitamente costituite dai caregiver, di rappresentare il punto di vista del soggetto da valutare (Müller e Cannon, 2014), ma non è chiaro se le informazioni fornite dai proxy costituiscano un valido e accurato sostituto ai self-report (Verdugo et al., 2005). Per questo motivo, può essere utile ricorrere, come strumento di raccolta di informazioni di tipo soggettivo, alle interviste semi-strutturate, in modo che l’intervistato sia maggiormente propenso a collaborare e l’intervistatore possa monitorare con più flessibilità l’adeguatezza e l’affidabilità delle risposte, chiedendo o fornendo esempi e riproponendo la domanda in vari modi (Coscarelli e Balboni, 2014).

Importanza della misurazione della Qualità di Vita negli adulti con Disturbi dello Spettro Autistico

Il riferimento al costrutto (ovvero il concetto) di Qualità di Vita risulta particolarmente utile e vantaggioso negli interventi rivolti ad adulti con Disturbo dello Spettro Autistico, date le caratteristiche life-span tipiche di tale condizione (Cottini, 2009). Infatti, per quanto possa sembrare strano, gran parte della comunità scientifica non supporta ancora a sufficienza la cultura dell’abilitazione estesa per l’intero arco di vita (appunto, life-span), come testimoniato dalla penuria letteraria a tal riguardo. Spesso, arrivati ai 18 anni, i soggetti con Disturbo dello Spettro Autistico e le loro famiglie assistono impotenti a una repentina perdita dell’assistenza sanitaria e alla mancanza di servizi che siano in grado di occuparsi seriamente delle problematiche annesse alle necessità di continuità abilitativa (e non solo assistenziale) e alla progettualità di vita dell’adulto con autismo (Murphy et al., 2016).

Interventi mirati, efficaci e di riconfigurazione ambientale possono costituire la base per l’espressione delle potenzialità di queste persone, talvolta difficili da prevedere, che costituiscono però un’umanità tanto speciale quanto ricca. Pertanto, il soddisfacimento dei loro bisogni non è esclusivamente appannaggio di un intervento assistenziale, ma si riferisce allo sviluppo della capacità della persona di perseguire i propri obiettivi e quindi di mantenere e migliorare la propria Qualità di Vita. Risulta quindi evidente la componente prospettica (life-span) del concetto di Qualità di Vita, in quanto essa non si limita all’attuale stato di benessere, ma si occupa della capacità di dare un significato alla propria vita, in vista della conservazione di un’immagine positiva di sé (Cottini, 2009).

C’è, inoltre, da considerare il fatto che la permanenza completa di un adulto con Autismo nella propria famiglia non rappresenta una prospettiva adeguata per una serie di motivi: innanzitutto perché non permette all’individuo con Disturbo dello Spettro Autistico di usufruire di programmi per lo sviluppo delle autonomie, e in particolare di quelle integranti come quelle comunitarie, lavorative e abitative. In aggiunta, è lui in primis a necessitare di un ambiente alternativo alla famiglia in vista del venir meno della possibilità da parte dei familiari di fornirgli assistenza. Infine, i genitori dovrebbero poter avere la possibilità di condurre una vita serena e non esclusivamente funzionale alla cura del figlio e quindi di esperire anche loro stessi un buon livello di Qualità di Vita (Cottini, 2009).

In definitiva, dal momento che il primo obiettivo di una diagnosi dovrebbe essere l’utilità clinica e che l’eziologia del Disturbo dello Spettro Autistico non è ancora chiara e condivisa, tale utilità risiede esattamente nella fornitura di servizi che incrementino la Qualità di Vita di questi soggetti (Lord e Jones, 2012).

Nonostante fino ad ora pochi studi si siano concentrati sulla valutazione della Qualità di Vita in persone con Autismo (Brugha et al., 2015), si sta diffondendo sempre maggior consenso sul fatto che le azioni di sostegno e abilitazione/riabilitazione rivolte a tali persone, dovrebbero orientarsi verso ciò che rappresenta l’obiettivo di fondo per ogni persona, ossia il raggiungimento di un buon livello di Qualità di Vita (NICE, 2021; Howes et al., 2017).

 

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