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L’Autismo in una prospettiva life-span: cosa succede al compimento dei 18 anni?

Le persone con autismo vivono grandi sfide e difficoltà nella transizione verso l’età adulta e non sono sufficientemente sostenute dai servizi disponibili

Di Gaia Giglio

Pubblicato il 21 Lug. 2022

Aggiornato il 22 Lug. 2022 12:43

La letteratura indica che, da adulte, molte persone con autismo, si trovano svantaggiate nell’affrontare le varie tappe tipiche della loro fase di vita, ossia l’impiego lavorativo, le relazioni sociali (amicali e sentimentali), la salute sia fisica che mentale e la Qualità di Vita.

AUTISMO E QUALITÀ DI VITA – (Nr. 2) L’Autismo in una prospettiva life-span: cosa succede al compimento dei 18 anni?

 

La prevalenza del Disturbo dello Spettro Autistico

Le stime sulla frequenza del Disturbo dello Spettro Autistico (ASD) sono in continuo aumento (Centers for Disease Control and Prevention, 2019), come dimostrato da vari studi epidemiologici condotti in diverse parti del mondo, che concordano nell’attribuire alla prevalenza di tale disturbo una stima superiore all’1%. Tra questi, risultano significativi l’indagine effettuata nel 2014 dall’Autism and Developmental Disabilities Monitoring (ADDM) Network (citato da Baio et al., 2018), il quale evidenzia che, negli Stati Uniti, 1 bambino su 59 ha un ASD, e il progetto Autism Spectrum Disorders in the European Union (ASDEU), che ha recentemente stimato una prevalenza media di 1 bambino autistico su 89 nell’Unione Europea (Posada de la Paz, 2018). Per quanto concerne la situazione nel nostro Paese, la prevalenza del Disturbo nei bambini italiani, è stimata a 1 bambino su 77, con una frequenza 4,4 volte maggiore nei maschi (Ministero della salute, 2022).

La storica associazione a categorie diagnostiche infantili fa sì che tale disturbo venga difficilmente riconosciuto nei soggetti adulti e, pertanto, non trattato adeguatamente (Vagni, 2015). Nonostante ciò, l’ASD non è un disturbo limitato all’età evolutiva, bensì una condizione del neurosviluppo che dura per l’intero arco di vita della persona (Barber, 2017; Brugha et al., 2015; Murphy et al., 2016). Come afferma Cottini (2010), pertanto, i bambini con Autismo, da grandi non potranno far altro che diventare degli adulti con Autismo, in quanto le caratteristiche proprie della condizione autistica si mantengono centrali anche nei soggetti adulti. Ne consegue, quindi, che le stime sulla diffusione dell’ASD sono simili tra i bambini e gli adulti (American Psychiatric Association [APA], 2013/2014).

Evoluzione del Disturbo: caratteristiche e sintomi degli adulti con ASD

Malgrado esistano tanti adulti con Autismo quanti sono i bambini con Autismo (Vagni, 2015), la ricerca finalizzata all’analisi della prognosi e delle caratteristiche che caratterizzano gli adulti con questo disturbo è ancora molto limitata (Cottini, 2010; Howlin e Moss, 2012).

Seltzer nel 2003 (citato da Billstedt et al., 2007) ha affermato che i sintomi dell’Autismo si manifestano diversamente in base alle varie fasi di vita. In effetti, sebbene molti dei sintomi presenti durante l’infanzia persistano nell’età adulta, secondo uno studio condotto da Billstedt et al. (2007), pare che altri tendano mediamente a migliorare. Tra questi si annoverano le interazioni sociali, i comportamenti ripetitivi e stereotipati, quelli adattivi e la reattività emotiva agli altri. Tali miglioramenti risultano più frequenti ed evidenti negli individui ad alto funzionamento, rispetto che in quelli a basso funzionamento. Inoltre, la stessa ricerca ha fatto emergere un’alta frequenza di comportamenti sociali anomali nei partecipanti adulti con ASD: l’interazione con i coetanei è risultata frequentemente assente oppure, se presente, inappropriata e condotta quasi esclusivamente dagli altri (Billstedt et al., 2007). Altri sintomi comuni avevano a che fare con un’inappropriata risposta emozionale, un contatto oculare povero, mancanza di reciprocità e comunicazione non-verbale limitata o bizzarra. Oltre la metà del campione ha, inoltre, mostrato reazioni anomale alle stimolazioni sensoriali, autolesionismo, difficoltà nella scelta autonoma di attività e la tendenza a mantenere le stesse routine (Billstedt et al., 2007).

La letteratura indica che, da adulte, molte persone con ASD si trovano svantaggiate nell’affrontare le varie tappe tipiche della loro fase di vita, ossia l’impiego lavorativo, le relazioni sociali (amicali e sentimentali), la salute sia fisica che mentale e la Qualità di Vita (QdV; Howlin e Moss, 2012). Pertanto, solo il 14% circa dei soggetti risulta sposato o in una relazione sentimentale e un quarto ha almeno un amico (Howlin e Moss, 2012). Bishop-Fitzpatrick et al. (2016) affermano che sia la percentuale di soggetti che lavorano per 10 o più ore a settimana, sia quella degli individui che vivono in maniera indipendente o semi- indipendente, si avvicina al solo 20%. Gli autori affermano, inoltre, che almeno la metà ha comorbidità con altri disturbi mentali (Bishop-Fitzpatrick et al., 2016, vedi anche APA, 2013/2014; Billstedt et al., 2011; Cottini, 2010; Gotham et al., 2015).

Cribb, e colleghi (2019) sostengono che, nelle ricerche sugli outcome autistici, vengono spesso ignorate le esperienze soggettive delle persone e ciò che per loro sta a significare una vita soddisfacente. Nel loro studio si sono soffermati ad analizzare in maniera qualitativa le aspirazioni di giovani adulti con Autismo ed è emerso che la maggior parte di loro ambiva ad assicurarsi un lavoro, vivere indipendentemente dai propri genitori, prendere decisioni in maniera autonoma e avere una buona salute mentale. Inoltre, Griffith e colleghi (2012) affermano che, tra i temi più rilevanti emersi dai partecipanti allo studio, si possono annoverare i problemi lavorativi, le esperienze di supporto convenzionale e i futuri step necessari per il supporto degli adulti con ASD. I soggetti hanno poi lamentato una grande fatica nello svolgere le attività quotidiane, gli imprevedibili cambiamenti d’umore e la costante ansia (Griffith et al., 2012). Mentre i loro coetanei lasciano casa, si fidanzano, si iscrivono all’università o trovano lavoro, molti adulti con ASD si sentono come se fossero stati lasciati indietro (Stoddart, 2005).

Gli adulti che hanno sviluppato strategie compensatorie e meccanismi di coping per mascherare la loro difficoltà nelle situazioni sociali possono soffrire per lo stress e lo sforzo di dover mantenere una maschera socialmente accettabile e dover calcolare coscientemente quello che per la maggior parte delle persone è socialmente intuitivo (APA, 2013/2014). A tal proposito, parlando della propria esperienza nella condizione autistica, Anna Chiodoni (2017) propone una metafora molto esplicativa:

Un’immagine che posso utilizzare per spiegare un po’ come mi sentivo era che tutti avessero un manuale in cui erano scritte tutte le regole per un’efficace comunicazione con gli altri, e io ero l’unica a non avere una copia. L’unica soluzione era tentare volta per volta per vedere cosa funzionava e cosa no, spesso imitando i comportamenti altrui per cercare di mimetizzarmi meglio. L’altra soluzione era quella di isolarmi il più possibile, facendo la timida, dato che quella almeno era una forma di inettitudine sociale relativamente più accettata dai miei compagni (p. 168).

Rispetto alla qualità di vita (QdV) degli adulti con ASD, dallo studio di Bishop-Fitzpatrick e colleghi (2016), emerge che soltanto il 13,9% del campione ha ottenuto buoni risultati negli indicatori di QdV oggettiva. I pochi studi che si sono occupati di indagare il rapporto tra gli outcome convenzionali e le misure della QdV nella ricerca in campo autistico, hanno rilevato che gli outcome oggettivamente definiti soddisfacenti non vanno necessariamente di pari passo con una migliore QdV e che questi due elementi risultano essere migliori quando vengono presi in considerazione fattori soggettivi (Bishop-Fitzpatrick et al., 2016; Cribb et al., 2019; Müller e Cannon, 2014). Pertanto, Ruble e Dalrymple (1996; citati da Cribb et al., 2019) evidenziano l’importanza di andare oltre i tradizionali outcome per comprendere ciò che significa avere una vita soddisfacente per gli stessi soggetti autistici, considerando in particolare l’incrocio tra la persona e il suo contesto.

Il problema dell’Autismo in età adulta: i servizi in Italia

Il complesso quadro di necessità e difficoltà che caratterizza la condizione adulta delle persone con ASD evidenzia la necessità che ai giovani con ASD sia garantita una transizione pianificata dai servizi sanitari per minori a quelli per gli adulti (National Institute for Health and Clinical Excellence [NICE], 2021); tuttavia, gli studi che indagano i modi migliori per farlo sono ancora scarsi (Murphy et al., 2016). Allo stato attuale, risultano, infatti, ancora estremamente limitate le possibilità di intervento per adulti con ASD e, di conseguenza, anche la letteratura a tal proposito è molto scarsa, sia in termini di quantità che di qualità (Brugha et al., 2015; Hesselmark et al., 2016).

Gli studi dimostrano che le persone autistiche vivono grandi sfide e difficoltà durante la loro transizione verso l’età adulta e che queste non sono sufficientemente sostenute dai servizi disponibili per loro (Francescutti et al., 2016; Shattuck et al., 2011; Stoddart, 2005). Diverse ricerche, infatti, si sono soffermate sul fatto che, nonostante l’aumento delle sfide (vita indipendente, inserimento lavorativo, relazioni interpersonali), i ragazzi con ASD che raggiungono la maggiore età si ritrovano a dover affrontare un’improvvisa diminuzione dei servizi erogati dallo Stato (Cosimetti, 2018; Shattuck et al., 2011; Stoddart, 2005). Sebbene la clinica e la ricerca si stiano muovendo molto per sviluppare interventi sempre più efficaci e precoci per i bambini con ASD, questo non costituisce una scusa per non agire anche con gli adulti che presentano la stessa condizione (Vagni, 2015). L’aumento delle opportunità educative per i minori non si traduce, infatti, necessariamente in migliori risultati negli adulti; al contrario, spesso la scarsità di supporti in età adulta è associata a cattivi outcome sia in termini clinici, che di funzionamento adattivo, che di QdV (Eaves e Ho, 2008).

I bisogni di salute insoddisfatti degli adulti con ASD, la mancanza di servizi e di interventi mirati, individualizzati e specifici per l’età, e l’aumento dei tassi di prevalenza negli anni contribuiscono ad aumentare il carico di malattia sulle stesse persone mentre invecchiano, sulle loro famiglie e sulla società (Murphy et al., 2016). C’è, quindi, un urgente bisogno di migliorare la cura delle persone con ASD lungo l’intero arco di vita, in modo da evitare che i giovani adulti (e le loro famiglie) perdano l’assistenza sanitaria in un momento così importante e vulnerabile, quale la transizione dai sistemi sanitari ed educativi per i minori a quelli per gli adulti (Murphy et al., 2016).

Gli interventi per gli adulti con ASD

Diversi autori hanno argomentato il bisogno di sviluppare opzioni di trattamento psicosociale di alta qualità per adulti con ASD (Bishop-Fitzpatrick et al., 2013; Gotham et al., 2015; Hesselmark et al., 2016) e il fatto che gli interventi di supporto dovrebbero essere individualizzati, costruiti su misura del soggetto (Billstedt et al., 2007; Bruni e Facchi, 2018; NICE, 2021), nel rispetto della sua libertà di scelta personale (Schroeder et al., 1996). Non essendo, l’Autismo, una condizione limitata all’età infantile, la progettazione degli interventi per gli individui che ne sono affetti, dovrebbe essere pensata in un’ottica di intero ciclo di vita (Developmental-lifespan approach; Cottini, 2010; Micheli, 1999; Stoddart, 2005).

In letteratura sono presenti sporadiche ricerche focalizzate sull’efficacia degli interventi per adulti con ASD (Gotham et al., 2015; Hesselmark et al., 2016; Howes et al., 2017), anche se diversi autori hanno riportato gli effetti positivi di vari tipi di trattamento e, pertanto, li raccomandano rispettivamente: interventi comportamentali (Gotham et al., 2015; Howes et al., 2017) e cognitivo-comportamentali (Hesselmark et al., 2016; Russel et al., 2013), programmi di occupazione assistita (García-Villamisar e Hughes, 2007, citato da Bishop-Fitzpatrick et al., 2013; Howlin e Moss, 2012), training di abilità sociali (Hesselmark et al., 2016; Howes et al., 2017; NICE, 2021).

Gli studi citati paiono promettenti, ma è in realtà estremamente difficile trovare dei lavori che abbiano un alto grado di validità scientifica e statistica. Hesselmark e colleghi (2016), ad esempio, nel commentare gli effetti positivi ottenuti da due differenti interventi di gruppo, affermano che non è chiaro se tali risultati siano in effetti dovuti a qualcosa di più della semplice influenza dell’interazione sociale, presente in qualsiasi tipo di intervento di gruppo. Faja e colleghi (2012) sostengono, inoltre, che i miglioramenti ottenuti nei vari interventi, potrebbero rappresentare un generale effetto di maggiore motivazione e pratica o, ancora, di regressione verso la media quando i soggetti vengono testati più volte.

Ciò che si sta dimostrando essere un elemento sempre più trasversale in letteratura è il crescente interesse, sia da parte dei ricercatori, che, soprattutto, da parte degli stessi soggetti con ASD e dei loro caregiver, verso il raggiungimento di un buon livello di QdV (Bishop-Fitzpatrick et al., 2016; Brugha et al., 2015; Cottini, 2010; Howes et al., 2017; NICE, 2021), attraverso la conquista di una progressiva autonomia e indipendenza (Howlin e Moss, 2012; Müller e Cannon, 2014) e l’apprendimento delle cosiddette daily living skills (Bishop-Fitzpatrick et al., 2016; Bruni e Facchi, 2018).

 

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