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Intervista alla Dott.ssa Daniela Rebecchi – La cura per ansia e depressione in Italia: Consensus Conference Nr. 8

La Dott.ssa Daniela Rebecchi, psicologa psicoterapeuta, in qualità di Esperto ha partecipato alla Consensus Conference e risponde alle nostre domande

Di Gloria Angelini

Pubblicato il 31 Lug. 2022

Aggiornato il 04 Ago. 2022 15:15

Intervistiamo la Dott.ssa Daniela Rebecchi poiché è stata parte attiva del progetto della Consensus Conference sulle terapie psicologiche per ansia e depressione in qualità di Esperto, per conoscere il suo parere e la sua esperienza rispetto a questo importante progetto.

LA CURA PER ANSIA E DEPRESSIONE IN ITALIA – CONSENSUS CONFERENCE – (Nr. 8) Intervista alla Dott.ssa Daniela Rebecchi

 

La Dott.ssa Daniela Rebecchi è psicologa psicoterapeuta, è stata direttrice dell’U.O.C. Psicologia Clinica, del dipartimento di salute mentale della Ausl di Modena, ed è attualmente responsabile della sede di Studi Cognitivi Modena, Direttore scientifico della Clinica Disturbi di Personalità di Modena.

Intervistatrice: Buongiorno Dott.ssa Rebecchi, grazie per la sua disponibilità a rispondere alle nostre domande. Cosa l’ha spinta a prendere parte al progetto della Consensus Conference?

Dott.ssa Rebecchi: Buongiorno a voi. La motivazione alla partecipazione al progetto è nata, innanzitutto, dalla condivisione dell’obiettivo generale della Conferenza, ovvero promuovere la conoscenza e l’applicazione delle terapie psicologiche di efficacia dimostrata per ansia e depressione e favorire l’accesso della popolazione a cure psicologiche appropriate. L’obiettivo si basa su un problema reale: il gap di trattamento, ovvero l’elevato numero di persone che soffrono di ansia e depressione e la scarsa disponibilità di accoglienza da parte dei servizi pubblici di salute mentale. Questa situazione spinge inevitabilmente molti a ricorrere al mercato privato, che ha costi maggiori, e molti altri, che non dispongono di adeguate risorse finanziarie, a rinunciare alle cure, quindi al proprio benessere psicologico. Nel nostro Paese, essere costretti a rinunciare alla cura della propria salute è incostituzionale, alla luce dei dettami che ne sanciscono la tutela da parte dello Stato (si faccia riferimento all’articolo 32 della Costituzione e all’Art.1 della legge n. 833/78).

Dunque, l’adesione è stata data dal valore umanitario e scientifico del progetto e anche dalla curiosità nel partecipare ai lavori di una Consensus Conference in ambito psicologico.

La collaborazione al progetto è avvenuta in qualità di esperto in uno dei Tavoli di lavoro “Modelli organizzativi e gestionali per l’erogazione degli interventi psicoterapeutici per ansia e depressione” e oggi nel Comitato Promotore .

Intervistatrice: Nel documento viene citato spesso, come rationale –motivazione di base–, il fatto che alcune forme di psicoterapia sono comparabili all’efficacia dei farmaci nel trattamento di ansia e depressione. Pensa che diffondere una conoscenza più ampia sul tema possa essere utile per incrementare l’accesso alle cure?

Dott.ssa Rebecchi: Certamente, infatti tra le raccomandazioni della Consensus è presente quella di sensibilizzare l’opinione pubblica (e i potenziali utenti) circa l’efficacia e la disponibilità delle terapie psicologiche, per rendere praticabile l’effettiva possibilità di scelta delle terapie psicologiche rispetto a quelle farmacologiche.

La presentazione ai cittadini dell’efficacia delle terapie psicologiche, e conseguentemente quali altre terapie risultano efficaci, è fondamentale per favorire l’operare di scelte consapevoli nell’affrontare situazioni di disagio e disturbo. Nello specifico, le preferenze delle persone rispetto al trattamento per la propria sofferenza è un fattore etico che incide sull’alleanza terapeutica e quindi sulla sua efficacia. Infatti, lo studio di Swift e colleghi (2011) ha mostrato che le persone che seguono la terapia preferita (tra psicoterapia, farmaci e trattamento integrato) hanno una migliore aderenza, un minore drop-out e un risultato nettamente migliore nella cura.

Dunque, per far sì che la scelta dei pazienti sia appropriata per il tipo di disturbo, è necessario rendere maggiormente accessibili informazioni scientificamente attendibili e pertinenti al caso.

La scelta tra seguire una terapia psicologica e un trattamento farmacologico andrebbe fatta sulla base delle evidenze empiriche secondo cui per i Disturbi Mentali Comuni (DMC; come ansia e depressione) la psicoterapia è spesso più efficace dei farmaci, poiché vi sono più benefici a lungo termine, quali meno ricadute, effetti più duraturi e che aumentano nel tempo.

A questo proposito, da più studi è emerso che i pazienti assegnati –a prescindere dalle loro preferenze– ad un trattamento farmacologico hanno un rifiuto e un abbandono della cura più elevato (rispettivamente del 76% e del 20%) di quelli assegnati alla psicoterapia (Swift et al. 2017). Mediamente, quasi un paziente su quattro con disturbi depressivi ed ansiosi in cura solo con il trattamento farmacologico abbandona prematuramente il percorso. Un’interessante tendenza emersa da altri studi (per esempio, McHugh et al., 2013) evidenzia che tre pazienti su quattro preferiscono un trattamento psicologico alla farmacoterapia.

L’INTERVISTA CONTINUA DOPO L’IMMAGINE:

I percorsi clinici della psicologia 2018 Rebecchi Recensione.jpg

Imm. 1 – I percorsi clinici della psicologia – Libro a cura di D. Rebecchi

Intervistatrice: Come pensa che possa essere recepito questo documento dai cittadini e dagli organi di Governo? Quali meccanismi potrebbe generare?

Dott.ssa Rebecchi: Sicuramente porterà a un incremento dell’informazione rispetto ai contenuti presenti nel documento sia per il cittadino che per i professionisti. Infatti, ritengo che il documento finale della Consensus Conference, o meglio una sintesi sui contenuti del documento, possa essere recepito quale base di corretta informazione per effettuare una scelta di cura più informata e consapevole da parte dei cittadini, che oggi mostrano una sempre maggior richiesta di informazioni sulle terapie psicologiche in generale. Ciò auspicabilmente potrebbe generare un aumento dell’utenza della richiesta di cura sia nel pubblico che nel privato.

Allo stesso modo, per il  Governo, in particolare per Ministero della Salute, può essere utile per strutturare meglio quanto già indicato dalla normativa vigente; basti pensare ai Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) del 2017, ove viene espressamente richiesto un intervento sanitario appropriato ed efficace che deve essere supportato da evidenze scientifiche. La criticità si riscontra nelle scelte delle Regioni, che hanno il mandato del potere decisionale in materia di programmazione e gestione della sanità nell’ambito territoriale di loro competenza, avvalendosi delle aziende sanitarie locali (Asl) e delle aziende ospedaliere. Anche per le Regioni, dunque, questo documento può essere lo spunto per una riflessione nell’ottica di un miglioramento dei sistemi che erogano servizi sanitari in risposta alle problematiche d’ansia e depressione .

Intervistatrice: Quando si parla di stepped-care, ovvero interventi strutturati su livelli d’intensità in base alla gravità dei sintomi, spesso si fa riferimento al modello inglese. Pensa che si possa attuare in Italia un programma come l’IAPT?

Dott.ssa Rebecchi: Se ci riferiamo a una riproposizione dell’IATP nel SSN, non credo che possa essere attuabile. Principalmente perché in Gran Bretagna sono stati il sistema governativo e le forze economiche ad attivare il progetto su base nazionale, in Italia penso sia difficilmente realizzabile. A questo si aggiunge nel nostro Paese l’assenza di una cultura delle evidenze empiriche e del monitoraggio degli esiti degli interventi.

Ciò non significa che progetti similari con medesime finalità non possano essere proposti sia nel SSN che nel privato.

Penso che possano essere costruite e realizzate nel territorio forme organizzative diverse ma similari, volte a facilitare l’accesso, a favorire interventi precoci, a individuare interventi a differenti livelli di intensità in base alla gravità dei sintomi, a monitorare e valutare gli esiti. Questo in riferimento al fatto che in Italia sono già presenti e attivi alcuni servizi nel SSN che operano secondo questi obiettivi, anche se rappresentano realtà isolate in differenti Regioni (per esempio, nel territorio di Modena).

Intervistatrice: Nel caso in cui il SSN riesca a strutturare l’offerta di cure psicologiche per ansia e depressione in modo più adeguato, cosa pensa che possa accadere al settore privato, che ad oggi detiene il mercato delle cure psicologiche?

Dott.ssa Rebecchi: Proprio per il gap di trattamento citato precedentemente, ad oggi le terapie d’ansia e depressione sono effettuate più nel privato che nel pubblico. Da una recente indagine si evince che nel SSN vengano erogate una maggioranza di terapie brevi, al contrario di ciò che avviene nel privato. Quindi allo stesso cittadino vengono presentate due tipologie di terapie differenti.

Quello che si può auspicare è che nel SSN venga offerta una risposta terapeutica appropriata e percorsi clinici strutturati per intensità di cura, ma anche che nel privato la terapia offerta risponda a criteri di appropriatezza e sia basata sulle evidenze scientifiche. Perciò, anche se il SSN attuasse i suggerimenti della Consensus Conference non riuscirà a soddisfare l’intera domanda; pertanto, il mercato delle cure private non subirà una variazione del flusso di richieste. Si inizia a parlare oggi di forme di collaborazione tra pubblico e privato per l’erogazione dei trattamenti psicologici e psicoterapici.

Intervistatrice: Sebbene non siano disponibili dati accertati relativi all’Italia, si parla molto del fenomeno del drop-out, ovvero un abbandono prematuro del percorso di cura da parte del paziente. Nell’ottica di un modello stepped-care distribuito dalle Regioni nel nostro Paese, come pensa che si possa evitare o gestire tale fenomeno in Italia?

Dott.ssa Rebecchi: Penso che prima di affrontare il problema dell’abbandono delle cure, per il nostro Paese sia indispensabile lavorare per favorire e incrementare l’accesso alla cure, in primis nel SSN ma anche nel privato.

Una volta messi in atto strumenti come la differente intensità delle cure, un’offerta diversificata di terapie efficaci e il monitoraggio degli esiti degli interventi, può essere utile ragionare su come gestire l’interruzione delle cure da parte dei pazienti. In generale, penso che per gestire il drop-out si possa lavorare sull’ingaggio alla cura, effettuare una buona valutazione soprattutto nei casi complessi, discutere con il paziente i possibili scopi di cura e quali terapie possono essere più efficaci per la specifica difficoltà, per operare una scelta nella quale il paziente si senta protagonista, sempre guidata dal clinico.

Intervistatrice: Cosa ne pensa delle borse lavoro messe al bando da ENPAP?

Dott.ssa Rebecchi: Quella che sarà l’esperienza delle borse lavoro messe al bando dall’ENPAP, ma anche l’attuale attività psicoterapica legata alla decisione del Governo del Bonus Psicologico, possono rappresentare una sfida nella facilitazione degli accessi alle terapie, nell’offerta di terapie efficaci e al monitoraggio degli esiti.

Intervistatrice: Quali pensa che possano essere i limiti di un progetto come la Consensus Conference?

Dott.ssa Rebecchi: Sicuramente il progetto ha rappresentato un notevole e insolito sforzo culturale, oltre che di grande valore scientifico, tuttavia è possibile evidenziare dei limiti.

I limiti, dal punto di vista metodologico, risiedono nella pretesa della Consensus di non essere esaustiva nei lavori e di concentrarsi dunque solo sulle aree ritenute fondamentali dai quesiti individuati. Impostazione del lavoro che ha certamente una sua fondatezza e ragion d’essere pragmatica, poiché l’argomento di discussione deve necessariamente essere circoscritto ed è proprio il focus specifico che consente un lavoro puntuale, oltre che funzionale in termini di diffusione dei risultati.

I temi di ansia e depressione sono stati individuati perché rappresentano una sofferenza dei cittadini, evidenziata da dati epidemiologici, che non trova risposta in termini di assistenza pubblica nel SSN.

Tuttavia, la discussione in merito alla carenza dell’assistenza sanitaria pubblica riservata a questi disturbi ha riguardato una specifica fascia d’età: gli adulti.

Ciò che deve essere ancora approfondito riguarda la gestione dei servizi per ansia e depressione –epidemiologicamente presenti– nell’infanzia, nella terza e quarta età, come evidenziato anche nel report finale della Consensus.

Intervistatrice: Per concludere, cosa le ha lasciato questa esperienza?

Dott.ssa Rebecchi: Essendo i partecipanti al progetto affiliati a differenti enti e rappresentanti di diverse ambiti e prospettive, ed essendo l’obiettivo della Consensus proprio quello di trovare accordo tra i vari punti di vista, ho trovato il momento del confronto di grande valore, in alcuni casi anche acceso, ma sempre costruttivo e fonte di arricchimento personale.

Intervistatrice:  Ed è proprio sul valore del confronto che concludiamo questa interessante intervista. Il confronto con lei ci ha permesso di approfondire alcuni risvolti pratici della Consensus Conference e, allo stesso tempo, ha stimolato altre riflessioni in merito alla situazione dell’assistenza sanitaria per la salute mentale in Italia.

La ringraziamo per il suo tempo e per aver condiviso con noi la sua esperienza e il suo pensiero!

 

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