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Discalculia. Dalla scienza all’insegnamento (2021) – Recensione

Non è difficile immaginare come un bambino con discalculia mostri difficoltà non solo nella matematica ma anche in quanto a essa connesso, come muoversi?

Di Marta Rebecca Farsi

Pubblicato il 18 Mag. 2022

Uno dei maggiori esperti nello studio della discalculia ne fornisce, nel testo Discalculia. Dalla scienza all’insegnamento, un quadro descrittivo esauriente ed aggiornato, capace di analizzare tutti i principali aspetti del disturbo. 

 

 Dalla scienza all’insegnamento. L’arduo percorso anticipato dal titolo inizia con un’ampia descrizione eziopatologica, in cui viene evidenziata la presenza di un dominio cerebrale specificamente deputato all’elaborazione numerica. Importante risultante scientifico che, se da una parte contribuisce a rafforzare l’ipotesi di un’eziologia neurobiologica del disturbo, dall’altra convalida l’esistenza di una capacità numerica innata nell’essere umano.

Riprendendo un modello teorico già esposto in sue precedenti opere, Butterworth (1999) estende alla competenza numerica la connotazione di innatismo che Chomsky (1965) prospettò per la capacità linguistica, sostenendo come sia erroneo credere che il bambino, sin dalle prime fasi della vita, non possegga una strumentazione cerebrale in grado di percepire l’entità numerica, pur senza avere nessuna conoscenza- analogica, verbale o arabica- del numero.

Il mistero del modulo numerico

La conoscenza numerica è ospitata all’interno di uno specifico dominio cerebrale, una sorta di kit di partenza che consente di esercitare precocemente la capacità di subitizing, intesa come istinto percettivo del numero. Questo nucleo, denominato Modulo Numerico, si trova in corrispondenza del solco temporale, e costituisce la base indefettibile per la conoscenza semantica del concetto di quantità.

È grazie all’attivazione di questa area che il cervello è capace di suddividere il mondo in termini di numerosità e di attribuire agli oggetti la connotazione di identità separate. Ovviamente si tratta solo di una base di partenza: la capacità di comprensione del modulo numerico non va oltre il numero 3; il suo progressivo arricchimento sarà legato all’azione interattiva tra fattori individuali- inerenti caratteristiche genetiche e stadio evolutivo- e fattori socio-culturali, riferiti alla scolarizzazione e alla familiarizzazione con la dimensione aritmetica. Tanto più questa area cerebrale verrà attivata con stimolazioni mirate, tanto più riceverà uno sviluppo quantitativo e qualitativo, affinando le proprie competenze.  Al contrario, un esercizio deficitario o non continuativo comporterà una compromissione della competenza numerica e una parziale atrofia dell’area cerebrale corrispondente.

L’apprendimento matematico può essere stimolato già in età prescolare, mediante la somministrazione, da parte della famiglia, di stimoli specifici con cui il bambino può approcciarsi alla conoscenza rudimentale del numero. I genitori devono favorire la costruzione di un contesto comunicativo e interattivo che prenda in considerazione la dimensione matematica, dimostrandone le ricadute applicative nella realtà quotidiana. Certo questo non riesce ad evitare lo sviluppo di una discalculia, ove se ne presentino le condizioni biologiche specifiche, ma serve quanto meno ad agevolare la conoscenza matematica in tutti i casi in cui non esistano impedimenti all’apprendimento della stessa.

La disfunzionalità del modulo numerico

Affermare l’esistenza di una predisposizione innata all’intelligenza numerica implica riconoscere che, in alcuni soggetti, le aree deputate al processamento numerico possano risultare deficitarie, e dunque più vulnerabili rispetto alla media. L’autore identifica questo svantaggio con il termine di deficit nucleare, perché relativo alla disfunzionalità di quello stesso nucleo cerebrale che fornisce la chiave di lettura di ogni informazione a carattere numerico presente nella realtà, oltre che nei libri di matematica. Non è certo difficile immaginare come un discalculico mostri serie difficoltà non soltanto nell’apprendimento delle tabelline e nella scrittura delle cifre, ma anche nella lettura dell’orologio e nella memorizzazione dei numeri telefonici. Da qui una compromissione del processo evolutivo e della qualità della vita, che può condurre all’adozione di strategie compensatorie ancor più disfunzionali e dannose. L’autore riporta il caso paradossale di un ragazzo inglese che, pur di mascherare la propria incapacità di destreggiarsi con resti e pagamenti alla cassa, prese ad organizzare piccoli furti nei negozi, arrivando addirittura a farsi arrestare!!

 Il deficit nucleare può essere dovuto a molteplici cause, di cui il testo riporta precisa descrizione: una vulnerabilità genetica, che rende possibile una familiarità al disturbo, condizioni soggettive del neonato, come il basso peso, la sofferenza fetale, una nascita prematura; comportamenti inadeguati assunti durante la gestazione, quali ad esempio stress perinatale, alimentazione insufficiente o sregolata, assunzione di fumo, alcool o psicofarmaci. A tal proposito la FAS, sindrome generata dall’assunzione di alcolici durante la gravidanza, comporta un’esposizione al disturbo particolarmente elevata, dato come la sua presenza patologica provochi la disfunzionalità di quelle stesse aree cerebrali necessarie al processamento numerico, tra cui la sostanza bianca e i lobi parietali. Dal punto di vista neurologico viene citata la sindrome di Gertseman, in cui un’agnosia digitale compromette una rappresentazione mentale delle dita e la costruzione di un funzionale orientamento sx-dx. Possiamo solo immaginare quanto questo possa rivelarsi un fattore oppositivo all’apprendimento matematico, soprattutto nelle prime esperienze di conteggio, in cui l’utilizzo delle dita- counting on fingers – si mostra uno strumento di ausilio assolutamente indefettibile.

Dalla diagnostica alla politica sociale: il messaggio del testo

In ambito diagnostico l’autore evidenzia la necessità di operare una distinzione tra diagnosi orientata alla valutazione e diagnosi orientata al sostegno, la prima importante per identificare la presenza oggettiva del disturbo, e la seconda per favorire l’applicazione di programmi di recupero individuali, ciclici ed intensivi, modellati sulle caratteristiche della zona prossimale del soggetto.

Dal punto di vista didattico viene ribadita la necessità di costruire una didattica individuale e personalizzata, per questo più attenta ai bisogni e alla capacità dell’allievo che alle tempistiche didattiche; è necessario avanzare a piccoli passi, limitare il carico di memoria e traslare i numeri in una dimensione concreta, per strappare la matematica a quei connotati di inconoscibilità e di astrattezza che, specie per un discalculico, possono mostrarsi eccessivi. Il numero deve diventare un oggetto concreto, da manipolare e controllare, per ottenere sullo stesso quel feedback visuo-sensoriale così importante nelle prime fasi dell’apprendimento.

La flessibilità dello stile didattico può tradursi anche nell’impostazione di lezioni alternative rispetto a quelle canoniche, in cui vengono valorizzate le potenzialità interattive e creative degli allievi, in modo da favorirne l’interesse e la motivazione, anche mediante l’impiego di programmi digitali.

Tutto questo senza pretendere troppo né colpevolizzare eventuali regressioni, errori o incidenti di percorso. La paura del numero è controproducente all’apprendimento della matematica e di qualsiasi altra materia, oltre a trasmettere il messaggio, ben poco educativo, che spinge a colpevolizzare le difficoltà, anziché provare a limitarle.

Certo la scuola non può fare tutto da sola. I programmi di ausilio sono costosi, così come i cicli di potenziamento e i trattamenti di recupero. Grande impegno, sotto questo punto di vista, deve essere assunto dalle politiche istituzionali, chiamate a sostenere con contributi finanziari gli strumenti riabilitativi che si rendono di volta in volta necessari. Non solo impegno economico, tuttavia: le istituzioni devono impegnarsi nella creazione di politiche di sostegno volte a riconoscere il disturbo discalculico e a legittimarne l’esistenza, in vista di un più agevole inserimento socio-lavorativo.

È necessario che l’orientamento inclusivo trovi continuità nel contesto extra scolastico, affinché il discalculico possa attuare sul lungo termine quegli stessi progetti cui la scuola lo ha motivato, prospettandone la realizzabilità.

La discrasia tra modelli teorici ed attuazioni pratiche deve essere quanto più possibile ridotta. Nessuna vena polemica, da parte dell’autore, ma un appello esplicito a tutti quegli organismi istituzionali che possono rendere la gestione del disturbo discalculico in linea con una continuità di intenti e coerenza degli obiettivi che “parta dall’alto”.

Discalculia. Dalla scienza all’insegnamento. Fino alle istituzioni, potremmo aggiungere.

Il testo lancia un messaggio diretto e concreto, in coerenza con uno stile espressivo altrettanto risoluto: la scienza e la didattica non devono percorrere binari paralleli, ma tracciare percorsi flessibili, destinati all’incontro e all’integrazione multidisciplinare. Questo avverrà se le scoperte scientifiche non resteranno mere dissertazioni da laboratorio, ma verranno effettivamente trasferite nel contesto scolastico e socio-istituzionale, ove potranno esplicare la propria efficacia attuativa. Perché una difficoltà non diventi un limite insormontabile è necessario un impegno collettivo, da parte del micro come del macro sistema. In vista dell’obiettivo finale, e tuttavia primario: valorizzare il discalculico come allievo e come persona.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Butterworth, b. (2021) Discalculia: dalla scienza all’insegnamento, Hogrefe, Firenze;
  • Butterworth, B. (1999), The mathematical brain, London, Macmillan;
  • Chomsky, N. (1965), Aspects of the Theory of Syntax. MIT Press.
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