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Covid e stato mentale

Nessuno esce immune dalla pandemia, nemmeno chi mette in moto tutta la più abile resilienza; sta durando da troppo e la cassa di risonanza è davvero potente

Di Giuseppe Femia

Pubblicato il 24 Mag. 2022

Aggiornato il 27 Mag. 2022 11:58

Il Covid-19 sollecita ciascuna vulnerabilità in modo trasversale e colpisce tutte le psicologie: attiva il fobico, scompensa l’ossessivo, stimola il paranoide complottista, sfida il narcisista e confonde il rabbioso.

 

 Il contagio da Covid-19 è in primis di tipo psichico. Infatti, ad oggi diversi studi hanno documentato come la pandemia abbia avuto un significativo impatto psicologico, determinando un incremento della sofferenza, un peggioramento della qualità di vita, dei rapporti affettivi e interpersonali, sia nella popolazione clinica che in quella generale, (Femia et al., 2020; Wang et al., 2020; Qiu et al., 2020; Cullen et al., 2020; Giallonardo et al., 2020).

Ancora prima di contrarre il virus, ci suggestioniamo, ne sentiamo i sintomi, ci preoccupiamo, ci allarmiamo, ci iper-proteggiamo, attuiamo un comportamento iper-prudenziale con inibizione e controllo.

Nonostante sia questo lo stato mentale sperimentato, ancora non diamo la giusta importanza alle evidenti conseguenze psicologiche che viviamo e ai costi morali che stiamo in diversi modi pagando. Minimizziamo e tendiamo a negare lo stato psicologico di sofferenza e disagio; non vogliamo scoprirci deboli e sofferenti?

Trascuriamo forse l’impatto virale di questa pandemia sulle nostre menti: siamo allarmati, stanchi, demoralizzati e sempre attivi a controllare sintomi, contagi, contatti a rischio, contatti occasionali, monitoriamo in modo selettivo i nostri sintomi e le nostre sensazioni fisiche (stanchezza, tosse, spossatezza, sudorazione, confusione) un ragionamento emozionale quasi come avviene in alcuni quadri fobici ed ipocondriaci.

Non riusciamo a riprendere un ritmo di vita normale, un’ombra ci segue e questa rappresenta i nostri comuni timori: malattia, isolamento, morte, responsabilità, contagio, ostracismo sociale, abbandono, solitudine.

Il Covid-19 sollecita ciascuna vulnerabilità in modo trasversale e colpisce tutte le psicologie: attiva il fobico, scompensa l’ossessivo, stimola il paranoide complottista, sfida il narcisista e confonde il rabbioso.

Alcuni si confermano la credenza secondo cui il mondo è malevolo e il futuro nefasto, altri si convincono che vi sia un controllo supremo che vigila, gestisce, boicotta, controlla, e altri ancora si scoprono finalmente fragili e bisognosi.

Insomma, nessuno ne esce immune, persino chi mette in moto tutta la più abile resilienza. Sta durando da troppi anni e la sua cassa di risonanza è davvero potente.

In questi giorni in Cina vengono sacrificati animali, cani e gatti, vengono sequestrati e/o abbandonati ed uccisi: una crudeltà infinita che risponde tanto ad uno spietato bisogno di sopravvivenza quanto ad una irragionevole paura che dilaga e si espande, generando comportamenti di evitamento, lavaggio e aggressività. Questo virus stimola lo stato mentale del contaminato e la tendenza a vivere emozioni di colpa e disgusto con conseguenti ragionamenti di matrice ossessiva o comportamenti fobici e di evitamento.

Alla ricerca di immunità mettiamo in atto evitamenti, condotte di tipo preventivo e in taluni casi distruttive cercando di neutralizzare il rischio di contagio da Covid-19.

Questi comportamenti corrispondono ad un proliferare di problemi ulteriori: scarso contatto sociale, impoverimento dei rapporti affettivi, degli scambi e isolamento; condizioni, queste, che si sommano al problema primario senza riuscire ad annullare il rischio del contagio.

 Il lockdown ha funzionato senza alcun dubbio, il lavoro da casa altrettanto, eppure attualmente, ora che la maggior parte della popolazione è stata vaccinata, le eccessive misure di prevenzione sembrano avere più rischi che vantaggi; forse dovremmo ristrutturare le nostre credenze a riguardo e gestire in modo più funzionale le nostre paure e generalizzazioni.

Inoltre, il Covid-19 sembra determinare una stanchezza prolungata, una sorta di nebbia mentale che ci porta a sentirci deboli e vulnerabili.

In taluni casi sembra essere un vero e proprio fattore di scompenso. In tanti riportano un incremento o un esordio di disagio e sofferenza psicologica; riferiscono spesso emozioni negative di tristezza, ansia con problematiche di angoscia, solitudine, rabbia e correlati comportamentali disfunzionali fra cui insonnia e ritiro sociale.

Sarebbe dunque il caso di iniziare a studiare le conseguenze emotive e psichiche connesse al contagio e al virus Covid-19.

Questo virus ha certamente scosso le nostre menti, riattivato le nostre più sopite paure, sottoponendoci ad altissimi livelli di stress. Minaccia i nostri bisogni di base e i nostri scopi in generale, dal bisogno di vicinanza, al gioco, alla necessità di essere autonomi, forti e indipendenti.

La pandemia sembra avere generato uno stato mentale generalizzato e condiviso di allarme e disagio psicologico che ha messo tutti in contatto con le più profonde debolezze e per molti ha rappresentato elemento di rottura, cambiamento, fallimento.

Una variante dopo l’altra, insomma un’inarrestabile minaccia che ci colpisce in modo imprevedibile, alle volte scompare ed ecco che poi spunta nuovamente, colpendo i più fragili, scombussolando programmi, scomponendo equilibri, generando conflitti e in alcuni casi risorse e cambiamenti.

Rimaniamo accettanti e stoici, ma forse proprio per favorire l’elaborazione dell’evento doloroso, sarebbe opportuno riconoscersi le emozioni e le debolezze senza fingersi ironici, forti e potenti.

 

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