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Il ruolo dei modelli nell’adolescenza

L’adolescenza è il periodo della comparsa del falso capo, una figura sostitutiva del genitore che il giovane adolescente investe di onnipotenza

Di Annalisa Balestrieri

Pubblicato il 06 Mag. 2022

Durante l’adolescenza ci si trova dinnanzi un cammino, più o meno impervio e oscuro, che conduce ciascuno di noi al raggiungimento dell’età adulta. In questo periodo è naturale il ricorso a modelli che aiutano a scegliere in quale direzione indirizzare i propri sforzi nella ricerca di un nuovo equilibrio. 

Dall’adolescenza all’età adulta

Si pensa spesso all’adolescenza come ad un periodo di passaggio, una fase con un inizio e una fine abbastanza delineabili. In realtà, però, non è una fase che scompare per sempre, quello che impariamo in questo periodo ci sarà utile nel futuro. La sua memoria e i suoi effetti si prolungano per tutta la vita e riemergono nei momenti cruciali e nelle grandi tappe dell’esistenza, come sostenuto da Erikson nel trattare le fasi dello sviluppo della personalità.

Nell’adolescenza vediamo il cambiamento che ci riguarda e ne sentiamo la portata, è una fase costruttiva in cui sentiamo il bisogno di coerenza, unità, in cui deve essere forte la percezione di sé. Per la prima volta le nostre aspettative devono confrontarsi con la realtà, a costo di delusioni.

Questo è forse l’aspetto principale di quanto dovremo apprendere perché i problemi che incontreremo nell’età dell’adolescenza (scelte, dilemmi, rapporti con i cambiamenti) non vengono superati con essa, ma da quel momento diventano parte del panorama esistenziale di ognuno di noi. Per imparare ad affrontarli, la crisi tipica di questa età deve essere affrontata e attraversata con la consapevolezza che non può essere evitata.

Il difficile processo di differenziazione

Durante l’adolescenza ristrutturiamo l’immagine di noi attraverso le modifiche cognitive ed emotive e il raggiungimento del pensiero logico, formale e autoriflessivo.

La crisi adolescenziale non può essere collocata in un periodo preciso, per alcuni può aver luogo anche in età adulta, oppure non verificarsi per tutta la vita. In questo caso, però, difficilmente riusciremo ad emergere da quello stato di dipendenza che caratterizza il periodo dell’infanzia.

La ricerca dell’autonomia passa attraverso la ribellione ai genitori. Ausubel, psicologo dell’età evolutiva, ci parla di un processo di desatellizzazione dalle figure genitoriali. Spesso l’adolescente si rifiuta di rispondere alle loro aspettative, assume dei modelli che loro vedono come negativi, esprime la deidealizzazione del genitore attraverso la critica, le identità negative di cui parla Erikson. La ribellione dell’adolescente non ha però una connotazione esclusivamente negativa, ma va vista come un progetto di vita.

Gli adolescenti hanno un umore fluttuante, sono spesso ambigui, svogliati, confusi. Si sentono inadeguati perché il concetto di sé è carente, l’autostima è bassa per la difficoltà dei compiti evolutivi che devono affrontare, per i vacillamenti e i fallimenti cui vanno incontro.

Gli eccessi

Durante l’adolescenza, le situazioni da affrontare appaiono enormi e catastrofiche. Gli adolescenti hanno aspettative e ideali esasperati e impossibili, il confronto con le frustrazioni è quindi enorme.

Uno dei problemi principali che incontra l’adolescente è un retaggio dell’infanzia, il non saper sopportare l’intervallo di tempo che intercorre tra i desideri e la loro soddisfazione. È necessario imparare a confrontarsi con la realtà e sopportare le frustrazioni che nascono da un’immagine inadeguata che si ha di sé e della realtà, dalla discrepanza che esiste tra ideale e realtà. Un percorso naturale e indispensabile, che deve però essere considerato tipico dell’adolescenza e che non è più funzionale se continua ad esistere nell’età adulta.

Falso capo

L’adolescenza è il periodo della comparsa del falso capo, una figura sostitutiva del genitore che il giovane adolescente investe di quell’onnipotenza di cui nell’infanzia aveva investito il genitore e nella quale cerca quella sicurezza che non ha ancora trovato in se stesso. Cambia il tipo di base sicura di cui ci parla Bowlby: se per il bambino il rapporto è fatto di accudimento, per gli adulti è fatto di reciprocità.

Qualunque cosa può fungere da falso capo, come può esserlo una persona (ad esempio il fidanzato, vissuto come unico amore al mondo) così può esserlo un ideale, in entrambi i casi questi saranno caratterizzati dall’eccesso di onnipotenza che gli viene attribuita. L’adolescente va soggetto a grandi delusioni e frustrazioni perché investe troppo in questo falso capo.

Dalla crisi e dall’illusione si passa alla delusione. Il conflitto che ne deriva non è solo inevitabile, ma è salutare. Quando l’adolescente fa questo investimento su altri e poi, un po’ alla volta, si rende conto di aver fallito perché quello che si aspettava non è realizzabile, torna in sé.

Queste crisi sono funzionali al disinvestimento, si passa dall’onnipotenza dell’altro alla ricerca della propria identità, alla fiducia nel proprio potere personale.

La figura di riferimento e la fine del mito

Fulvio Scaparro, psicologo e psicoterapeuta, ci dice che di una figura di riferimento non si può fare a meno e non è vero, come comunemente si pensa, che queste muoiano sempre spontaneamente quando si raggiunge l’adultità.

Perché ciò avvenga è indispensabile che si sappia mantenere da esse la necessaria distanza così da non confondere la propria personalità con la loro; solo in questo caso potranno svolgere appieno la loro funzione positiva, per poi svanire quando non saranno più necessarie. Chi vuole troppo avvicinarsi al modello rischia di fondersi con lui vivendo una sorta di vita immaginaria.

L’adolescenza è un periodo di crisi, non sempre le esperienze che si fanno a questa età sono positive, se non lo sono si può correre il rischio che si verifichi un rifiuto alla crescita per paura che queste situazioni negative tornino a ripetersi, identificando addirittura con esse la stessa età adulta.

Ogni bambino ha un mito, un personaggio particolare che vuole imitare, un eroe dei fumetti, un divo del pallone che rappresenta per lui un modello. Sarà fortunato se capirà, e se qualcuno lo aiuterà a capire, che ciascuno di questi personaggi rappresenta solo un interprete del mito, ma non è il mito stesso.

Quando il personaggio viene meno, perde il suo fascino, delude, non corrisponde più, insomma, alle aspettative che ci si erano fatte su di lui, si deve poter capire che è solo un interprete del mito a cadere e non il mito che egli interpretava, il quale continua ad andare oltre i limiti che sono propri, invece, del personaggio.

In conclusione

Nonostante i rischi di cui abbiamo parlato, non si deve cadere nell’errore di concludere che sia meglio saper fare a meno di un modello, ciò non è assolutamente possibile perché la sua utilità rimane innegabile.

L’adolescente deve acquistare modelli morali accettabili e adatti alla società in cui vive, ma anche adatti e accettabili al suo mondo. La lotta degli adolescenti è integrare i modelli morali che hanno ricevuto in famiglia con il loro mondo, quello che loro si sono scelti e che risponde alle loro personali esigenze e aspettative.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Balestrieri, A. (2022). Dipendenze affettive, idoli e modelli di riferimento Milano, Independently published.
  • Erikson, E., Erikson, J.M. (2018). I cicli della vita. Continuità e mutamenti. Armando Editore
  • Ausubel, D.p. (1958). Ego Development and the Personality Disorders. New York, Grune & Stratton Inc.
  • Bowlby, J. (1989). Una base sicura. Raffaello Cortina Editore.
  • Scaparro, F. Infanzia e adolescenza: sul molo guardando il mare aperto. In Massa, R. (1989) (a cura di). Linee di fuga. Firenze, La Nuova Italia.
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