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Leggere per essere. Lettura condivisa e benessere

La lettura condivisa ad alta voce in gruppo può essere usata non solo in contesti educativi, ma anche in quelli sociali e terapeutici, come i centri diurni

Di Fiore Bello, Aurora Ciervo

Pubblicato il 06 Apr. 2022

Aggiornato il 08 Apr. 2022 11:44

In questo articolo parleremo della lettura e delle sue varie applicazioni in ambito sociale e medico e di come diventi uno strumento condiviso e promotore di benessere all’interno di un centro diurno romano.

 

Chi non legge, a 70 anni avrà vissuto una sola vita: la propria. Chi legge avrà vissuto 5000 anni: c’era quando Caino uccise Abele, quando Renzo sposò Lucia, quando Leopardi ammirava l’infinito […] perché la lettura è un’immortalità all’indietro. (Umberto Eco, 1991)

Introduzione

Se consideriamo la salute come “[…] uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non soltanto come assenza di malattia o infermità” (OMS, 1964), dobbiamo necessariamente interrogarci su come questo concetto venga declinato nel variegato e plurisettoriale ambito socio-sanitario della “salute mentale”. Uno di questi settori è la riabilitazione psicosociale, il cui principale obiettivo è quello di garantire che la persona con disagio psichico grave possa utilizzare tutte le abilità fisiche, emotive, sociali ed intellettuali indispensabili per raggiungere il maggior grado di autonomia possibile (Hume & Pullen, 1994; Liberman, 2016). Tra i luoghi dedicati al raggiungimento di questo obiettivo c’è il centro diurno (CD). Questa struttura opera a metà strada tra la dimensione “artificiale” della cura e quella “naturale” della vita quotidiana e, oltre a cura e riabilitazione, produce socialità, sapere e cultura, attività umane che possono essere esercitate in ogni luogo e in ogni momento al di là delle differenze individuali, sociali ed economiche.

In questo articolo parleremo della lettura e delle sue varie applicazioni in ambito sociale e medico e di come diventi uno strumento condiviso e promotore di benessere all’interno di un centro diurno romano.

Come e perché leggiamo

Che la lettura abbia sempre rivestito un’importanza particolare, è dimostrato dalla storia: verso la fine del dodicesimo secolo a.C., gli Assiri avevano collocato migliaia di tavolette d’argilla nel tempio di Assur, creando un archivio statale gestito dai sacerdoti che, col tempo, aggiungevano ad esso altre opere di tipo sacro e letterario. I Greci poi, giunsero ad attribuire una funzione terapeutica alla lettura, considerata psicologicamente e spiritualmente importante al punto che, dinanzi alle porte di accesso alle biblioteche venivano raffigurati dei segni che le indicavano come “luogo di guarigione per l’anima” (psychès iatreion). Questo concetto fu ripreso da Federico il Grande, che nel 1780 fece incidere sul frontone della biblioteca reale di Berlino la scritta Nutrimentum spiritus.

Sin dalla sua nascita, il libro faceva viaggiare idee, opinioni e conoscenza. In un momento successivo, l’uomo ha utilizzato la lettura anche per puro piacere personale, tanto da trasformarla in una necessità obbligatoria alla sopravvivenza, rendendola oggi quasi un vizio, almeno per alcuni, un “⦋…⦌ vizio impunito che ci dà l’illusione di condurci alla virtù” (Vitiello, 2021, p. 7). Leggere ci aiuta ad immedesimarci con qualcun altro, con qualcos’altro e ci fa sperimentare emozioni che non abbiamo ancora vissuto o, ancora meglio, ci aiuta a scavare a fondo in quelle che già conosciamo. Ci stimola, ci porta a crescere, a raggiungere una conoscenza superiore.

La lettura, quindi, stimola il cervello che, a differenza di quello che accade per il linguaggio orale, non sembra possedere una predisposizione biologica ad essa. Infatti, mentre impariamo il linguaggio orale spontaneamente poiché si tratta di una proprietà emergente del sistema biologico umano, per acquisire le capacità di leggere e scrivere abbiamo bisogno di un’istruzione formale ed esplicita. Sembra, infatti, che il sistema di elaborazione del linguaggio scritto si appoggi “⦋…⦌ su strutture cerebrali che sono sorte nel corso dell’evoluzione della specie Homo Sapiens per fare altro” (Crepaldi, 2020, p. 31).

Dal punto di vista filogenetico, la scrittura e la lettura ad essa correlata rappresentano un’invenzione culturale relativamente recente ma di cruciale importanza, se è vero che tramite esse la nostra specie si è liberata dai vincoli della memoria e ha avuto accesso ad un sapere che, non dipendendo più dalla ripetizione orale, può ampliarsi enormemente” (Fioroni, 2013, p. 225). In assenza di specifiche aree cerebrali dedicate alla lettura, è lecito chiedersi come faccia il nostro cervello a decodificare una parola scritta in pochi millisecondi. Dehaene (2009), formulando la teoria “del riciclaggio neurale”, ipotizza che, quando il bambino comincia a leggere, il suo cervello recluti spontaneamente alcuni circuiti che si adattano bene a questo scopo. Si tratta soprattutto di circuiti deputati alla vista, che poco hanno a che vedere con le strutture che processano il linguaggio. Significa, in sostanza, che la capacità di leggere è quasi del tutto indipendente da quella di parlare (Crepaldi, ibidem). Il nostro cervello “⦋…⦌ non è fatto per la lettura, ma in un modo o nell’altro vi si riconverte grazie alla sua innata plasticità. ⦋…⦌ L’attività del leggere sarebbe dunque possibile grazie al riciclaggio di dotazioni preesistenti nel nostro cervello, i cosiddetti neuroni della lettura, situati nella regione occipite-temporale sinistra” (Fioroni, ibidem). Durante la lettura, il cervello non si limita a decodificare segnali, ma riesce a ricordare, associare, progettare strategie e a provare emozioni. Gli studi di neuro-immagine dimostrano che durante la lettura, il cervello mostra una crescente attivazione del sistema limbico, sede della fisiologia delle emozioni, che è strettamente connesso ai processi cognitivi superiori (Berns et al., 2013). I ricercatori dell’Università di Emory hanno riscontrato che i movimenti realizzati dai personaggi dei libri attivano nel cervello dei lettori le stesse aree che si sarebbero attivate se ad agire fossero stati questi ultimi in prima persona. Cinque giorni dopo la lettura del romanzo, i soggetti della ricerca sono stati nuovamente sottoposti a risonanza magnetica: comparando i risultati dei diversi esami, è emerso un aumento della connettività nel ‘solco centrale’ e nella ‘corteccia temporale sinistra’, due aree cerebrali che sono coinvolte nel linguaggio, nella ricettività e nella creazione delle rappresentazioni sensoriali del corpo. L’aumento della connettività si è mantenuto inalterato anche quando i partecipanti allo studio non erano più impegnati nella lettura del romanzo (Berns et al., ibidem). Secondo i ricercatori, i benefici della lettura, che si conservano a lungo termine, deriverebbero dai meccanismi di identificazione da parte dei lettori con i protagonisti della storia; questo meccanismo causa l’attivazione di determinati neuroni associati alle attività che essi compiono, come ad esempio i neuroni specchio (Gallese, 2003, 2007). Non sempre però la lettura è un’esperienza felice: basti pensare ai libri di testo sui quali abbiamo studiato sin dalle scuole elementari. Tuttavia, ciò che può fare la differenza è l’incontro con la narrativa, con le storie che ci riguardano poiché “⦋…⦌ ognuno di noi è una storia e attraverso la narrazione, giorno dopo giorno, ci riconosciamo e costruiamo la nostra identità. Le storie ci permettono di confrontarci con noi stessi e con gli altri, di vivere vite diverse, di costruire pensieri nuovi e magari di mettere un po’ di ordine nelle nostre idee e nel caos dell’esistenza.  ⦋…⦌ Se siamo dentro una storia, possiamo diventare il protagonista o l’amico che gli sta accanto o semplicemente uno spettatore empaticamente partecipe delle sue vicende. Questa partecipazione a sentimenti, paure, desideri, rimpianti, rabbia ci rende meno soli. Chi immagina va oltre il proprio quotidiano, assorbe in sé altri esseri umani ed acquisisce autonomia e spirito critico: chi legge storie, insomma legge il mondo con maggiore profondità. Per questo le teocrazie e i regimi totalitari temono i libri e li bruciano” (Quarzo & Vivarelli, 2016, pp. 10-11). Possiamo affermare che leggere rende liberi, conferisce un potente senso di appartenenza e permette di “⦋…⦌ scoprire che i tuoi desideri sono desideri universali, che non sei solo o isolato da nessuno. Tu appartieni.” (Fitzgerald, 2020). Leggere ci fa sentire meno soli, in modo particolare quando ci troviamo ad affrontare situazioni complesse o dolorose, perché, immedesimandoci empaticamente con le traversie dei nostri “eroi”, ne attingiamo incoraggiamento e conforto. E, in fondo, non è del tutto da sottovalutare il senso di soddisfazione che si prova nel portare a termine la lettura di un libro, soprattutto se impegnativo: un piccolo ma non trascurabile risultato che migliora la nostra autostima.

Lettura condivisa (LC), benessere e processi gruppali

La lettura a voce alta fa parte del nostro quotidiano più di quanto possiamo immaginare. Chi non ricorda i timori di momenti simili vissuti già alla scuola elementare, per non parlare di quando bisogna leggere una relazione, un progetto o qualsiasi testo ad un uditorio di colleghi, allievi e clienti? Diventa fondamentale superare i timori di leggere a voce alta se vogliamo valorizzarne pienamente i contenuti anche perché leggendo in questo modo, i protagonisti diventano tre: il testo, il lettore e il pubblico.

La lettura ad alta voce condivisa in gruppo, vista la flessibilità dello strumento, può essere utilizzata non solo in contesti educativi, ma anche in quelli sociali e terapeutici. In Gran Bretagna, ad esempio, grazie all’impegno di 25 Trust del Servizio Sanitario Nazionale (NHS), il fenomeno della lettura condivisa ha assunto dimensione nazionale. Inoltre, da alcuni anni l’università di Liverpool indaga i suoi benefici sulla salute ed il benessere, sostenendo che la lettura condivisa “[…] crea uno spazio per esplorare le vite umane, ordinarie e metterle in relazione con le nostre esperienze e quelle degli altri. È uno strumento potente che, secondo le ricerche, può ridurre e prevenire l’isolamento, migliorare il benessere psicologico e costruire resilienza”.

Josie Billington, del Center for Research into Reading, Literature and Society della stessa università, afferma che la lettura condivisa potrebbe incidere positivamente anche “[…] nel portare consapevolezza cosciente in aree di dolore emotivo che, altrimenti, il paziente subirebbe passivamente sotto forma di dolore cronico” (Billington et al., 2017).

L’atto di leggere insieme un testo letterario, non solo sfrutta il potere incisivo della lettura sulle funzioni cognitive (memoria, eloquio, concentrazione e capacità di problem solving), ma svolge anche un effetto coalizzante da un punto di vista sociale, lasciando ai lettori un’esperienza condivisa e soggettiva allo stesso tempo (Hodge et al., 2007) e restituendo loro il senso di avere un posto nel mondo (Billington, 2019). La lettura di per sé non è un’attività passiva, ma un atto partecipativo e creativo che permette al lettore di estendere i propri confini psichici: nel momento in cui si lascia trasportare in una “nuova dimensione”, egli ha la netta sensazione di uscire fuori dalla realtà oggettiva ed entrare in un’altra realtà (Fisch,1980).

Il gruppo di lettura prende corpo in un luogo accogliente, protetto e non giudicante, condiviso dai partecipanti (8-10 persone), compreso il conduttore che coordina e facilita le interazioni tra i vari membri. Il Liverpool Primary Care Trust offre un programma di lettura di gruppo, denominato GIR – Get into reading – (Dowrick et al., 2012), che è stato concepito allo scopo di aumentare i livelli di autostima, il senso di orgoglio e di realizzazione, nonché di incrementare i rapporti sociali, incentivando i pazienti a farne parte. L’attività si articola attraverso la lettura di brani di narrativa e di poesia, che vengono scelti dal gruppo stesso all’interno di una serie di materiali selezionati dal conduttore e che includono brani di vario genere, ma sempre caratterizzati da elevata espressività emotiva. Dowrick et al. (ibid.) ritengono che effettuare una lettura “seria” offra al pensiero e ai sentimenti una forma e un linguaggio tali da riuscire ad alleviare la sofferenza legata ai problemi personali producendo benefici terapeutici. La poesia stimola la concentrazione, mentre la narrativa favorisce la calma e il rilassamento psicofisico, quest’ultimo fortemente legato al metodo narrativo che, muovendosi nel tempo e nello spazio, consente al lettore di ricordare il punto di chiusura della sessione precedente.

La letteratura scientifica riporta l’utilizzo della lettura condivisa sia nel trattamento dei disturbi d’ansia e depressione di lieve e media entità, sia nella psicoeducazione, sia in ambito psichiatrico (Jeffcoat et al., 2012). Va ricordato che, sotto l’aspetto cognitivo, la lettura condivisa tende ad incrementare le abilità come la memoria, l’attenzione, la concentrazione, la riflessione e l’uso di strutture logiche (Moldovan et al., 2012). Tramite la comunicazione, leggere ad alta voce aiuta il paziente a mantenere un adeguato rapporto con la realtà esterna (Fisch, ibidem), oltre a svolgere un compito di autoformazione poiché permette all’individuo di porsi delle domande rispetto al proprio futuro (Dowrick et al., ibidem). Lewis (2009) sostiene che bastino pochi minuti al giorno di lettura di qualsiasi libro per ottenere effetti benefici anche a livello fisico, come il rallentamento del battito cardiaco, la diminuzione della tensione muscolare e la riduzione del livello di stress. Gruppi di lettura condivisa vengono utilizzati anche con persone affette da demenza (Clark et al. 2019): una recente ricerca (Rentera et al., 2019) dimostra che, proprio perché la lettura rafforza il cervello, il rischio di sviluppare decadimento cognitivo cerebrale sia più alto tra le persone che non leggono e che hanno un basso livello di istruzione.

Gli esseri umani fanno parte di complesse organizzazioni interpersonali (gruppo familiare, gruppo sociale di appartenenza, gruppo culturale e professionale) fin dalla nascita e per tutta la vita lavorano e vivono in gruppo, il quale ha lo scopo di trasmettere cultura e modelli relazionali che sono alla base del rapporto tra individui e collettività sociale. Per questo motivo, l’individuo non può essere visto come entità isolata, bensì come “nodo” di una complessa rete di interazioni che coinvolgono tutte le persone con le quali viene a contatto (de Marè,1973). Ai benefici della lettura condivisa si aggiungono fattori terapeutici strettamente legati ai processi che il gruppo mette in atto, considerando che di per sé esso offre supporto e senso di appartenenza e di uguaglianza (Yalom & Molyn, 2009). Le persone che hanno vissuto o vivono esperienze di passività e di esclusione, come spesso accade ai pazienti psichiatrici, hanno l’opportunità di potersi considerare appartenenti ad un gruppo con il quale identificarsi e dal quale ricevere partecipazione emotiva, comprensione e consigli. Inoltre, il gruppo è in grado di facilitare i processi di maturazione sociale e la sua coesione è l’elemento che gli consente la sopravvivenza nelle situazioni di stress di singoli membri o del gruppo in toto (Yalom & Molyn, ibidem).

Come già evidenziato, è importante che lo spazio dedicato alla lettura condivisa sia accogliente, familiare e confidenziale. Un testo interessante può promuovere una discussione su importanti temi di vita, permettere di sviluppare l’auto espressione ed incoraggiare la tolleranza reciproca e il sostegno tra pari. Leggere per gli altri è un antidoto contro la timidezza, contribuisce a rafforzare la personalità ed è un potente stimolante per l’immaginazione. Al di là di ogni considerazione, la lettura ad alta voce coinvolge la persona intera e non solo la parte malata (Fearnley & Farrington, 2019) e risulta essere un’attività flessibile, economica, relativamente facile e alla portata di tutti. Per tutti questi motivi, alcuni mesi fa abbiamo pensato di cominciare a leggere ad alta voce con alcuni dei pazienti di un centro diurno.

Lettura condivisa come gruppo a mediazione terapeutica? La nostra esperienza

Un gruppo a mediazione terapeutica utilizza un oggetto mediatore (giornale, libro, pittura, etc.) per attivare l’espressione di pensieri, affetti e la comunicazione tra i partecipanti. È “⦋…⦌ principalmente rivolto a persone chiuse in rigidità ideative e relazionali dove lo scambio con l’altro è fonte di angoscia e le emozioni hanno perso parola e modulazione. I gruppi a mediazione terapeutica non hanno come scopo l’apprendimento di tecniche o il semplice adattamento alla vita sociale, bensì quello di favorire la mobilizzazione di processi psichici utilizzando assieme produzioni immaginative, motricità e parola” (Petralito, 2018, pag. 154). L’oggetto mediatore serve da interprete, da trasformatore, da trasmettitore, da simbolizzatore tra realtà psichica e realtà esterna (Di Marco 2007).

Quando abbiamo coinvolto nella lettura ad alta voce alcuni degli utenti del nostro centro diurno, sostanzialmente pensavamo di migliorare la loro socializzazione e di intrattenerli. Nel rispetto delle procedure contro il contagio da Covid-19, abbiamo riunito in una stanza ampia ed arieggiata 2 operatori e 3 utenti, ai quali se ne aggiungevano altri 2/3 in videoconferenza. Per non passare il libro da una persona all’altra e per risparmiare carta, abbiamo scannerizzato il testo, lo abbiamo aperto sul nostro PC e proiettato su un grande schermo condiviso con i computer dei pazienti a casa. La scelta del materiale letterario è caduta su racconti brevi e semplici che potessero esaurirsi nel giro di 90/120 minuti e abbiamo lasciato ad ogni partecipante la scelta di leggere oppure no. I lettori si alternavano e, dopo i primi 40 minuti, si effettuava una pausa per poi riprendere per altri 30/40 minuti. Se qualcuno non capiva un passaggio, l’operatore interveniva con un chiarimento, ma in genere il suo è stato un ruolo di promotore, organizzatore e facilitatore. Terminata la lettura, la discussione successiva permetteva di condividere non solo pensieri e commenti sul testo, ma anche ricordi, emozioni e frammenti della propria vita. L’emersione fluida e spontanea degli spaccati di vita degli utenti sembrerebbe legata alla facoltà della narrativa di promuovere esperienze vicarie. Le vicende narrate divengono linguaggio comune, lo spazio neutro condiviso nel quale esprimersi (La Rovere, 2018). La lettura così può costituire il miglior allenamento per configurare e descrivere altri scenari, segnatamente nell’ambito di quella narrazione fondamentale che è la vita del lettore.

Il racconto consente di avvicinare e tollerare emozioni difficili da esprimere in prima persona, proprio perché è più facile riconoscerle in qualcosa che è “altro da sé”. Come ben espresso da una utente, “attraverso le parole di altri riesco a dare voce e senso alla mia sofferenza”.

Gli utenti si sono appassionati molto a questa attività e ad ogni incontro ci stupiscono le loro capacità di entrare in relazione sia con le situazioni narrate dal testo, sia con gli stati d’animo dei personaggi. La lettura di un brano permette di entrare in contatto con il variegato mondo di emozioni che accompagna le vicende dei protagonisti, di indagare il vissuto emotivo e cognitivo dei personaggi, nonché delineare le conseguenze del loro sentire e del loro agire. Ciò consente di abituarsi – attraverso il confronto e l’immedesimazione con essi – ad attribuire significati e a riconoscere le possibilità plurali di interpretazione, promuovendo processi mentali trasformativi per il lettore.

L’atmosfera gruppale è molto tranquilla, c’è sempre curiosità e gioiosità verso quella che sembra essere vissuta ogni volta come una nuova avventura. In genere, i nostri utenti hanno bisogno di essere sollecitati, guidati e mostrano ridotta iniziativa nelle attività riabilitative di gruppo. Nel caso della lettura condivisa, osserviamo invece una maggiore capacità di partecipazione e desiderio di condivisione. Sembra proprio che le storie lette e quelle che si andranno a leggere permettano ai nostri utenti di passare da una posizione di accondiscendente passività ad una forma di partecipazione attiva e di desiderio di condivisione: riferiscono, infatti, che, quando sono nel gruppo di lettura condivisa, il tempo vola, aumenta la curiosità, si sentono più tranquilli e meno tristi e qualcuno ha persino affermato che si sente spinto a leggere da solo.

Con nostra sorpresa, gli utenti non solo si sono appassionati alle storie lette, ma hanno anche apprezzato il confronto e le diverse modalità di lettura, quasi come manifestazioni essenziali dei modi differenti di essere. Un utente dice che “far parte di questo gruppo significa integrarsi, conoscersi e abituarsi a modi differenti di leggere”. Dopo alcuni mesi di esperienza, ci sembra che i membri di questo gruppo siano anche più consapevoli di se stessi e che le loro capacità di ascolto e di concentrazione siano migliorate. A differenza degli altri gruppi di riabilitazione attivi nel nostro centro, la lettura condivisa sembra possedere un’attrattiva particolare e i suoi membri si comportano come se condividessero qualcosa di speciale, tanto da manifestare molto dispiacere se un incontro viene annullato.

Il gruppo è aperto, i confini sono permeabili e il collegamento in videoconferenza non solo ha raggiunto persone isolate in casa, ma è diventato anche un’opzione per chi un giorno non si sente di recarsi fisicamente nei locali del centro diurno. Gli stessi operatori esprimono il proprio piacere, perché partecipare alla lettura condivisa consente di condividere un’esperienza significativa con gli utenti, entrando in relazione con la persona nella sua interezza – non soltanto con la sua “parte malata” – e avvicinando quegli aspetti vitali che non sempre emergono nella pratica clinica.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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