La Play Therapy è una pratica conosciuta ed applicata in Nord America, Corea del Sud, Nord Europa e Giappone.
Nel libro di testo Play Therapy: The Art of Relationship, Landreth (2012) definisce la terapia del gioco come: ‘relazione interpersonale dinamica tra un bambino (o una persona di qualsiasi età) e un terapeuta formato che, attraverso materiali di gioco selezionati, facilita lo sviluppo di una relazione sicura affinché il bambino (o una persona di qualsiasi età) possa esprimere pienamente e esplorare il sé (sentimenti, pensieri, esperienze e comportamenti) attraverso il gioco, il mezzo di comunicazione naturale del bambino, per una crescita e uno sviluppo ottimali’. Attraverso il gioco i bambini imparano a interagire con il mondo che li circonda e iniziano a comprendere le relazioni sociali.
I tipi di intervento nella Play Therapy
Nella Play Therapy (Mochi, C. 2019) vi sono diverse modalità d’intervento. Negli interventi di tipo non direttivo, il Play Therapist seleziona con attenzione i giocattoli nella stanza dei giochi per aiutare i bambini ad esprimere una varietà di sentimenti e problemi. Sarà poi il bambino a scegliere quali giocattoli utilizzare ed anche il modo con cui intende giocarvi. Il Play Therapist segue empaticamente l’iniziativa del bambino unendosi a giochi di finzione e immaginazione quando invitato dal bambino e fornisce nei momenti opportuni i limiti per tutelarne l’integrità fisica e favorire l’esercizio e lo sviluppo dell’autocontrollo. Un’altra forma di Play Therapy è quella familiare. In questa tipologia di intervento è l’intera famiglia ad essere coinvolta in giochi e attività ludiche. Una forma particolare di intervento Familiare è la Filial Therapy ove i genitori divengono gli agenti principali nel trattamento dei propri figli. I principi terapeutici della Play Therapy sono assimilabili non soltanto ai classici giochi, ma anche ai videogiochi, ai giochi online e ad alcuni mondi virtuali. Tra questi troviamo:
- Abreazione: le persone attraverso il gioco o attraverso la realtà virtuale (meglio conosciuta come virtual reality) possono rivivere in maniera graduale determinate esperienze traumatiche esercitando nel contempo un maggior controllo su di esse. Ad oggi, l’efficacia della terapia di esposizione alla realtà virtuale, si è dimostrata utile nel trattamento di diverse fobie specifiche, come nel caso della selacofobia (dal greco Σελαχοειδή: squalo e φοβία: paura). Chi soffre di questa fobia presenta una seria difficoltà nel fare il bagno in mare aperto, a praticare sport acquatici anche in luoghi dove di sicuro non sono presenti squali, a fare un’uscita in barca o a visitare acquari o zoo. Nei casi molto gravi la paura si estende anche per il bagno in piscina o alla sola vista di una foto o di un filmato. Nello studio in questione (Malbos, E., et al. 2021) l’uso della VRET, oltre a comportare una riduzione dei sintomi della paziente colpita da tale fobia, ha dimostrato una vantaggiosità che si è mantenuta nel tempo anche dopo un follow up a distanza di 12 mesi.
- Catarsi: il rilascio emotivo è quasi universalmente riconosciuto come un elemento essenziale in ogni forma di psicoterapia. Coinvolge quelle forme emozionali in precedenza interrotte.
- Potere e controllo: nel gioco si può fare accadere quello che si vuole, sentirsi potente e tenere la situazione sotto controllo permettendo di sviluppare un locus of control interno.
La play therapy attraverso i videogiochi
Abreazione, catarsi, potere e controllo sono dinamiche fondamentali che ritroviamo anche nella Videogames Therapy o V.G.T, metodologia riabilitativa ideata dal Dott. Francesco Bocci, Psicologo e Psicoterapeuta Adleriano. Questo ambito di intervento sviluppato dal collega è uno strumento usato che permette di intraprendere un lavoro di contenimento emotivo, clinico e terapeutico, come di tipo supportivo ed espressivo, ricorrendo al videogioco commerciale. Proprio come l’attività di ‘gioco’ consente ai bambini di esprimere inconsciamente aspetti del proprio mondo interno ed esterno, anche i videogiochi garantiscono questo risultato amplificandolo, in quanto, anche se sono un ‘gioco’, in ogni modo, sono accessibili a utenti di età superiore a quella infantile. Inoltre, i videogiochi sono diventati un oggetto sempre più esplicito di comunicazione tra i giovani, le cui immagini sembrano assimilare sempre più elementi tipici del mondo dei videogiochi.
Nel videogioco si attivano molti elementi legati al nostro emisfero sinistro, dove risiede la nostra memoria di lavoro. Essa attivandosi permette al gamer di vivere una sorta di ‘autocontrollo’ di sé che lo porta a sentirsi ‘valido’ e ‘capace’, seppur in un ambiente funzionale come quello del contesto videoludico, e di poter raggiungere un equilibrio tra le ‘sfide’ che il gioco richiede e le proprie competenze e risorse, cognitive ed emotive (soft skills), messe in atto. Si viene così a creare ciò che Mihaly Csikszentmihalyi chiama ‘stato di flow’, una condizione di benessere che ha un potenziale molto forte rispetto al contenimento emotivo. Si riattiva così nel gamer, quel ‘Sè Creativo’ (concetto coniato nel 1912 da Alfred Adler) che permette di riprendere il controllo della propria attenzione nel momento presente, così come dei propri vissuti proiettivi, che si attivano attraverso il gioco in quel determinato momento. Capite bene come in questo tipo di setting le dinamiche inconsce legate a traumi passati o a ricordi specifici di vita, costitutivi dello ‘stile di vita’ del soggetto (altro termine coniato da Alfred Adler ai primi del 1900), possano venire alla luce attraverso il ‘dialogo’ tra gamer e caregiver (terapeuta) durante la sessione di gioco stessa.
Sull’utilità positiva dei videogiochi, il direttore ricerca e sviluppo del settore giochi dell’IFTF, nonché Game Designer (Institute for the Future di Palo Alto in California), James McGonigal ha dimostrato, tramite le sue ricerche, come i videogiochi e possono accrescere il benessere e migliorare le relazioni, influendo in tal modo sui nostri comportamenti e favorendo le capacità di crescita personale (Bocci, F., Sala, C., 2019).
Anche se sono diversi e numerosi i videogames che possiamo far rientrare a pieno titolo nella Play Therapy (Life is Strange, Unravel 2, The Last day of June, Sea of Solitude, ecc…) vale la pena citare quando parliamo di videogames, il caso di Pokémon Go. Nonostante la mancanza di principi come l’abreazione o la catarsi, questo videogioco si è dimostrato efficace in altri modi. Dalla sua uscita nel 2016, ha attratto più di 65 milioni di utenti (Serino, M., Cordrey, K., McLaughlin, L., & Milanaik, R.L., 2016)
La Play Therapy e il particolare caso di Pokémon Go
La popolarità di Pokémon Go può essere compresa nel contesto della teoria degli usi e della gratificazione di Jay Blumler ed Elihu Katz. (Ruggiero, T.E., 2000), che è una delle teorie più citate per comprendere il consumo dei media. Secondo tale teoria, le persone selezionano determinati media per soddisfare bisogni, come bisogni cognitivi, bisogni integrativi sociali, bisogni affettivi, bisogni di riduzione della tensione (diversione o fuga dalla noia) e bisogni integrativi personali (status sociale o credibilità). Più recentemente, questa teoria incentrata sul pubblico è stata applicata sia ai giochi mobili (Rauschnabel, P.A, Rossmann, A., & Dieck, M. C., 2017) che a quelli online (Wu, J., Wang, S., Tsai, S. 2010).
Uno studio recente ha indicato che coloro che avevano un umore negativo prima di giocare a Pokémon Go, si sentivano significativamente meglio dopo il gioco (Alloway T.P., Carpenter, R. 2021). Quindi, se stai cercando un rimedio veloce e salutare, Pokémon Go potrebbe essere un buon inizio, soprattutto ora che tutti possono sperimentare i suoi benefici per il miglioramento dell’umore. Mentre ci sono prove iniziali che suggeriscono che Pokémon Go può ridurre l’umore negativo, i ricercatori dello stesso studio hanno scoperto che giocare a Pokémon Go migliora anche alcuni aspetti della cognizione, in particolare la memoria di lavoro, il sistema cognitivo che detiene temporaneamente le informazioni. Ci sono molti componenti della memoria di lavoro, ma nello studio i ricercatori hanno scoperto che la memoria di lavoro verbale, le informazioni relative a lettere e parole, sono migliorate dopo aver giocato a Pokémon Go. Lo studio non ha mostrato un miglioramento in tutti i componenti della memoria di lavoro, ma ha indicato che la funzione della memoria di lavoro verbale è flessibile e aumentata come risultato del gioco. Quindi, dopo aver giocato per lunghi periodi di tempo, potresti notare un miglioramento nel modo in cui ricordi le informazioni verbali, per non parlare del fatto che potresti anche sentirti più felice di conseguenza. Originariamente era stato ipotizzato che giocare a Pokémon Go potesse portare a una maggiore empatia, derivante da una maggiore interazione sociale e da una connessione più frequente con estranei (Jungselius, B. et al., 2015), tuttavia ciò non è stato evidenziato dal presente studio. Una possibilità per la mancanza di risposte empatiche in questo gioco potrebbe essere dovuta alla natura fantasiosa dei suoi personaggi, lontani dall’aspetto originale in cui i personaggi erano basati su animali (Webster, A. 2016). Il realismo negli ambienti di gioco modera gli effetti che il gioco ha sul giocatore, sia nell’aggressività che nel comportamento prosociale (Krcmar, M., Farrar, K. M., & McGloin, R. 2011). Pertanto, questa mancanza di realismo potrebbe aver contribuito all’incapacità dei giocatori di adottare le prospettive degli altri giocatori o di dimostrare empatia. I risultati dello studio suggeriscono che Pokémon Go non facilita quindi l’empatia ma può migliorare l’umore. Questa scoperta ha importanti implicazioni per gli individui che lottano contro l’ansia e la depressione.
L’utilità di Pokémon Go tuttavia non si ferma qui. Un ulteriore esempio della sua funzionalità, in quanto tecnologia positiva, ci viene fornito dal C.S. Mott Children’s Hospital negli Stati Uniti. In questo ospedale pediatrico del Michigan, Pokémon GO viene utilizzato come strumento terapeutico. Bambini con una vasta gamma di condizioni mediche differenti (malati di cancro, disturbi dello spettro autistico, iperlessia, ecc ..) hanno l’opportunità di usufruire di Pokémon GO, scorrazzando nella struttura alla ricerca dei loro mostriciattoli preferiti. L’utilizzo della stessa, sebbene in condizioni alquanto singolari, è volta a migliorare le condizioni dei bambini: grazie a questo videogioco di tipo free-to-play essi possono muoversi dal proprio letto e socializzare più facilmente. Il movimento, dice un membro del personale, aiuta i bambini dal punto di vista fisico, non lasciando atrofizzare gli arti, mentre il socializzare con gli altri li fa sentire meno soli. (Lazzeri, M. 2017)
Sempre riguardo ai videogiochi, a livello internazionale le aziende che investono nel campo dei videogiochi o nei dispositivi hardware a loro connessi in campo sanitario sono molteplici. Facendo una ricerca su Pubmed Central con una parola chiave come Wii per esempio, si nota subito come la stessa compaia in diversi studi che trattano aspetti come la riabilitazione fisica e cognitivo-comportamentale. Tra i tanti esempi presenti troviamo (Pensieri, C. 2013):
- EbaViR (Easy Balance Virtual Rehabilitation) – EbaVir (Gil-Gomez, J. A., Lloréns, R., Alcaniz, M., & Colomer, C. 2011) è un sistema basato sulla tecnologia della Wii Balance Board Nintendo. È stato progettato dai terapisti clinici per migliorare, attraverso esercizi motivazionali e adattivi, l’equilibrio in piedi e la postura dei pazienti con ABI (ovvero con lesioni celebrali acquisite). Il sistema EbaVIR non utilizza nessun software commerciale. Gli esercizi sono stati programmati con l’ausilio di un programma per la creazione di applicazioni 2D e 3D ed è stato progettato con l’aiuto di specialisti clinici della riabilitazione dell’equilibrio. Il sistema è stato sviluppato con il fine ultimo di ottenere un sistema valido per il recupero dell’equilibrio dei pazienti. Inoltre esso mirava sia alla realizzazione di un sistema che rafforzasse la motivazione dei pazienti durante il processo riabilitativo sia alla creazione di un sistema che fornisse ai terapisti dei dati oggettivi sull’evoluzione dei pazienti.
- Wii Sports – Nella popolazione anziana la depressione subsindromica è molto diffusa. Essa è associata a una notevole sofferenza, disabilità funzionale, maggiore utilizzo di costosi servizi sanitari e una maggiore mortalità. In uno studio (Rosenberg D, et al. 2010) dove sono stati campionati 22 individui (di età compresa tra 63 a 94 anni) e 19 di essi hanno completato le 12 settimane di studio con il gioco Wii Sports (contenente cinque giochi: tennis, bowling, baseball, golf e pugilato). I partecipanti hanno giocato alla Wii nella loro struttura residenziale o nel loro centro anziani per 35 minuti in tre sedute settimanali. L’indagine pilota di 12 settimane con questi videogiochi ha suggerito un alto tasso di adesione (84%), con un significativo miglioramento dei sintomi depressivi, del funzionamento cognitivo e senza grandi eventi avversi.