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L’uso del gioco nella lotta contro la depressione 

E' stato dimostrato come alcuni videogiochi, se utilizzati in modo corretto e per un tempo definito, possano essere utili nel trattamento della depressione

Di Ilaria Loi

Pubblicato il 10 Apr. 2017

I videogiochi risultano essere una modalità facilmente implementabile ed efficace nel trattamento dei disturbi mentali, depressione compresa. È possibile incrementare ulteriormente tale efficacia? L’utilizzo di videogiochi e di applicazioni di “brain training” viene sempre più promosso e pubblicizzato come modalità di trattamento efficace nella cura della depressione.

 

I videogiochi contro la depressione

Recentemente, un nuovo studio condotto dai ricercatori dell’Università della California ha anche messo in luce come l’esposizione a specifici messaggi prima dell’accesso a videogiochi appositamente sviluppati per il trattamento dei sintomi depressivi possa favorirne l’utilizzo e promuoverne ulteriormente l’efficacia.

Per quanto fin dagli anni ’80 si sia parlato, all’interno della comunità scientifica, della possibilità di sfruttare l’utilizzo dei computer come piattaforma ludica a fini terapeutici (ad es. Larose et al., 1989), spesso i videogiochi sono stati studiati in ottica sia di rischio per la salute fisica e psicologica sia di minaccia per lo sviluppo di dipendenze.

Da qualche anno, però, mettendo in luce gli aspetti positivi di una terapia “tecnologica”, sta diventando via via più frequente l’utilizzo dei videogiochi come possibilità di trattamento per patologie sia fisiche sia psicologiche (Griffiths, 2004; Griffiths, 2003). I videogiochi, infatti, possono essere visti come un allenamento intensivo di diverse abilità, che può portare anche a miglioramenti strutturali a livello cerebrale. Sembrerebbe, ad esempio, che giocare per almeno 30 minuti al giorno per un paio di mesi possa portare ad un incremento neuronale in aree quali ippocampo, corteccia prefrontale dorsolaterale e cervelletto, coinvolte in diversi processi cognitivi (ad es. memoria, pianificazione strategica, controllo motorio) e danneggiate in caso di disturbi mentali quali schizofrenia, disturbo post-traumatico da stress, patologie neurodegenerative e anche disturbi dell’umore (Kühn et al., 2014).

Diversi sono infatti gli studi attualmente presenti in letteratura che attestano l’efficacia di interventi tramite videogiochi per diverse patologie (ad es. per la depressione si veda la metanalisi di Li et al., 2014).

 

Come prevenire il drop-out e motivare all’utilizzo dei videogiochi con finalità terapeutiche

Nonostante le evidenze sull’efficacia, però, ancora poco si è detto su come poter incrementare il coinvolgimento delle persone nell’utilizzo di queste applicazioni ludico-terapeutiche. Molto alti sono infatti i tassi di drop-out e di non aderenza al trattamento (Doherty et al., 2012)

Secondo Khan & Peña, autori della recente ricerca, grazie all’utilizzo di messaggi di avviso persuasivi ed accuratamente progettati, è possibile far sì che i videogiochi per la salute mentale vengano percepiti ed utilizzati come una modalità di cura valida e sostenibile, aumentando così la compliance al trattamento e mettendo da parte possibili riserve circa la sua efficacia.

Per poter dimostrare ciò, gli autori hanno coinvolto un totale di 160 studenti universitari americani, con un’età media di 21 anni, ai quali hanno chiesto di completare un breve questionario sulla depressione (PHQ-9; Kroenke & Spitzer, 2002) per poter stabilire il livello di patologia prima del trattamento. Più della metà dei partecipanti si è posizionata nelle categorie “depressione minima” e “depressione lieve”.

I messaggi di avviso, così come i successivi videogiochi, sono stati messi a punto in modo da riguardare la depressione. I messaggi, invece che limitarsi ad essere dei meri reminder per invitare a svolgere il compito, si differenziavano tra loro per il grado di attenzione posta sui fattori di rischio e il livello di agency. Poteva, ad esempio, venir data maggiore enfasi ai fattori interni, considerando il disturbo come causato, ad esempio, da squilibri chimici o fattori ereditari, o, al contrario, ai fattori esterni, evidenziando il ruolo di variabili situazionali quali il lavoro o le relazioni. Nonostante le differenze di approccio iniziale, tutti i messaggi, in ogni caso, si concludevano con una frase volta a motivare i partecipanti ad usufruire del videogioco: “Così come accade per l’allenamento fisico, la maggior parte dei benefici che è possibile ottenere grazie a questi compiti deriva dall’utilizzarli in modo continuativo e senza interruzioni e ponendo in essi il massimo impegno possibile”.

All’interno dello studio, gli autori hanno utilizzato sei diversi videogiochi, da tre minuti ciascuno, implementati a partire da altrettanti compiti neurofisiologici (Simon task, go/no go emotivo, face Stroop emotivo e flanker task), che erano già stati efficacemente utilizzati per migliorare il controllo cognitivo in persone affette da depressione (Millner et al., 2012). Per controllo cognitivo si intende quell’abilità di esercitare un certo grado di controllo sui propri pensieri e comportamenti e su dove dirigere l’attenzione al fine di riuscire ad ottenere un obiettivo ed effettivamente anche Khan & Peña hanno potuto rilevare come l’utilizzo di tali videogiochi, specificatamente adattati per la depressione e calibrati in modo da andare a lavorare su diverse componenti del controllo cognitivo (ad es. gestione del conflitto e risoluzione dell’interferenza), riuscisse ad aiutare la maggior parte dei partecipanti a sentire di poter in qualche modo controllare la malattia.

Inoltre, il descrivere la depressione come un qualcosa causato internamente da fattori geneticamente predeterminati, ma evidenziando anche l’esistenza di applicazioni e videogiochi per allenare, e in qualche modo modificare, il cervello, aiutava i partecipanti a sentirsi in grado di poter fare qualcosa per assumere il controllo della propria depressione, facendo sì che percepissero il gioco come altamente fruibile e che riportassero di volerlo utilizzare maggiormente.

D’altra parte, il descrivere, per mezzo di messaggi più esternalizzanti, la depressione come causata da fattori altri da sé, portava i partecipanti ad utilizzare il videogioco per più tempo, ottenendo anche punteggi migliori, forse sempre per una questione di maggiore percezione di controllo della situazione. È infatti possibile che, percependo se stessi come impotenti, i partecipanti avessero la tendenza a reagire d’impulso e passare più tempo giocando, forse nella speranza di ottenere un qualche aiuto dall’esterno. Questo tipo di reazione, però, in quanto nata dall’urgenza di sentimenti di incapacità ed inettitudine, è improbabile che possa apportare dei benefici anche sul lungo termine; al contrario, facendo leva sulla causalità interna, è possibile aumentare la percezione di fruibilità ed utilità dell’applicazione e, di conseguenza, l’intenzione di utilizzarla, andando a modificare la frequenza di utilizzo non immediatamente, ma sul lungo periodo e, idealmente, anche in modo più stabile.

Nonostante i risultati promettenti circa l’utilizzo di messaggi di avviso prima del training vero e proprio, al fine di incrementare l’uso di tali applicazioni, all’interno dello studio non è stato effettivamente valutato se ad un maggior utilizzo dei videogiochi possa corrispondere anche una più ingente diminuzione dei sintomi depressivi (gli autori affermano di voler valutare ciò in studi successivi). Inoltre, come anche affermato dagli autori, dal momento che la maggior parte dei soggetti partecipanti presentava punteggi di depressione molto bassi, sarebbe interessante valutare se tale incremento di utilizzo delle applicazioni, qualora si dimostrasse efficace nel ridurre gli indici di depressione, possa essere significativamente rilevabile anche in caso di patologia clinicamente significativa.

Continuando la presente linea di indagine, gli autori stanno testando la fruibilità a livello terapeutico di un’applicazione per telefono cellulare che ne permetta l’utilizzo in modo ancora più significativo e senza dover necessariamente disporre di un computer.

In conclusione, è possibile affermare che applicazioni e videogiochi di questo genere rappresentano il futuro dei trattamenti nell’ambito della salute mentale, da affiancare, ad esempio, ad una psicoterapia per massimizzarne l’efficacia o, magari, in ottica preventiva, riuscendo sperabilmente a coinvolgere in modo più consistente anche quella fascia di popolazione composta da adolescenti e giovani adulti che, per quanto risulti essere più a rischio di altre per lo sviluppo di patologie mentali, è restia a ricercare un aiuto di tipo professionale (Hunt & Eisenberg, 2010), ma si trova estremamente a proprio agio con tutto ciò che riguarda la tecnologia.

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