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L’ascolto psicoanalitico in emergenza (2021) di Anna Maria Nicolò – Recensione del libro

'L’ascolto psicoanalitico in emergenza' descrive l’attività di assistenza psicologica telefonica realizzata dalla S.P.I., mostrandone anche i risultati

Di Alberto Vito

Pubblicato il 02 Feb. 2022

L’ascolto psicoanalitico in emergenza descrive l’attività di assistenza psicologica telefonica progettata e realizzata dalla S.P.I., mostrandone anche i risultati.

 

Sin dai primi mesi di pandemia l’intera comunità degli psicologi, con la generosità che le è propria ma anche in modo inevitabilmente poco coordinato, ha proposto iniziative a sostegno della popolazione. Mentre gli psichiatri si sono rivolti prevalentemente alla ricerca, producendo anche risultati interessanti, molte istituzioni sia pubbliche che private della nostra categoria hanno offerto consulenze psicologiche spesso gratuite e in modalità online.

Non sorprende dunque che anche la comunità psicoanalitica si sia posta la questione e abbia attivato delle iniziative, di cui il volume mostra i risultati.

È curato da Anna Maria Nicolò, attualmente past president della S.P.I., con un passato da terapeuta familiare, essendo stata una dei fondatori dell’Istituto di Terapia Familiare di via Reno, insieme a Carmine Saccu, Paolo Menghi e Maurizio Andolfi, successivamente si è occupata molto e ha scritto di terapia di coppia ad orientamento psicoanalitico.

Il libro descrive l’attività di assistenza psicologica telefonica progettato e realizzato dalla S.P.I., mostrandone anche i risultati. Il servizio è partito il 20 marzo 2020, l’attività è durata 3 mesi ed ha coinvolto circa 400 psicoanalisti di vari centri operanti in diverse regioni. Ciascuno di essi ha offerto un intervento gratuito consistente in un servizio volontario di ascolto, limitato al massimo di 4 colloqui telefonici, della durata compresa tra 20 e 50 minuti. Vi sono state circa 1350 richieste d’aiuto, 2/3 da parte di donne e un terzo da parte di uomini, per circa 3500 colloqui telefonici complessivi.

Riconosciuta la volontà positiva degli psicoanalisti di fornire il proprio contributo sociale in un momento di grave crisi collettiva, l’esperienza ripropone due interrogativi molto interessanti. Il primo, dibattuto da tempo, fa riferimento alla possibilità di flessibilità adattiva della psicoanalisi. In altri termini, quanto essa sia ancora efficace se posta al di fuori del suo specifico setting clinico, rigoroso ma a volte anche rigido. In una situazione di grave emergenza complessiva, eliminato il contatto fisico diretto, tolto il lettino, riducendo il numero complessivo di sedute ad appena quattro, ma conservando il setting interno, l’attitudine all’ascolto e la lettura in termini di transfert e controtransfert, è ancora psicoanalisi quella svolta dai colleghi in quest’occasione?

L’altra questione è se, quanto e in che maniera sia diverso l’ascolto laddove sia condotto da parte di uno specialista con una formazione molto ricca e specifica. Insomma, quanto sia possibile, pur nell’arco di massimo 4 incontri, non vis-a-vis ma telefonici, far emergere qualcosa che sia non solo sostegno, ma anche “interpretazione”. A questi quesiti, oltre a fornire ovviamente altri dati e spunti di riflessione, danno una risposta le pagine dei 15 contributi che costituiscono il corpo del libro, firmati da ben 27 psicoanalisti. Ovviamente, ciascun lettore, in base innanzitutto alla propria concezione di psicoanalisi, potrà valutare l’efficacia ed apprezzare lo sforzo di dare una risposta non ortodossa al disagio altrui, ma anche personale, in una situazione eccezionale assolutamente non prevedibile. Tra i tanti capitoli, segnalo l’interessante confronto, nell’introduzione scritta da Marianne Leuzinger-Bohleber, tra la visione psichiatrica del disturbo da stress post traumatico e la teorizzazione psicoanalitica a proposito della traumatizzazione. Inoltre, le iniziative descritte nel libro hanno coinvolto anche gli operatori sanitari in prima linea nella lotta al Covid, che si sono autonomamente rivolti ai contatti telefonici della S.P.I. Particolarmente coinvolgente la relazione telefonica descritta da Stefano lussana con un medico, da lui definito dottor “Viaggio”, facendo riferimento al condiviso viaggio nel mondo delle emozioni che hanno realizzato il medico in prima linea e lo psicoanalista.

Questa emergenza ha sicuramente colpito tutti, ovviamente in modo e intensità diversa. I rapporti sociali sono cambiati, soprattutto nel periodo del primo lockdown in cui è stata effettuata la ricerca, e ancora non sappiamo per quanto tempo saranno necessarie modifiche al nostro comportamento quotidiano. Il confronto con un nemico invisibile ma molto potente, il virus, e le conseguenti strategie di prevenzione hanno avuto un impatto notevole sul mondo psichico di ciascuno di noi. Nessuno è stato esente dall’impatto della pandemia: l’isolamento sociale ha avuto specifiche conseguenze per i bambini e per il mondo scolastico; gli anziani sono stati particolarmente a rischio; gli ammalati di altre patologie hanno visto un decadimento della qualità delle loro cure mediche; le problematiche di disagio economico si sono acuite in diverse situazioni. Anche la questione dell’efficacia dei vaccini, con le conseguenti polemiche, ha un riverbero psicologico notevole, che merita di essere studiato ma che per motivi di spazio non può essere trattato qui. Nel libro curato da Nicolò ci sono spunti che fanno riferimento ad alcune di queste situazioni, all’ascolto nelle varie fasi della vita e a come una relazione d’aiuto fondata su un ascolto partecipe possa svolgere una funzione di grande utilità.

Parlando della pandemia, il mio vertice osservativo è particolare ed emotivamente non neutro essendo, come attività istituzionale, responsabile dell’U.O.S.D. di Psicologia Clinica dell’Azienda Ospedaliera dei Colli, di cui fa parte anche l’ospedale Cotugno di Napoli, meritoriamente balzato alle cronache nazionali ed internazionali proprio per l’impegno dei suoi operatori. Insieme al Sacco di Milano e allo Spallanzani di Roma è uno dei 3 poli ospedalieri italiani dedicati esclusivamente alle malattie infettive ed è da quasi due anni impegnato nella cura dei pazienti affetti da Covid.

Dalla mia visuale di psicologo ospedaliero, è ovvio che il carico emotivo più pesante lo abbiano vissuto i pazienti, soprattutto quelli costretti al ricovero, e i loro familiari. Tra le tante specificità del Covid quella sicuramente più potente dal punto di vista psicologico, unendo il timore per la propria salute con quella dei propri cari, è che, in tantissime situazioni, si sono ammalate diverse persone della stessa famiglia. Noi psicologi diciamo che ogni malattia importante è sempre una malattia “familiare”: sia perché investe i parenti che vivono a loro volta una condizione spesso di forte stress, sia perché essi sono sempre la risorsa più importante. Quindi, proviamo a prenderci cura di tutto il sistema familiare. Ma, in questo caso, si sono ammalati davvero interi nuclei familiari. Quello che i ricoverati ci hanno riferito è che la separazione familiare, più che l’isolamento in sé, già traumatico con l’impossibilità di avere contatti se non con operatori bardati in tute protettive, è stata l’evenienza più difficile da accettare. La fonte di maggior disagio è stata proprio l’impotenza per non poter far nulla in un momento di difficoltà delle persone che ami, il desiderio di voler partecipare dando sostegno, mentre invece si è costretti ad essere tutti separati. Tutto ciò sapendo che a casa, o finanche nello stesso ospedale, ci fossero genitori o coniuge ammalati e non poter essere d’aiuto.

Inoltre, non si può mai trascurare il fatto che sono morte nel nostro paese oltre 137.000 persone. Ciò significa che sono centinaia di migliaia le persone che stanno vivendo in questi mesi un lutto: mogli, mariti, figli, fratelli e sorelle, genitori. La questione è innanzitutto etica e culturale. Etica perché è un dovere della collettività essere vicino a queste persone. Il secondo aspetto è invece culturale: smettere di eliminare finanche il pensiero della morte dalla nostra società. Occorre dare risalto a questo tema, per quanto doloroso e difficile. La morte non si sconfigge cercando di ignorarne l’esistenza. Occorre incentivare progetti che favoriscano il sostegno psicologico per i familiari di vittime del Covid o altra patologia per supportarli nell’elaborazione del lutto. Infine, l’ultima area molto importante riguarda l’assistenza agli operatori sanitari, sottoposti ad una situazione tuttora in corso con un carico emotivo straordinario.

Confesso che negli scorsi mesi ho provato anche un po’ di fastidio quando psicologhe/gi da casa si proponevano per consulenze di sostegno agli operatori ospedalieri in prima fila nella lotta al Covid. Ciò per due motivi. Il primo, più banale, è legato al fatto che difficilmente chi sta nelle “retrovie” può comprendere cosa si prova “in trincea”. Utilizzo non a caso un linguaggio bellico, ma i miei colleghi ospedalieri mi hanno raccontato più volte la drammaticità della propria situazione, a partire dalle prime settimane di febbraio-marzo dello scorso anno, in cui dovevano confrontarsi con una malattia nuova, inizialmente sconosciuta, che portava al decesso a volte in poche ore. L’altro motivo è più strutturale. Intendiamoci, io penso sia utile offrire assistenza psicologica ai lavoratori che sviluppano, ad esempio, forti quote d’ansia legate proprio al contesto professionale e ai rischi ad esso connessi. Ma sono tra quelli che reputano assai più utile occuparsi del benessere psicologico degli operatori sanitari “a monte” e non dopo che il disagio si sia manifestato. Come in medicina, anche in psicologia è importante la prevenzione e non solo la cura delle malattie. Ma è chiaro che ciò significa fare interventi sistemici, mettere mano all’organizzazione del lavoro, che deve tener conto della componente psicologica.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Nicolò, A. M. (a cura di) (2021). L’ascolto psicoanalitico in emergenza. Franco Angeli, Milano.
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