I disturbi dell’alimentazione sono caratterizzati da un anomalo rapporto con il cibo e contribuiscono alla comparsa di problematiche significative per la salute fisica e per il funzionamento psicosociale.
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), i disturbi dell’alimentazione rappresentano una delle più frequenti cause di disabilità per gli adolescenti e i giovani adulti nei paesi occidentali e sono in costante aumento.
Negli ultimi anni molte sono state le ricerche in questo campo con l’obiettivo di comprendere a fondo le caratteristiche delle problematiche alimentari e le modalità migliori con cui trattarle e prevenirle. Tra i vari aspetti studiati, ci si è chiesti quali siano i fattori implicati nel loro mantenimento. Una risposta a questa domanda è stata sviluppata all’interno della cornice teorica cognitivo comportamentale transdiagnostica dei disturbi dell’alimentazione su cui si basa la CBT-E (enhanced cognitive behaviour therapy), trattamento d’elezione per questa psicopatologia.
Meccanismi di mantenimento specifici dei disturbi dell’alimentazione
Secondo questo approccio teorico, il nucleo psicopatologico centrale dei disturbi dell’alimentazione sembra essere uno schema di valutazione di sé disfunzionale (Fairburn et al., 2003), ossia la tendenza delle persone affette da questa problematica a giudicare il proprio valore secondo canoni poco realistici ed equilibrati.
Il sistema di autovalutazione solitamente si basa sulla percezione soggettiva delle proprie prestazioni in vari ambiti della vita, come il lavoro, le amicizie, la scuola, la famiglia o lo sport. Nel contesto del disturbo alimentare, invece, questo sistema si stravolge e il giudizio sul proprio valore dipende quasi esclusivamente dal controllo che si esercita sul peso o la forma del corpo o l’alimentazione.
Stabilire il proprio valore basandosi prevalentemente su variabili legate al controllo alimentare o corporeo è rischioso e poco funzionale perché:
- una dimensione (e.g., peso, alimentazione, forma del corpo) molto sproporzionata rispetto alle altre (e.g., lavoro, famiglia, amicizie, …) è in grado di compromettere l’intero sistema in caso di fallimento;
- spesso gli obiettivi legati al peso o alla forma del corpo non vengono raggiunti (si potrebbe essere sempre più magri e con una forma più gradevole);
- il focus attentivo è orientato selettivamente verso questi aspetti, marginalizzando e trascurando molte aree di vita (Dalle Grave e Calugi, 2015).
Le altre caratteristiche cliniche peculiari del disturbo, come il sentirsi grassi, i comportamenti estremi di controllo del peso o l’evitare di esporre il corpo, derivano in modo diretto o indiretto dal nucleo psicopatologico centrale. Questi aspetti, infatti, sono spiegabili solamente alla luce della sproporzionata importanza che il controllo di corpo, peso o alimentazione ha sull’autovalutazione (Dalle Grave, 2012).
In persone che soffrono di disturbi dell’alimentazione il sistema di autovalutazione disfunzionale viene mantenuto attivo dalle diverse manifestazioni cliniche del disturbo (e.g., la marginalizzazione di altre aree di vita). Questi elementi costituiscono l’insieme dei fattori di mantenimento interni o specifici (Dalle Grave et al., 2018), chiamati in questo modo perché peculiari del disturbo dell’alimentazione.
Meccanismi di mantenimento esterni dei disturbi dell’alimentazione
Esiste un sottogruppo di persone che soffrono di un disturbo dell’alimentazione in cui si possono riscontrare dei fattori di mantenimento aggiuntivi (esterni o non specifici) legati ad altre problematiche: perfezionismo clinico, bassa autostima nucleare, difficoltà interpersonali marcate o intolleranza alle emozioni. I meccanismi esterni interagiscono con quelli specifici e contribuiscono al mantenimento della psicopatologia, ostacolando ulteriormente il processo di cambiamento.
In particolare, siamo in presenza di perfezionismo clinico quando le attitudini e i comportamenti perfezionistici sono così estremi da danneggiare significativamente la vita della persona. Quando un disturbo dell’alimentazione coesiste con il perfezionismo clinico le due psicopatologie interagiscono tra loro e le persone che ne soffrono sono sia impegnate a raggiungere un “perfetto” controllo del peso, della forma del corpo o alimentare, sia a soddisfare standard molto esigenti negli altri ambiti di vita (Dalle Grave et al., 2018). Il perfezionismo clinico intensifica alcuni aspetti della psicopatologia, rendendoli difficili da trattare e favorendo il mantenimento della problematica (Shafran et al., 2002).
La bassa autostima nucleare, invece, è caratterizzata da un incondizionato e pervasivo giudizio negativo su di sé, non dipendente da condizioni attuali, di lunga durata e non conseguente a uno stato depressivo. Questo aspetto, combinato con il disturbo dell’alimentazione, favorisce un senso di impotenza, una visione negativa del futuro e la convinzione di non avere le capacità necessarie per affrontare un cambiamento; favorisce, inoltre, la focalizzazione su aspetti importanti (legati al disturbo) per migliorare la propria autostima (e.g., il controllo dell’alimentazione), rendendo difficile l’adesione e ostacolando il trattamento (Dalle Grave et al., 2018).
Spesso le persone con un disturbo dell’alimentazione hanno difficoltà interpersonali che migliorano con l’andamento della terapia. Tuttavia, ci sono alcuni pazienti per cui è necessario affrontarle in modo specifico. Alcune difficoltà interpersonali che favoriscono il mantenimento delle problematiche alimentari sono l’isolamento sociale e la mancanza di esperienze (questo favorisce la concentrazione sulla psicopatologia) o i conflitti, le liti e le emozioni negative associate che accentuano alcuni comportamenti del disturbo (e.g., cibo per modulare le emozioni).
Alcune persone con disturbi dell’alimentazione presentano una specifica difficoltà nel tollerare stati d’animo intensi o un’eccessiva sensibilità a tali stati (Fairburn et al., 2003). Il fatto di gestire in modo poco adeguato le emozioni porta spesso alla messa in atto di comportamenti disfunzionali, come gesti autolesivi o l’uso di sostanze psicoattive. I pazienti con disturbi dell’alimentazione possono usare alcuni comportamenti tipici del disturbo (e.g., vomito, esercizio, abbuffate, …) come comportamenti di modulazione emotiva.
I meccanismi esterni, quindi, possono diventare un importante ostacolo al cambiamento. In questi casi, infatti, il trattamento prevede dei moduli aggiuntivi per lavorare sugli aspetti extra-patologia che non permettono una risoluzione del disturbo dell’alimentazione.