Il disturbo da uso di sostanze (ing. Substance Use Disorder, SUD) è una condizione per la quale l’utilizzo di uno o più psicoattivi porta a una compromissione clinicamente significativa o a disagio (American Psychiatric Association, 2013).
Il disturbo da uso di sostanze si riferisce quindi all’uso eccessivo di una droga che porta a effetti dannosi per la salute fisica e mentale di un individuo, o per il benessere di altri individui. Questo disturbo è caratterizzato da un modello di uso continuato patologico di una sostanza, che si traduce in conseguenze sociali avverse, come il mancato rispetto degli obblighi di lavoro, di famiglia o di formazione, ma anche in conflitti interpersonali e problemi legali (Mosby’s Medical, Nursing & Allied Health, 1998).
Secondo lo studio sul carico globale delle malattie dell’Organizzazione mondiale della sanità, circa 11,8 milioni di persone in tutto il mondo soffrono di tossicodipendenza (Degenhardt et al., 2010). Diversi fattori contribuiscono al rischio di sviluppare il disturbo da uso di sostanze, inclusi fattori socioeconomici, come stile ed eventi di vita, episodi avversi (sia durante l’infanzia, sia in corso), disponibilità di farmaci o accettazione culturale dell’uso di droghe, e disturbi psichiatrici, come depressione, disturbo bipolare, disturbi d’ansia, e schizofrenia (Weiss et al., 1992).
Il trattamento del disturbo da uso di sostanze
Il trattamento del disturbo da uso di sostanze spesso comporta interventi sia farmacologici, sia psicologici, come la terapia cognitivo comportamentale, il colloquio motivazionale, la terapia familiare. Nonostante la crescente efficacia del trattamento di questo disturbo, ancora il 50-60% dei pazienti con disturbi da uso di droghe e alcol presenta delle recidive entro 6-12 mesi dopo il trattamento (Cornelius et al., 2003). Sono quindi urgentemente necessari nuovi trattamenti che si concentrino preferibilmente sulla riduzione del craving e del successivo uso massiccio di sostanze.
Sebbene possa risultare paradossale, alcuni studi hanno dimostrato come alcune sostanze allucinogene abbiano effetti significativi sulla riduzione della sintomatologia correlata al disturbo da uso di sostanze.
Come risultato della sua popolarità ricreativa degli anni ’60, il potenziale di abuso di LSD è stato vietato nel 1967, e ciò ha ridotto notevolmente la ricerca scientifica in questo campo. Recentemente, un altro allucinogeno, la psilocibina, ha guadagnato popolarità nella ricerca neuropsicologica. È stato dimostrato che la sostanza allucinogena contenuta in particolari specie di funghi, possa aumentare la flessibilità cognitiva e comportamentale (Gallimore, 2015) e le valutazioni di atteggiamento positivo, umore, effetti sociali e comportamento a due mesi di follow-up (Griffiths et al., 2008). Uno studio ha anche riportato cambiamenti positivi nell’atteggiamento e nel comportamento dopo una singola dose di psilocibina, cambiamenti persistenti per 25 anni (Doblin, 1991). È stato anche dimostrato che la psilocibina riduce i sintomi depressivi nei malati terminali di cancro (Grob et al., 2011). Questi risultati suggeriscono che la psilocibina potrebbe essere un composto prezioso per il trattamento delle condizioni psicologiche e psichiatriche.
L’uso della psilocibina nel trattamento del disturbo da uso di sostanze
Nella review del 2017 di de Veen e colleghi, gli autori evidenziano come la struttura chimica della psilocibina sia simile a quella della serotonina. Le disregolazioni del sistema serotoninergico sono associate ad alterazioni degli ormoni dello stress, come il cortisolo, e a variazioni dell’umore. Dopo la somministrazione di psilocibina, i livelli di cortisolo tendono ad aumentare, attivando la rete di controllo esecutivo, con conseguente aumento del controllo sui processi emotivi, nonché sollievo dal pensiero negativo e dalle emozioni negative persistenti. È importante sottolineare che la psilocibina ha un basso rischio di tossicità e di induzione di dipendenza e può essere utilizzata in sicurezza in condizioni cliniche controllate (de Veen et al., 2017).
Con la quantità limitata di effetti collaterali segnalati e i potenziali effetti benefici della psilocibina nel disturbo da uso di sostanze, de Veen e collaboratori credono fermamente che ci siano valide ragioni per indagare ulteriormente sull’efficacia terapeutica e sulla sicurezza della psilocibina come potenziale trattamento del disturbo da uso di sostanze (de Veen et al., 2017). Gli autori ipotizzano in particolare due meccanismi d’azione della psilocibina che potrebbero mediare le sue proprietà anti-assuefazione. Da un lato, la sostanza può esercitare le sue proprietà anti-assuefazione con effetti benefici su stati emotivi negativi e stress. D’altra parte, la psilocibina può migliorare la rigidità cognitiva e la compulsività. Data la sua implicazione nella modifica dei processi emotivi e comportamentali, il team di de Veen ipotizza che essa possa migliorare il funzionamento cognitivo e alleviare i sintomi legati all’ansia e alla depressione associati al disturbo da uso di sostanze (de Veen et al., 2017).
La ricerca sull’efficacia della psilocibina sul disturbo da uso di sostanze è ancora limitata; di conseguenza, molti importanti quesiti relativi all’uso dell’allucinogeno come complemento all’attuale trattamento del disturbo da uso di sostanze e ai suoi meccanismi di funzionamento rimangono senza risposta. Prima che la psilocibina possa essere implementata come opzione di trattamento per il disturbo da uso di sostanze, è bene sottolineare l’indispensabilità di studi sperimentali più approfonditi.