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Dal laboratorio al territorio – Il caso del trattamento dell’OMS per le famiglie di bambini con autismo

I caregiver di bambini con autismo non sempre riescono ad accedere ai trattamenti, come colmare tale treatment gap? L'esempio del Caregiver Skills Training

Di Andrea Sanguineti

Pubblicato il 22 Nov. 2021

Il Caregiver Skills Training è stato sviluppato dall’OMS per rispondere al bisogno delle famiglie di bambini con autismo di accedere a un intervento gratuito, evidence-based e che necessiti di poche risorse.

 

‘Treatment gap’ per l’autismo – un problema generalizzato di accesso alle cure

In Europa, un bambino su 10 affetto da autismo non ha accesso a trattamenti basati su evidenze scientifiche. Esiste infatti un esteso problema di accesso alle cure – il cosiddetto treatment gap – non solo nei paesi a basso e medio reddito, in cui la maggior parte dei bambini non accede ai servizi (Reichow et al., 2013), ma anche in quelli ad alto reddito (Salomone et al., 2016; Smith et al., 2020). In Italia, una recente analisi dell’Istituto Superiore della Sanità riporta che il 50% dei servizi pubblici di Neuropsichiatria Infantile non offre alcun tipo di trattamento specifico per l’autismo (Borgi et al., 2019) e solamente un terzo dei genitori ha accesso a training specifici per apprendere abilità utili a sviluppare le competenze dei bambini (Salomone et al., 2016).

Dal laboratorio al territorio – Cosa ci dicono i risultati sperimentali sul mondo reale

Per risolvere il treatment gap, una soluzione è lo sviluppo di nuovi trattamenti che siano efficaci ma allo stesso tempo richiedano poche risorse e possano essere accessibili a tutti. Esistono ormai molte prove, derivate da ricerche sperimentali in setting universitari, che i genitori di bambini con autismo possano apprendere con percorsi di ‘caregiver training’ quelle competenze utili a favorire lo sviluppo dei loro bambini (Oono et al., 2013). Tuttavia, un problema fondamentale nello sviluppo di trattamenti psicologici è capire quanto i risultati della ricerca sperimentale, solitamente condotta da clinici esperti e specializzati in setting di laboratorio universitari altamente controllati, siano poi effettivamente replicabili in setting di comunità. In questi contesti le condizioni sono molto diverse: l’intervento è erogato da personale sanitario non necessariamente specializzato, la platea di pazienti è molto eterogenea perché non selezionata sulla base di specifici criteri di inclusione o esclusione ed è possibile solo un ridotto controllo sull’effettiva applicazione concreta del trattamento. In altre parole: quanto i risultati ottenuti in laboratorio riflettono quelli ottenuti nel mondo reale? Una recente metanalisi (uno studio che valuta i risultati di numerose ricerche sperimentali al fine di ottenere conclusioni più precise) ha dimostrato che quando gli stessi trattamenti psicologici per bambini con autismo che hanno ottenuto risultati ampiamente positivi in setting di laboratorio – cioè alta efficacia sperimentale, o efficacy – sono implementati sul territorio, questi ottengono risultati significativamente inferiori – cioè bassa efficacia sul campo, o effectiveness – (Nahmias et al., 2019; Reichow, 2012). L’efficacia di questi interventi quindi si riduce sostanzialmente quando sono implementati nel contesto reale.

Come si può spiegare questo dato? I risultati ottenuti in setting sterili e altamente controllati spesso non tengono in conto dell’effettiva fattibilità di erogazione dell’intervento (cioè, barriere e difficoltà per l’implementazione fedele del programma, barriere alla partecipazione dei partecipanti alle sessioni o alla ‘pratica a casa’) e l’accettabilità per chi lo eroga e chi lo riceve (cioè, la comprensibilità, rilevanza, o allineamento con i valori personali dei contenuti e metodologie proposte). Ciò può avere in ultimo un effetto negativo sull’efficacia sul campo dei trattamenti proposti. Si comprende quindi come, per poter davvero ‘chiudere’ il gap nell’accesso alle cure, sia necessario non solo sviluppare nuovi trattamenti, ma anche valutare la loro efficacia clinica in contesti di comunità.

Il Caregiver Skills Training – Lo studio pilota dell’OMS in Italia

Un esempio positivo in tal senso è un recente studio condotto dall’Università di Milano-Bicocca, in collaborazione con l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), Georgia State University e Newcastle University, che ha valutato l’efficacia sul campo del Caregiver Skills Training (CST), un nuovo modello di intervento open-access per caregiver di bambini con disturbi del neurosviluppo, incluso l’autismo. Il CST è stato sviluppato dall’OMS per rispondere al bisogno delle famiglie di accedere a un intervento gratuito, evidence-based e che necessiti di poche risorse (Salomone et al., 2019). L’obiettivo principale del CST è la strutturazione di attività quotidiane in routine condivise tra bambino e caregiver al fine di fornire regolari esperienze di attenzione condivisa che lo aiutino a sviluppare nuove abilità, quali la comunicazione verbale e non-verbale, la condivisione di interessi e la regolazione dei comportamenti problema. Questo training, che consiste di 9 sessioni di gruppo e 3 visite domiciliari, fornisce ai caregiver le strategie necessarie per strutturare le attività del bambino, seguire la sua guida e usare l’affetto positivo per stabilire e mantenere routine sia di gioco che con le attività casalinghe quotidiane.

Per valutare se questo trattamento sia veramente efficace anche nei contesti in cui poi dovrebbe essere erogato alle famiglie, cioè il Servizio Sanitario Nazionale (SSN), il CST è stato prima adattato al contesto italiano ed è poi stato testato in uno studio pilota diretto dalla dr.ssa Erica Salomone dell’Università di Milano-Bicocca, all’interno del field-testing a livello mondiale condotto dall’OMS. L’adattamento del CST, con lo scopo di mantenere un’alta accettabilità del trattamento, è stato condotto da un team di ricercatori e psicologi secondo le linee guida dell’OMS (Salomone et al., 2021a). Infine, l’adattamento italiano è stato valutato e affinato da un gruppo di operatori del settore (psicologi, terapeuti del linguaggio, neuropsichiatri infantili, terapeuti della psicomotricità ed educatori). Successivamente è stata testata l’implementazione del CST nei servizi di Neuropsichiatria Infantile del SSN in uno studio pilota randomizzato controllato (RCT) sull’efficacia dell’implementazione – che coniuga la validità empirica degli studi di laboratorio, con la variabilità e complessità dell’implementazione nel SSN – il primo di questo genere realizzato in un contesto di comunità in Italia.

Lo studio ha mostrato alti livelli di fattibilità di erogazione da parte di professionisti sanitari nel contesto pubblico ed eccellente accettabilità per i caregiver. Dal punto di vista dell’efficacia sul campo, lo studio ha indicato effetti favorevoli, a 3 mesi dalla conclusione dell’intervento, sulla qualità dell’interazione genitore-bambino, sulla comunicazione non verbale del bambino, sulle competenze genitoriali a supporto dell’interazione, nonché sull’autoefficacia e lo stress genitoriali (Salomone et al., 2021a; Salomone et al., 2021b).

Uno sguardo al futuro – Tra implementazione in comunità e pandemia

In conclusione, il CST sembra essere un programma efficace, fattibile e accettabile per caregiver di bambini affetti da disturbi del neurosviluppo, tra cui l’autismo. Lo studio pilota condotto in Italia non solo ha dimostrato la sua utilità e convenienza, grazie alla bassa quantità di risorse richieste, ma anche la sua grande adattabilità. In questa direzione, un ulteriore studio è in corso al fine di valutare l’efficacia, fattibilità ed accettabilità di implementazione tramite erogazione da remoto (cioé, videoconferenze per le sessioni di gruppo e analisi di videoregistrazioni dell’interazione caregiver-bambino per le visite a casa), in accordo alle restrizioni vigenti a causa della pandemia da Covid-19.

 

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