Superschiappe o supereroi? L’illusione dietro l’attacco di panico, e il suo grande potere nel trarci in inganno e farci sentire in pericolo, mentre in realtà siamo molto forti.
Gli attacchi di panico (AP) sono tra gli eventi più spaventanti e comuni che possono accadere nella vita dell’uomo. La maggior parte della popolazione mondiale ha sperimentato almeno un attacco di panico, e molti anche più di uno. È un evento esplosivo che ci catapulta al di là del controllo normale del nostro corpo e ci getta nella paura più totale. Ognuno di noi può sperimentare sintomi diversi: chi avverte tachicardia, sudorazione, tremore; chi pressione sul petto, senso di leggerezza alla testa, come non si fosse più nel proprio corpo, mal di pancia o di stomaco, paura di morire o di impazzire. In tutti i casi si avvertono dei sintomi nuovi, mai sperimentati, prima fastidiosi e poi che ci terrorizzano poiché non abbiamo idea di cosa ci stia succedendo.
Chiunque, sottoposto ad una serie di sintomi simili spuntati fuori dal nulla, ne sarebbe terrorizzato e soprattutto farebbe di tutto per evitare di provarli in seguito.
A poco servono le rassicurazioni del medico del pronto soccorso, al quale magari ci siamo rivolti in seguito ad una violenta tachicardia: il fatto che non ci sia spiegazione medica dietro ciò che ci ha terrorizzato, aumenta la nostra paura, non la diminuisce. Ci sentiamo soli e avvolti dal dubbio.
“È una cosa di testa, devi stare più tranquillo, sei troppo stressato”, queste in genere le parole che accompagnano la nostra dimissione e che ci confondono ancora di più.
Ognuno di noi si sente intimamente e inspiegabilmente rassicurato nel momento in cui un medico scopre l’origine di un sintomo: mentre quando quell’origine resta misteriosa siamo avvolti dalla confusione.
L’attivazione fisiologica che accompagna gli attacchi di panico
Per spiegare cosa succede durante un attacco di panico, è necessario fare un piccolo passo indietro e spiegare come la nostra mente è solita dare un’interpretazione a tutto ciò che vediamo. Senza neanche accorgercene, e moltissime volte nell’arco della stessa giornata, effettuiamo delle valutazioni, spesso di pochissimo conto, sulla realtà che ci circonda. Un po’ come se appiccicassimo delle etichette a tutto ciò che osserviamo, e che per noi ha un qualche significato.
Il significato che noi attribuiamo a ciò che accade, determina il modo in cui reagiamo: come ci sentiamo e come ci comportiamo di conseguenza. Ad esempio se incontriamo un cane mentre camminiamo per strada, e siamo dei grandi amanti dei cani saremo propensi a provare un’emozione positiva e magari anche fermarci per accarezzarlo. Al contrario, se abbiamo storicamente paura dei cani, magari in seguito ad un incidente quando eravamo piccoli, saremo portati ad etichettare l’evento come pauroso e ad allontanarci velocemente.
Senza accorgercene, compiamo decine di valutazioni simili nella nostra vita quotidiana.
Un’etichetta di “pericolo” attiverà un allarme, un po’ come se venisse suonata una sirena dei pompieri nella nostra mente, che mette in atto tutta una serie di reazioni.
Quando ci troviamo di fronte ad un evento che valutiamo come minaccioso, dentro di noi si attivano degli allarmi molto molto antichi, che l’evoluzione ha favorito nei millenni allo scopo di proteggerci. Fin dall’uomo preistorico sono due i comportamenti che gli esseri umani mettono in atto, di fronte ad una minaccia: la fuga o l’attacco. La scelta fra l’una o l’altro dipende da cosa c’è in ballo. Ad esempio se la minaccia è palesemente troppo pericolosa da affrontare, se siamo soli di fronte ad essa, oppure se abbiamo dei piccoli da difendere o una nostra proprietà a noi molto cara.
Sono meccanismi ormai automatici, che attivano nella nostra mente, e nel nostro corpo di conseguenza tutta una catena di eventi che li rendono possibili.
Per far sì che possiamo attaccare o fuggire, il nostro corpo deve essere potenziato al massimo in pochissimo tempo: immaginiamo di dover iniziare una corsa velocissima per la sopravvivenza o di dover attaccare violentemente una minaccia.
Quando questo allarme vecchio di milioni di anni scatta, nel nostro cervello accadono una serie di cose predefinite e difficilmente modificabili: essendo molto antico ed avendo resistito per tanto tempo, questo meccanismo è ancora molto valido per consentirci questi due comportamenti.
È necessario avere a disposizione molto sangue in più, che porterà con sé molto più ossigeno prodotto da un’attività maggiore dei polmoni; è necessario che il sangue raggiunga le estremità velocemente per scattare, che l’ossigeno e il glucosio vengano dirottati verso il cervello che potrà così coordinare il corpo al massimo dell’efficienza; è necessario che vengano interrotte le attività corporee che consumano molta energia come quelle del sistema gastrointestinale, e che l’allerta sia massima. Questo è solo un esempio di tutta la catena di eventi che si rendono necessari per far sì che si attacchi un nemico o si fugga da esso.
Ma oggi non siamo più nella preistoria, per nostra fortuna.
D’altra parte a questo meccanismo di allerta, estremamente efficiente, dobbiamo la vita da milioni di anni, e nell’ottica evolutiva è molto difficile che scompaia nel nulla solo perché oggi giorno non abbiamo più davanti mostri spaventosi che ci inseguono.
Il meccanismo di allerta è sempre molto efficiente, e pronto a scattare nel momento in cui valutiamo una situazione come pericolosa per noi: una minaccia percepita.
All’inizio abbiamo detto che decine di volte al giorno, inconsapevolmente appiccichiamo delle etichette a ciò che ci succede e che questo determina le emozioni che proviamo ed il nostro comportamento. La nostra mente è perfettamente in grado di generare situazioni di allarme e mettercele di fronte agli occhi: sappiamo bene quanto sia facile entrare in ansia immaginando delle conseguenze catastrofiche per una situazione che temiamo. Una volta che parte l’allarme, si generano gli eventi che abbiamo descritto sopra. Questi eventi che avvengono nel nostro corpo, saranno però nuovamente oggetto di valutazione, da parte della nostra mente che è già in preda all’ansia per l’immagine catastrofica che ha di fronte.
Ed ecco che percepiremo tachicardia, senso di pesantezza al petto, difficoltà a respirare, “testa leggera”, formicolio alle estremità, mal di stomaco e pancia con episodi di vomito e/o diarrea, senso di svenimento e soffocamento. Che altro potremo pensare se non di stare per morire?
Ma questa è solo un’interpretazione erronea. Tutti i sintomi che stiamo avvertendo sono perfettamente spiegati dall’enorme dispiegamento di forze che il nostro fisico mette in atto per affrontare quella che interpreta come minaccia.
Il cuore batte molto più velocemente per permettere un maggiore afflusso di sangue sotto forma di tachicardia, i polmoni si dilatano di più e più spesso all’interno della gabbia toracica per produrre più ossigeno dandoci l’impressione di costrizione al petto, il sangue affluirà in massa alle estremità facendoci percepire un marcato formicolio (avete presente quando ci si addormenta un piede e poi si risveglia?), una grande quantità di ossigeno affluirà al cervello dandoci l’impressione di respirare in alta montagna, le attività di stomaco e intestino verranno bloccate per risparmiare energia preziosa provocandoci crampi e rigetto, la nostra pelle avrà bisogno di carpire dall’aria tutta l’umidità possibile per idratare al massimo il corpo, provocando il sollevamento dei peli e la cosiddetta “pelle d’oca”.
Ciò che la nostra mente interpreta come pericoloso di morte immediato, in realtà è la trasformazione del nostro fisico, per un tempo limitato, da uomo a superuomo con delle capacità potenziate disponibili per breve tempo, che ci faciliteranno proprio quelle reazioni di attacco e fuga di cui parlavamo.
Quando sperimentiamo per la prima volta le attivazioni suddette, senza essere a conoscenza di questa capacità millenaria del nostro corpo, diamo di esse un’interpretazione catastrofica: il pericolo di morte immediato, quando in realtà stiamo sperimentando una sorta di superpotere momentaneo.
Perché gli attacchi di panico ci spaventano?
Che cosa succede se la minaccia non si palesa? Il nostro fisico non è in grado di sostenere un livello di attivazione così potente, quindi avviene una sorta di “crollo” ad opera del sistema nervoso autonomo, che bilancia il sistema di allarme. È come se ci rilassassimo di botto, un po’ come accade in seguito ad un orgasmo. Ovviamente chi ha sperimentato un attacco di panico, difficilmente utilizzerà termini così piacevoli.
Ma quindi, se è tutto un fraintendimento, se durante un attacco di panico da uomini ci trasformiamo in superuomini, perchè ci terrorizza così tanto e soprattutto perché dopo il primo in molti casi dedichiamo ogni nostra energia a far sì che non si ripeta mai più, modificando la nostra vita e quella di chi ci sta attorno e privandoci di un numero di esperienze sempre maggiore?
Una soluzione efficace e vecchia di millenni diventa essa stessa il problema. Ma perché?
Innanzitutto perché non lo sappiamo: pochissimi sanno cosa accade al nostro cervello e al nostro corpo durante una crisi d’ansia, e siamo abituati a considerare l’ansia come una malattia, come qualcosa di cattivo e limitante, da eliminare. La società ci dà una grande mano in questo.
Ma l’ansia è un’emozione fondamentale per la sopravvivenza: senza di essa non saremo in grado di valutare i pericoli ed agire di conseguenza.
Allora qual è il problema?
Il problema è cosa inizialmente fa scattare l’allarme: quella minaccia percepita di cui abbiamo parlato inizialmente. Ognuno di noi ha un proprio sistema di valori, di credenze, di cose importanti che vale solo per noi stessi e che spesso è molto diverso da quello degli altri. Questo fa sì che ognuno di noi ha degli scopi, delle cose importantissime per le quali vale la pena lottare ad ogni costo; ma anche degli antiscopi, l’esatto opposto, cose dalle quali fuggire a gambe levate. Scopi e antiscopi si esplicitano nella vita quotidiana nelle situazioni più varie, il più delle volte senza che ce ne rendiamo conto. Quella minaccia originale che ha dato il via alla cascata di eventi dell’AP, sarà quindi il frutto di una valutazione di pericolo per noi, che lo sia o meno.
È proprio sulla minaccia percepita che abbiamo “appiccicato” inconsapevolmente a ciò che è successo in un dato momento, che dovremo concentrarci, e non sull’attacco di panico, la cui unica colpa è quella di averci trasformato in supereroi momentanei.