Il testo Attacchi e Disturbo di Panico appartiene ad una collana diretta da Daniele Berto ed intitolata 100 domande, nella quale attraverso l’uso di 100 domande, vengono approfondite caratteristiche, diagnosi e trattamento di alcuni disturbi.
Precisamente, il manuale qui considerato approfondisce il tema degli attacchi di panico e del disturbo di panico in tre parti separate: caratteristiche e definizioni, diagnosi e trattamento.
Più volte gli autori sottolineano quanto sia importante separare gli attacchi di panico dal disturbo di panico. Infatti, i primi possono essere considerati come momenti (massimo 20-30 minuti) di paura incontrollata, in cui fanno comparsa una pluralità di sintomi. A scopo diagnostico devono comparire almeno quattro tra: palpitazioni, sudorazione, tremori fini o a grandi scosse, dispnea o sensazioni di soffocamento, sensazioni di asfissia, dolore o fastidio al petto, nausea o disturbi addominali, vertigine, brividi o vampate di calore, parestesie, derealizzazione o depersonalizzazione, paura di perdere il controllo, paura di morire. Nel caso in cui i sintomi siano meno di quattro possiamo parlare di attacchi paucisintomatici. Ora, gli attacchi di panico non sono sempre inaspettati, ma possono esservene anche di attesi o situazionali (ossia attacchi previsti perché si verificano in situazioni simili). Solitamente i primi attacchi sono casuali, ma poi il paziente inizia a creare collegamenti tra i luoghi/situazioni e gli attacchi non esistenti. Si tratta comunque di un’esperienza molto diffusa: 28,3% della popolazione riporta attacchi di panico isolati. È importante sottolineare comunque che sperimentare un attacco di panico non è indice di un disturbo mentale: secondo alcuni studi il 10% della popolazione normale presenta un attacco all’anno senza per questo riportare particolari conseguenze. L’elevata diffusione degli attacchi di panico non corrisponde ad un’alta prevalenza del disturbo di panico (0.9% nei maschi e 2.2% nelle femmine).
Il disturbo di panico è una condizione per cui:
- sono presenti attacchi di panico ricorrenti e inaspettati
- almeno uno degli attacchi è stato seguito per almeno un mese dall’una o dall’altra o da entrambe queste manifestazioni: 1. persistente ansia anticipatoria; 2. evitamenti e significative alterazioni della propria routine.
- gli attacchi non sono attribuibili ad una droga, farmaco o malattia fisica
- gli attacchi non sono meglio spiegabili con un altro disturbo.
Gli attacchi di panico sono quindi tipici del disturbo di panico, ma non per questo non possono essere riscontrati in altri disturbi, come fobie, disturbo d’ansia sociale, disturbo d’ansia generalizzata, disturbi da stress post-traumatico, depressione, disturbo bipolare, disturbi di personalità e da dipendenza da sostanze. L’età media dell’esordio si aggira attorno ai 24 anni, tuttavia possiamo identificare una distribuzione bimodale con picchi tra 15-24 anni e tra 45-54 anni.
Tipicamente possono essere identificate tre fasi nello svilupparsi del disturbo di panico:
- attacchi inaspettati vissuti con crescente paura
- ansia anticipatoria
- sviluppo di evitamenti che limitano l’autonomia e la qualità della vita.
Sebbene il DSM non consideri la frequenza degli attacchi nella diagnosi del disturbo di panico, l’ICD-10 considera il disturbo moderato quando si verificano almeno 4 attacchi in un mese e grave con almeno quattro alla settimana.
Alcuni studi hanno esaminato la possibile familiarità del disturbo di panico che sembrerebbe essere elevata, tanto per cui figli di individui con disturbo di panico hanno una probabilità 5-8 volte superiore di sviluppare anche loro il disturbo di panico. L’alta familiarità può essere spiegata sia in termini di trasmissione genetica che di ambiente familiare. Tuttavia, studi identificanti geni responsabili della vulnerabilità al disturbo di panico non sono molti e la maggior parte identifica geni corrispondenti alla predisposizione di altri disturbi come d’ansia e dell’umore. Sicuramente rilevante è comunque la componente ambientale, a causa dell’uso di modelli per lo stile educativo e gli eventi di vita non esattamente sani.
Per effettuare una valutazione psicodiagnostica degli attacchi di panico e di un possibile disturbo di panico possono essere usati diversi metodi, come:
- osservazione diretta, durante le prove d’induzione e test di evitamento. Tra le prove d’induzione vanno citate la prova d’iperventilazione o qualsiasi altra prova tra le nove prove di Andrews. In caso di esito negativo, si potrebbe passare alla somministrazione di prove di evitamento.
- diari e schede di automonitoraggio: la scheda di automonitoraggio andrebbe compilata immediatamente dopo l’attacco inserendo data e durata, luogo e situazione, prevedibilità, eventi antecedenti, eventuale associazione agli eventi precedenti, persone presenti, sensazioni fisiche avvertite, pensieri che sono passati per la testa, intensità, livello massimo di paura esperito. Tuttavia, non sempre i pazienti possono essere disposti a compilare accuratamente la scheda di automonitoraggio magari perchè timorosi che il pensare al precedente attacco possa provocarne un altro (comportamento di evitamento). Tuttavia, anche in caso di mancata compilazione la scheda può risultare di estrema rilevanza rivelando insight relativi allo stile e atteggiamento del soggetto in modo da poter intervenire.
Inoltre, è bene somministrare il Beck Anxiety inventory (BAI) ogni 7-15 giorni in modo da poter monitorare l’andamento dell’ansia.
Per quanto riguarda il trattamento del disturbo di panico esistono alcune linee guida. Ad esempio, secondo il NICE (National Institute for Health and Clinical Excellence) gli interventi che hanno dato buona prova su lunghe distanze sono:
- terapia psicologica: più precisamente a) preferibile CBT; b) per via di professionisti; c) durata ottimale di 7-14 ore; d) sedute settimanali di 1-2 ore e dovrebbe completarsi entro un massimo di quattro mesi. I protocolli sono principalmente appartenenti a due filoni: inglese – muove dalla constatazione che un terzo dei pazienti ha immagini intrusive catastrofiche, motivo per cui vengono usate tecniche della terapia cognitiva classica, in modo flessibile; americano – basato sull’esposizione enterocettiva, ristrutturazione cognitiva, breathing training, esposizione situazionale (per 15 sedute)
- terapia farmacologica: i farmaci in prima linea sono gli SSRI, quindi gli antidepressivi e non gli ansiolitici. Tuttavia, ancora oggi molti individui fanno uso di benzodiazepine per il panico. Trattamenti combinati psicologici-farmacologici non sembrano aumentare la velocità del trattamento, anzi in caso di mancata coordinazione tra specialisti potrebbero anche ostacolare la remissione.
- auto-aiuto attraverso l’uso di manuali suggeriti dal clinico (è consigliato comunque un contatto personale col clinico almeno ogni 4-8 settimane).
Le ultime domande sono invece dedicate a comportamenti da adottare nel momento in cui si incorre in qualcuno con un attacco di panico, tra questi la tecnica della respirazione diaframmatica è consigliata. Essa consiste nel porsi davanti al soggetto e mettere la sua mano all’altezza del proprio diaframma per poi inspirare ed espirare lentamente, invitandolo a fare lo stesso. Per facilitare il rallentamento della respirazione è utile contare ad alta voce “uno…due…tre” durante l’inspirazione e “quattro… cinque… sei” durante l’espirazione. Oltre ad aiutare la respirazione lenta, altri comportamenti utili sono comprimere il torace, spostare l’attenzione su qualcosa, allontanare le persone in ansia e mantenere la calma.
All’interno del testo sono presenti anche delle chiarificazioni relative al rapporto tra iperventilazione e attacchi di panico, agorafobia, ansia da malattia (precedentemente chiamata ipocondria) e i comportamenti di sicurezza.
Nel complesso il manuale risulta essere di estrema chiarezza grazie alla sua struttura che permette di trovare subito le risposte alle domande che man mano emergono dalla lettura. Proprio per questo potrebbe essere molto utile per poter diffondere conoscenze relative ad esperienze comuni, quali sono gli attacchi di panico, in modo che più persone possibili possano essere pronte a reagire nel modo più adeguato nel momento del bisogno.