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The undoing. Le verità non dette – Recensione della serie

La cornice psicologica di The Undoing delinea storie di vita in cui episodi e avvenimenti traumatici lasciano il posto all'uso di strategie disfunzionali

Di Libera Reale

Pubblicato il 22 Set. 2021

Aggiornato il 23 Set. 2021 11:33

In questa miniserie televisiva statunitense diretta da Susanne Bier, la regista rappresenta in tutta la sua veridicità la distorsione cognitiva delle realtà dei due protagonisti, le verità esplicite ed implicite che ognuno racconta e cela e che si esauriscono alla fine nella rovina delle loro esistenze, undoing appunto.

Attenzione! L’articolo contiene spoiler

 

La serie è tratta dal romanzo Una Famiglia felice di Jean Hanff Korelitz. L’autore ha cercato attraverso la sua opera di tratteggiare i profili dei protagonisti scavando nelle loro dinamiche personali e interpersonali e nelle loro caratteristiche psicologiche. Quello che viene fuori è la narrazione di personalità disturbate, come nel caso di Jonathan Fraser, un narcisista con tratti antisociali, bene evidenziato dall’assoluta incapacità di empatizzare e provare rimorso, proteso a ricercare continuamente persone e situazioni in grado di idolatrarlo, idealizzare la sua immagine elevandolo ad uomo perfetto ed integerrimo (sceglie come professione quella di oncologo pediatrico) e una personalità con un’organizzazione cognitiva rigida, come quella di Grace, anche essa disfunzionale, che trova terreno fertile su un modello familiare non completamente aderente alla realtà idealizzata dalla protagonista, come emergerà in seguito.

La trama

La miniserie racconta di una una famiglia di altissima borghesia newyorchese – lei Grace Fraser (Nicole Kidman) psicoterapeuta, lui Jonathan Fraser (Hugh Grant) oncologo pediatrico e un figlio di 12 anni iscritto a una costosissima scuola privata – coinvolta in un brutale omicidio. La donna assassinata è l’amante di Jonathan e madre di un suo piccolo ex paziente. Il giorno dopo l’omicidio Jonathan sparisce misteriosamente, senza lasciare alcuna spiegazione, perché preoccupato di poter essere ritenuto colpevole. Quando ritorna, per provare a chiarire la sua posizione con la moglie, inizia il processo di sgretolamento (l’Undoing appunto) di quella che agli occhi di tutti era la rappresentazione della famiglia perfetta. Ed è in questo processo di sgretolamento esistenziale e penale che cominciano ad emergere le verità di ciascuno, intrise di narrazioni che rimandano al loro passato.

La cornice psicologica che supporta la serie, delinea attraverso le immagini e i racconti dei protagonisti, storie di vita in cui episodi e avvenimenti traumatici lasciano il posto all’adozione di strategie disfunzionali.

Da una prospettiva cognitiva, secondo il modello di Aaron Beck, si intravvedono i bias cognitivi, che la protagonista assume come strategia adattiva (Beck, 1984.)

In psicologia, un bias cognitivo indica una distorsione che si manifesta con la tendenza a creare una propria realtà soggettiva che non necessariamente corrispondente all’evidenza.

Questa tendenza porta a inevitabili errori di valutazione, mancanza di oggettività e giudizio.

Ed è quello che succede a Grace, che costruisce una rappresentazione familiare idiliaca assurgendo a modello da riproporre nella sua vita adulta. Ma è nei vari incontri con il padre che il suo castello dorato crolla, le sue costruzioni cominciano a perdere solidità lasciando spazio alla verità.

Sai, non ho mai aspirato alla vita perfetta. Volevo solo essere felice. Avevo il modello ideale della bella famiglia ripreso da te e dalla mamma, era tutto quello che volevo.

In realtà la risposta del padre riesce solo a far crollare un’altra delle sue convinzioni più solide.

Questo mi ha fatto disprezzare ancora di più Jonathan, perché mi ricordava me stesso… non sono stato, come si suol dire, un buon marito, Grace. Lo so che non è quello che vorresti sentire adesso, ma la sola idea che il tuo modello ideale di matrimonio si basasse su quello di tua madre e tuo padre… tu sei sempre andata a caccia di fantasmi, di convinzioni sbagliate.

L’assunzione di un bias cognitivo, in particolare la memoria selettiva, indurrebbe a valutare la presenza di un deficit nella capacità di integrare gli eventi passati, potenzialmente vissuti come traumatici ma tollerati dalla protagonista attraverso strategie dissociative. Grace ricorda infatti gli aspetti positivi, sereni della famiglia ed omette quelli negativi -In una conversazione il genitore svela che in realtà non è stato affatto un buon padre o un buon marito, che tradiva spesso la mamma, la quale, restando nella relazione, accettava tutto. I ricordi d’infanzia di Grace erano completamente diversi: Grace ricordava due genitori affiatati e una famiglia piena d’amore. C’è un incongruenza tra la memoria esplicita di Grace e la sua memoria implicita.

Durante l’infanzia, quando un bambino è posto dinanzi a una realtà inaccettabile, la dissocia dalla coscienza vivendo esperienze che P. Fonagy descrive come dissociative. La figura del padre non poteva essere, allo stesso modo, quella di un uomo amorevole e quella dell’uomo capace di ferire la mamma e la figlia. Poiché i bambini non sanno fare elaborazioni complesse, finiscono per dissociare (eliminare) dalla coscienza (consapevolezza) la realtà che arreca più sofferenza. Tuttavia, tale realtà non viene completamente eliminata, rimane e forma in qualche modo la personalità, quella di Grace, infatti, era contenuta, rigida e tendente alla piena autonomia (lavorativa, emotiva…).

È la dissociazione, una reazione difensiva attraverso cui il bambino si distacca dal mondo esterno, provoca obnubilamento, condiscendenza e restrizione degli affetti; è una fuga, quando non è possibile nessun’altra difesa, il bambino allora disinveste dagli stimoli del mondo esterno e si concentra unicamente sul suo mondo interno (Schore, 2003).

Da questo punto di vista la dissociazione rappresenta uno scollamento dall’ambiente interpersonale, producendo una frattura in ciò che Winnicott (1958) ha definito il “bisogno di percepire una continuità d’essere”.

Un’altra verità disarmante viene rivelata da Jonathan stesso a Grace: si tratta di un traumatico evento che lo ha coinvolto in adolescenza. Grace, allora, decide di parlarne con la madre di Jonathan, da cui lui ha preso le distanze da tempo, per cercare di capire se, a seguito di questa terribile vicenda, fosse mai stato seguito da un terapeuta, considerati il senso di colpa e l’immensa sofferenza di cui avrebbe dovuto farsi carico.

Lui no, mai. Non ha mai provato nulla, né colpa, né dolore. Abbiamo continuato ad aspettarlo, lo abbiamo circondato di supporto familiare, certi che una volta che lo shock fosse passato sarebbe subentrata la sofferenza ma non è mai arrivata. Jonathan non sa neanche che cosa sia la sofferenza.

Il tratto antisociale di personalità appare evidente nella completa incapacità del protagonista di provare dolore e rimorso rispetto al danno.

Le due storie, i due protagonisti hanno, seppur in maniera diversa, costruito le loro vite appellandosi ai vissuti tramatici. In entrambi sembrerebbe evidente un deficit della mentalizzazione, una competenza metacognitiva dalla quale dipendono la capacità di comprendere le manifestazioni affettive altrui, la capacità di regolazione affettiva, di controllo degli impulsi e di automonitoraggio (Fonagy, 2001), in Jonathan completamente assente, come dimostra l’assoluta incapacità nel pensare all’altro se non come mezzo per raggiungere gli obiettivi personali: essere apprezzato e amato; dall’altra parte una prospettiva dell’altro tesa a selezionare gli elementi confermanti le proprie convinzioni errate, ma adattive.

Una serie, dunque, che riflette sulla vulnerabilità delle fragilità umane, sulle debolezze di esperienze passate espiate attraverso il sintomo e il tentativo di falsificare le ipotesi porterà inevitabilmente allo svelamento delle dolorose verità di ognuno.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Beck T, A. (1984). Principi di terapia cognitiva. Un approccio nuovo alla cura dei disturbi affettivi. Casa Editrice Astrolabio.
  • Fonagy, P. Target, M. (2001). Attaccamento e funzione riflessiva. Cortina Editore, Milano.
  • Schore, A.N. (2003). La regolazione degli affetti e la riparazione del Sé. Astrolabio, Roma (2008).
  • Winnicott, D. (1958). Dalla pediatria alla psicoanalisi. Martinelli, Firenze (1975).
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