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La percezione del tempo nei pazienti a rischio suicidario

L’esperienza di un dolore psicologico travolgente, in combinazione con l’elaborazione distorta del tempo, potrebbe peggiorare i pensieri relativi al suicidio

Di Dominique De Filippis

Pubblicato il 04 Giu. 2021

Nonostante decenni di ricerca, i tassi di suicidio al giorno d’oggi continuano ad aumentare.

 

Una prevenzione efficace del suicidio viene spesso ostacolata dalla limitata comprensione della neurobiologia e della storia del processo suicidario.

Difatti, la durata di quest’ultimo, e dunque del tempo disponibile per l’intervento, ha un grande impatto sulla prevenzione del suicidio ed è per tal motivo che la comprensione del processo suicidario, e dei fattori ad esso associati, appare fondamentale.

Rispetto alla fase pre-suicidaria è bene considerare due elementi: la contemplazione del suicidio e gli intervalli di azione suicidaria (Klonsky et al., 2017). Per intervallo di contemplazione suicida si intende il tempo che intercorre dall’inizio dell’ideazione suicida alla decisione di uccidersi, mentre, l’intervallo di azione suicida coincide con il tempo trascorso tra la decisione di uccidersi e il tentativo di suicidio.

Dunque, la durata del processo suicida potrebbe essere influenzata da come l’individuo elabora o giudica il tempo, dall’impulsività e da altri fattori cognitivi (Neeleman et al., 2004).

Il giudizio sul tempo coincide con la capacità oggettiva di un individuo di giudicare la lunghezza di un dato lasso di tempo, e può essere esaminato con compiti di stima del tempo, in cui si chiede al partecipante di valutare la lunghezza di un dato intervallo di tempo (Bschor et al., 2004).

Bschor e colleghi (2004) hanno constatato come i pazienti affetti da depressione percepiscono il tempo in maniera dilatata.

L’esperienza di un dolore psicologico travolgente, in combinazione con l’elaborazione distorta del tempo, potrebbe peggiorare i pensieri suicidi e portare all’autolesionismo impulsivo. Per esempio, la percezione anormale del tempo può influenzare il costo soggettivo dell’attesa, innescando l’impulsività (Cáceda et al., 2020).

Al fine di fornire una migliore comprensione del processo suicidario, alcuni autori hanno valutato la durata di quest’ultimo in relazione al giudizio sul tempo, alle variabili cognitive e alla gravità dell’ideazione suicidaria.

Allo studio hanno preso parte 287 soggetti, con un’età compresa tra i 18 e i 65 anni. I partecipanti sono stati divisi in quattro gruppi: tentati suicidi recenti, ideatori suicidari attuali, pazienti depressi non suicidi e controlli sani.

I risultati hanno mostrato come la dilatazione del tempo fosse correlata negativamente all’intervallo di azione suicidaria e, positivamente, con la gravità dell’ideazione e gli autori hanno suggerito che ciò potrebbe essere riconducibile a fenomeni di depersonalizzazione e derealizzazione. Difatti, i disturbi dissociativi sono associati a una storia di recenti tentativi di suicidio e di autolesionismo non suicida (Webermann et al., 2016) e a una storia di tentativi di suicidio multipli (Foote et al., 2008).

Dunque, si potrebbe concludere che l’esperienza del rallentamento o della dilatazione del tempo nei pazienti suicidi, probabilmente innescata da un dolore psicologico schiacciante, potrebbe a sua volta peggiorare la percezione di ineluttabilità del dolore psicologico. Si potrebbe ipotizzare che il culmine di una crisi suicidaria potrebbe coincidere con uno stato dissociativo, innescato da un dolore psicologico travolgente e caratterizzato da una percezione rallentata del tempo.

Al contempo, le correlazioni relativamente deboli tra la durata del processo suicidario e il rallentamento temporale suggeriscono la presenza di altri fattori rilevanti, oltre alle anomalie del giudizio temporale.

Difatti, almeno il 50% dei tentativi di suicidio sono considerati gesti impulsivi (Deisenhammer et al., 2009). L’impulsività è un costrutto che tende ad esplicitarsi in diverse modalità (Klonsky & May 2010). Così, non sorprende che la letteratura sull’impulsività, in relazione al comportamento suicida, sia estremamente eterogenea (Anestis et al., 2014; Jimenez et al., 2016).

Gli autori del presente studio hanno esaminato gli stati cognitivi che si verificano antecedentemente al comportamento suicida. L’aumento del delay discounting, ovvero la tendenza a preferire una ricompensa minore subito a discapito di una maggior ricompensa per la quale sarebbe necessario aspettare, è strettamente correlato all’impulsività (Anokhin et al., 2015).

In studi precedenti si è visto come in pazienti adulti a maggior rischio di suicidio il delay discounting sia estremamente elevato (Cáceda et al., 2014).

Ulteriormente, l’aumento dell’impulsività è stato correlato positivamente con la gravità dei tentativi di suicidio nel corso della vita nei pazienti bipolari (Swann et al., 2005).

Coerentemente con quanto appena esposto, anche i risultati dell’attuale studio hanno mostrato la presenza di specifiche anomalie nell’elaborazione dei guadagni o delle ricompense nei pazienti che recentemente avevano effettuato un tentativo di suicidio, mentre non vi erano differenze rispetto all’avversione alle perdite, tra i pazienti depressi suicidi e non suicidi. Ciò supporterebbe la nozione che coloro i quali avevano mostrato recenti tentativi di suicidio avrebbero agito più impulsivamente per ragioni legate all’edonismo, come la rimozione del dolore psicologico, pur agendo a discapito della loro vita futura.

Dunque, la depressione e gli stati suicidari potrebbero amplificare la valutazione dei guadagni e delle perdite (Alves et al., 2017).

Gli autori hanno dunque ipotizzato che gli individui impulsivi potrebbero essere così a causa di una percezione alterata del tempo. Gli individui impulsivi potrebbero scegliere ricompense più piccole e immediate perché il tempo viene percepito come troppo lungo, generando un costo troppo alto (Wittmann & Paulus, 2008).

I risultati dello studio appena presentato mostrano come il tempo per intervenire su questi pazienti sia molto limitato e ciò determina la necessità di prevedere un ampio spettro di strategie che mirino a fattori di rischio sovrapposti. Ad esempio, l’ampliamento dello screening e del trattamento delle malattie mentali potrebbe diminuire il numero di persone che presentano pensieri suicidi. Le strategie preventive specifiche per il suicidio includono la modifica dello stile di vita (Berardelli et al., 2018), la sensibilizzazione sulla gravità delle comunicazioni suicide (Pompili et al., 2016), la pianificazione della sicurezza (Stanley & Brown, 2012) e la restrizione dei mezzi di suicidio, come l’accesso alle armi da fuoco, ai pesticidi e alla recinzione dei ponti (Knipe et al., 2017).

Inoltre, le fasi che precedono il processo suicidario sono caratterizzate anche da un’incapacità di esprimere i propri turbamenti e da un’incapacità di chiedere aiuto (Wasserman et al., 2008) e ciò mette in luce la necessità di migliorare le capacità di comunicazione e la pianificazione della sicurezza (Stanley & Brown, 2012).

 

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