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Disturbi alimentari e falsi miti da sfatare: (non) è tutta colpa dei genitori! – Report e VIDEO dall’evento del CIPda di Milano

CIPda Milano ha organizzato 3 incontri per sfatare i falsi miti relativi ai Disturbi Alimentari. Pubblichiamo il report e il VIDEO del primo incontro

Di Valentina Sassi

Pubblicato il 03 Giu. 2021

Aggiornato il 08 Feb. 2024 14:55

Report e video del primo webinar appartenente al ciclo divulgativo dedicato a sfatare tre falsi miti che ruotano attorno ai disturbi dell’alimentazione. L’equipe multidisciplinare del CIPda, con questo intervento, ha affrontato una falsa credenza ricorrente e diffusa: l’eccessiva responsabilizzazione genitoriale. 

 

L’incontro si è aperto con un caloroso benvenuto da parte della Dott.ssa Rosaria Nocita, Direttrice Operativa della clinica, e la successiva presentazione dei professionisti coinvolti in questa sessione:

  • Dott.ssa Ilaria Riboldi: Medico Psichiatra
  • Dott.ssa Laura Ranzini: Psicologa, Psicoterapeuta
  • Dott.ssa Martina Tramontano: Psicologa, Psicoterapeuta
  • Dott.ssa Laura Zagarese: Psicologa
  • Dott.ssa Maria Luisa Colantonio: Psicologa
  • Dott.ssa Chiara Ramponi: Dietista

Tale incontro divulgativo si è articolato in due momenti principali: una prima parte dedicata all’esposizione teorica dei contenuti mediante un approccio multidisciplinare, garantito dal coinvolgimento di diverse figure professionali; secondariamente, grazie un confronto interattivo, si è cercato di rispondere agli interrogativi avanzati dagli spettatori.

Il razionale sotteso a questo ciclo di incontri, come spiegato dalla Dott.ssa Nocita, è stato quello di sfatare le numerose false credenze che si celano dietro la diagnosi di un Disturbo Alimentare (DA), assunzioni non veritiere spesso veicolate dai mass media e prive di una solida base scientifica.

L’eccessiva responsabilizzazione genitoriale, che segue nella maggior parte dei casi l’esordio della psicopatologia alimentare, è indubbiamente un falso mito che necessita di essere sfatato. 

Le cause dei DA, oggigiorno, non sono del tutto note. Pertanto, non è possibile stabilire alcun rapporto diretto di causa-effetto e, conseguentemente, attribuire un rapporto diretto tra stile genitoriale e modificazioni del comportamento alimentare.

I dati ottenuti dalla ricerca più recente sembrano indicare che questa complessa categoria diagnostica derivi piuttosto da una combinazione tra predisposizione genetica e fattori di rischio ambientali, psicologici e socioculturali.

L’incontro dunque, grazie all’intervento di ciascun professionista e mediante un linguaggio chiaro ed esempi concreti, si è proposto di spiegare la natura complessa e multifattoriale dei Disturbi Alimentari.

Dott.ssa Ilaria Riboldi (Medico Psichiatra) – Il contributo dei fattori genetici nell’esordio del DA

Il principale contributo relativo alla genetica dei Disturbi Alimentari proviene dagli studi condotti sui gemelli omozigoti, ricerche da cui emerge l’importanza di fattori di rischio di natura biologica.

Un’autorevole revisione della letteratura esistente sul tema (Yilmaz et al., 2015), focalizzatasi sulla componente genetica di Anoressia Nervosa (AN), Bulimia Nervosa (BN) e Binge Eating Disorder (BED), ci permette di disporre di molteplici dati provenienti da diverse tipologie di studi, così riassunti:

Studi su gemelli omozigoti e consanguinei: da tali evidenze emerge una probabilità 11 volte superiore di sviluppare una diagnosi di anoressia nervosa nei familiari di probandi con tale diagnosi. In aggiunta, in questi soggetti, è stata sottolineata una prevalenza di tale disturbo pari al 2% contro l’assenza nei familiari dei controlli; in merito alla bulimia nervosa si registra una prevalenza del 4,4% contro l’1,3% dei controlli, a testimonianza di una correlazione genetica tra differenti disturbi alimentari.

Studi genetici: tale branca di indagini ha sondato l’ipotesi biologica sottesa alla psicopatologia alimentare, provando ad individuare i geni responsabili della codifica di particolari recettori ed enzimi di sintesi o degradazione dei neurotrasmettitori. Nello specifico, relativamente ai DA, i geni candidati potrebbero essere quelli codificanti le varie proteine del sistema neurotrasmettitoriale serotoninergico, fondamentale mediatore relativo alla genesi dei DA.

Studi di epigenetica: più recenti rispetto ai precedenti, hanno analizzato le differenti modificazioni ereditabili che portano a variazioni dell’espressione genica in assenza di un’alterazione della sequenza del DNA.

Seppur la branca di studi sopracitata sia in perpetua espansione, oggigiorno non è ancora possibile identificare con certezza una linea comune: nonostante siano riscontrabili alcune similitudini geniche, ravvisabili ad esempio fra il Binge Eating e la Bulimia Nervosa, è importante considerare ciascun disturbo come a sé stante e la natura multifattoriale di tale categoria diagnostica.

L’utilizzo di campioni clinici più ampi e variegati, l’inclusione omogenea delle diagnosi all’interno delle ricerche empiriche e l’approfondimento di come la componente biologica si intrecci con aspetti sociali e psicologici, sono solo alcune delle sfide a cui la ricerca nell’ambito dei Disturbi Alimentari è chiamata a rispondere.

Dott.ssa Maria Luisa Colantonio (Psicologa) – I fattori predisponenti

Sebbene l’aspetto genetico ricopra un ruolo importante nel favorire una maggiore o minore predisposizione all’esordio di un qualsivoglia DA, dalla letteratura scientifica si riscontra la presenza di una serie di fattori che contribuiscono a creare un terreno fertile per la psicopatologia alimentare. Questi, come illustrato dalla professionista, sono:

Fattori socioculturali: seppur non ancora inquadrati con sistematicità, si presume che un ruolo centrale sia giocato dall’ideale di magrezza sviluppatosi negli ultimi 50 anni nei paesi occidentali ed enfatizzato dai media e social network. A supporto di tale considerazione, la netta preponderanza dei DA nei paesi occidentali rispetto a quelli orientali.

Ambiente familiare: anch’esso considerato un fattore predisponente, può contribuire in alcuni casi a veicolare messaggi disfunzionali quali l’eccessiva polarizzazione dell’attenzione verso la forma del corpo, il proprio peso e l’alimentazione. In aggiunta le abitudini alimentari familiari, siano queste orientate verso un consumo eccessivo o restrittivo di cibo, sono spesso correlate positivamente con condotte alimentari disfunzionali.

Caratteristiche individuali: fra queste rientrano il sesso femminile, in quanto il corpo della donna è soggetto a cicliche modificazioni date dallo sviluppo puberale ed eventuali gravidanze ed una pregressa condizione di sovrappeso, che si associa a sentimenti di inadeguatezza frutto dalla discordanza tra la propria forma fisica ed il prototipo ideale di bellezza promosso dalla società.

Variabili psicologiche: quali bassa autostima nucleare e perfezionismo clinico.

Dott.ssa Laura Zagarese (Psicologa) – I fattori precipitanti

Una volta definito il ruolo centrale giocato dalla componente biologica ed il contributo proveniente dai fattori di rischio predisponenti, si è proseguito inquadrando l’importante ruolo attribuito allo stress in rapporto alla manifestazione di comportamenti di controllo del peso e della forma del corpo. Primo tra i fattori precipitanti è indubbiamente l’inizio di una dieta ipocalorica, che aumenta di ben 8 volte la probabilità di esordio di DA. Seguono gli eventi di vita stressanti, quali trasferimenti, rottura di relazioni significative e cambiamenti della routine, così come la transizione evolutiva, spesso associata ad una persistente sensazione di perdita di controllo, gestita con l’aumento di controllo sul piano alimentare.

Dott.ssa Martina Tramontano (Psicologa, Psicoterapeuta) – I fattori di mantenimento

L’incontro prosegue con l’inquadramento, da parte dell’esperta, di tutte quelle variabili che mantengono e rinforzano il disturbo precedentemente innestato, ossia l’insieme di fattori psicologici ed ambientali che intrappolano la persona nel circolo vizioso del DA. Gli interventi terapeutici, in linea con la prospettiva transdiagnostica di Fairburn, si focalizzeranno dunque sulla rimozione di tali elementi di mantenimento.

Fattori di mantenimento specifici: primo fra tutti l’eccessiva valutazione del peso e della forma del corpo che, in ottica transdiagnostica, rappresenta il nucleo psicopatologico cognitivo specifico dei Disturbi dell’Alimentazione. Da tale componente cardine conseguono le molteplici caratteristiche cliniche della categoria diagnostica analizzata, che concorrono in maniera unitaria a mantenere il disturbo. Fra queste rientrano le preoccupazioni per il peso e la forma del corpo, la dieta ferrea, comportamenti di compenso quali vomito autoindotto, uso improprio di lassativi e diuretici, esercizio fisico eccessivo ed i sintomi da malnutrizione. Gli episodi di abbuffata, in quest’ottica, altro non sono che una conseguenza diretta delle regole dietetiche estreme. Inoltre, tale discontrollo alimentare, può instaurarsi come strategia disfunzionale di modulazione delle emozioni negative.

Fattori di mantenimento aspecifici: fra cui perfezionismo clinico, bassa autostima nucleare, intolleranza alle emozioni ed esperienze di vita avverse.

Anche i rinforzi positivi e negativi sono aspetti salienti da considerare quando si valuta questa tematica. Nello specifico, quelli positivi possono essere sia di natura cognitiva che sociale. I primi fanno riferimento, ad esempio, al sentimento di controllo ed onnipotenza che si esperisce successivamente al calo ponderale. I secondi, comprendono fattori come l’approvazione da parte del gruppo dei pari o una maggiore considerazione da parte delle figure genitoriali. In aggiunta, aspetti come la perdita di peso e l’acquisizione di un corpo con forme prepuberi, possono in essere mantenuti attraverso rinforzi negativi, tramite l’allontanamento o l’evitamento di situazioni temute quali contatti di natura sessuale, aspettative altrui elevate, conflitti familiari.

Dott.ssa Laura Ranzini (Psicologa, Psicoterapeuta) – Il ruolo esercitato dai social media come fattore ambientale predisponente

Come anticipato precedentemente, la pressione esercitata dai social media relativa all’ideale di magrezza e perfezione fisica, rappresenta tutt’oggi una delle principali sfide a cui il clinico è chiamato a rispondere, poiché rappresenta un importante fattore d’esordio e mantenimento della problematica alimentare. Con la pandemia di Covid19 ed i prolungati periodi di isolamento, si è assistito ad un uso massiccio dei social sia da parte dalla popolazione giovanile che adulta. Studi di ricerca hanno confermato quanto questi canali promuovano sensazioni di insoddisfazione corporea e favoriscano l’interiorizzazione di stereotipi di bellezza inverosimili e falsati. Di pari passo, dalla pratica clinica si evince quanto essi mantengano fervide le preoccupazioni relative al peso e alla forma del corpo, nucleo portante del Disturbo Alimentare, esponendo gli utenti a ripetuti confronti fra il proprio corpo e quello altrui. Pertanto, come esposto dalla Dott.ssa Ranzini, potrebbe essere utile a livello terapeutico promuovere, in maniera congiunta con il paziente, una discussione critica relativa alla poca veridicità delle immagini forniteci dai social, nella maggior parte dei casi soggette a manipolazioni e ritocchi di post-produzione.

Dott.ssa Chiara Ramponi – I fattori protettivi rispetto all’esordio

Prima di dedicare spazio alle domande degli spettatori, ci si è focalizzati sull’identificazione dei fattori protettivi, ossia quelle variabili che possono concorrere a diminuire le probabilità di esordio di un Disturbo Alimentare. Tra questi si annoverano:

Adozione di un sano stile alimentare sin dall’infanzia: poiché l’apprendimento vicario è fondamentale durante i primi anni di vita, presentare al bambino uno stile alimentare sano ne favorisce l’introiezione. Nel concreto, si suggerisce di coinvolgerli durante la scelta dei prodotti da consumare, nella preparazione delle pietanze, evitando di eliminare in maniera assoluta determinati cibi o, al contrario, consumarne selettivamente degli altri.

Promozione di un clima sereno durante i pasti: evitando quindi conflitti e scontri nel momento della convivialità

Evitare di utilizzare il cibo come premio o punizione: dalla ricerca scientifica emerge che tale pratica si associa, in età adolescenziale, a selettività alimentare e restrizioni.

Favorire il raggiungimento di un “peso ed un appetito salutare”: quindi permettere al bambino di arrivare adeguatamente affamato all’orario dei pasti e, al contrario, inibendo la fame durante il tempo che intercorre tra essi. Proporre cinque pasti giornalieri, che si articolano nei tre principali e due spuntini a metà mattina e metà pomeriggio, è una strategia utile per perseguire questi obiettivi.

Prestare attenzione ai segnali: quindi sollecitare il genitore ad adottare un atteggiamento moderatamente attento, non apprensivo; riconoscere comportamenti alimentari schizzinosi, problematiche legate ad una scorretta digestione e fobie associate a particolati cibi, e consultare prontamente un esperto per un consulto, è indubbiamente un importante fattore protettivo.

Le domande del pubblico

La seconda parte del webinar si è poi articolata attraverso la presentazione agli esperti delle domande degli spettatori, in particolare si è tentato di rispondere a due quesiti principali, così riassunti:

1) Quale risposta si offre in caso di Disturbo Alimentare di lunga durata?

Le Dott.sse Ranzini e Tramontano hanno sottolineato quanto sia importante attenersi all’evidenza scientifica per rispondere a questa domanda. Gli studi indicano infatti che è possibile assumere un atteggiamento moderatamente ottimistico, in quanto solo un 10% di persone affette da un DA non manifesta alcuna risposta al trattamento. Importante inquadrare i fattori prognostici positivi, quali esordio precoce e breve durata di malattia e quelli negativi, ossia la lunga durata, grave perdita di peso e presenza di condotte di abbuffata e vomito autoindotto. Sommariamente, un trattamento focalizzato sul nucleo psicopatologico e sui meccanismi di mantenimento sembrerebbe portare nella maggior parte dei casi ad una remissione del disturbo.

2) Quali sono le risposte territoriali a questa tematica?

Il territorio, come sottolineato dalla Dott.ssa Zagarese, offre molteplici risposte a questa problematica, sia sul versante pubblico che privato. Previo un rapido riconoscimento dei sintomi, a fini terapeutici ci sono due aspetti di vitale importanza: da un lato, un approccio multidisciplinare, dall’altro una concordanza teorica e metodologica sia a livello di formulazione della problematica alimentare, che nel relativo trattamento della stessa.

 

I 3 FALSI MITI SUI DISTURBI DELL’ALIMENTAZIONE:
FALSO MITO #1: (NON) È TUTTA COLPA DEI GENITORI

Guarda il video integrale del webinar:

 

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