Se l’esposizione ripetuta a stimoli che generano paura porta assuefazione ed una maggiore capacità di attuare tentativi di suicidio; allo stesso modo, l’esposizione ripetuta a videogiochi violenti, aumenta la desensibilizzazione sottostante, e quindi il comportamento aggressivo autodiretto.
Secondo la teoria interpersonale-psicologica del suicidio (IPTS; Joiner, 2005), il desiderio di morire può sfociare in comportamento suicidario se sono presenti un’elevata tolleranza al dolore accompagnata ad una bassa di paura della morte. Queste due dimensioni formano la cosiddetta capacità acquisita per il suicidio; che può essere favorita non solo da comportamenti suicidari ripetuti, bensì mediante l’esperire sensazioni dolorose (ad es. farsi un tatuaggio, assistere ad abusi – Joiner, 2005; Van Orden et al., 2010).
Secondo la teoria dei processi opponenti (Solomon, 1980), ogni sensazione che allontana l’individuo dell’equilibrio omeostatico, comprende un processo primario, seguito da un processo a valenza opposta (Leknes et al., 2008), che viene elicitato dall’esposizione ripetuta all’evento e con l’instaurarsi dell’abitudine.
Questa teoria spiega l’insorgenza della piacevolezza e la diminuzione del dolore in seguito ad una stimolazione di calore dolorosa (Leknes et al., 2008), oppure maggiore tolleranza al dolore ed assuefazione, dopo un tentativo di suicidio (Orbach et al., 1996, 1997).
Dunque, esperire eventi dolorosi ripetuti aumenta la tolleranza al dolore, coinvolgendo processi di assuefazione e l’insorgenza di una risposta opposta a quella originaria, che poteva essere di paura o dolore.
La letteratura ha individuato una capacità acquisita per il suicidio maggiore tra i personale militare, che correlava con la quantità di esperienze di combattimento avverse esperite (lesioni, morte e violenza; (Bryan et al., 2010; Bryan & Cukrowicz, 2011). Similmente, i videogiochi d’azione violenti, si associano ad un potenziamento dell’aggressività sia a livello comportamentale che degli affetti, oltre che cognizioni aggressive, comportamento pro sociale ridotto (Anderson et al., 2004; Bushman & Anderson, 2002) e maggiori comportamenti criminali e violenti (DeLisi et al., 2013).
Se l’esposizione ripetuta a stimoli che generano paura porta assuefazione ed una maggiore capacità di attuare tentativi di suicidio (Van Orden et al., 2010); allo stesso modo, l’esposizione ripetuta a videogiochi violenti, aumenta la desensibilizzazione sottostante, e quindi il comportamento aggressivo autodiretto (Anderson et al., 2010; Dewall et al., 2011).
Secondo evidenze recenti, singoli periodi di videogiochi violenti aumentano la tolleranza al dolore (Teismann et al., 2014). Tuttavia, non è noto se i giocatori abituali, rispetto ai non giocatori, mostrano maggiore capacità acquisita (in termini di bassa sensibilità al dolore, alta tolleranza dello stesso ed assenza di paura verso la morte).
Lo studio trasversale di Förtsch et al. (2021), ha confrontato tra loro un gruppo giocatori abituali di videogiochi violenti ed uno che non giocava; per indagare se i primi avessero una maggiore assenza di paura verso la morte, minore percezione del dolore e tolleranza al dolore più alta.
Dopo un test che induceva dolore termico mediante l’immersione della mano in acqua ghiacciata (Chen et al., 1989; Teismann et al., 2014), è stata esaminata l’insorgenza di processi opponenti tra i giocatori abituali, ovvero una riduzione della spiacevolezza dello stimolo ed una maggiore positività dell’umore.
I giocatori abituali di videogiochi violenti, avevano riportato maggiore assenza di paura verso la morte e una ridotta sensibilità al dolore, valutata con la stimolazione dolorifica.
Inoltre, rispetto ai non giocatori, riportavano globalmente punteggi maggiori nella capacità acquisita per il suicidio.
Nella presente indagine, la frequenza di gioco riveste un ruolo rilevante, poiché, coerentemente con Gauthier et al. (2014), coloro che giocavano 11,4 ore a settimana avevano riportato maggiori punteggi sulle dimensioni esaminate.
Nel dettaglio, i giocatori abituali riportavano maggiori livelli di tolleranza al dolore durante il test termico; con una percezione inferiore dell’intensità del dolore durante il test, una fase stazionaria successiva ed un picco più basso di dolore sperimentato alla fine dello stesso.
Al contrario, nei non giocatori avveniva un aumento significativo e progressivo del dolore, fino al momento di interruzione dello stimolo.
Nel complesso, questi risultati potrebbero indicare una possibile assuefazione al dolore dopo una leggera sensibilizzazione iniziale nei giocatori, mentre i non giocatori hanno mostrato forti segni di sensibilizzazione fino all’interruzione dello stimolo.
In linea con la teoria interpersonale psicologica (Joiner, 2005); esperire ripetitivamente esperienze dolorose aumenta la capacità acquisita per il suicidio, riducendo la paura verso la morte ed aumentando la tolleranza al dolore fisico.
Tuttavia, piuttosto che esperienze di combattimento virtuali, nelle ricerche precedenti erano le esperienze dolorose reali ad essere associate alla capacità acquisita per il suicidio; come combattimento, sport di contatto o precedenti tentativi di suicidio (ad es. Bryan & Cukrowicz, 2011; Joiner TE, 2005; Van Orden et al., 2010)
I videogiochi violenti, secondo quando dimostrato da Teismann et al. (2014), avevano comportato una maggiore tolleranza al dolore rispetto a quelli non violenti; dimostrando che possono rappresentare un ulteriore tipologia di evento provocatorio e doloroso, che interessa entrambe le componenti della capacità acquisita.
In seguito all’esperienza dolorosa, i giocatori avevano riportato un incremento dell’umore positivo, supportando il ruolo dell’insorgenza del processo opposto (ovvero di piacevolezza dello stimolo/umore positivo), come meccanismo che favorisce ulteriormente la tolleranza al dolore.
Anche Leknes et al. (2008), aveva riscontrato un aumento della piacevolezza e una diminuzione del dolore, dopo la stimolazione del dolore termico.
Sebbene nel presente studio, giocare ai videogiochi violenti aumenti la capacità acquisita per il suicidio, nessun partecipante aveva attuato alcun tentativo di suicidio e ciò non rende possibile ricondurre i risultati all’insorgenza dei comportamenti suicidari. Inoltre, secondo Joiner (2005), oltre alla capacità acquista, anche il senso di appartenenza frustrato ed il percepirsi un peso per gli altri devono essere presenti contemporaneamente per rendere possibile il tentativo di suicidio.
Se gli individui possono acquisire la capacità per il suicidio mediante esperienze dolorose e provocatorie, pur essendo sani (Van Orden et al., 2010), è probabile che giocatori di videogiochi abituali senza alcuna patologia pregressa, incorrano in un maggiore rischio di comportamento suicidario letale nel caso della presenza concomitante degli altri due fattori rilevanti, ovvero il sentirsi soli ed un peso per gli altri.
Sebbene tra i soggetti senza patologia pregressa, l’uso repentino di videogiochi violenti piò costituire un evento provocatorio e doloroso, così come formulato dalla teoria interpersonale psicologica; si rendono necessari ulteriori studi, per far luce sui meccanismi psicologici e fisiologici che modulano l’esperienza di sensibilità al dolore.