Il Bisogno Educativo Speciale è qualsiasi difficoltà evolutiva, permanente o transitoria, in ambito educativo e/o di apprendimento che necessita di educazione speciale individualizzata. Il Metodo Tomatis e la Robotica educativa possono rivelarsi utili?
Solo qualche decennio fa, nei discorsi delle “arene” didattiche per il benessere degli alunni, i maestri cadevano vittime di un giudizio classista.
Tre categorie dominavano il panorama scolastico:
- alunni definiti intelligenti, volenterosi, motivati, svegli;
- alunni svogliati, pigri, negligenti;
- alunni che necessitavano di un sostegno.
Sotto questo paradigma, che sottometteva la “diversità”, si insediava un’affermazione contraddittoria, incerta, quasi incomprensibile ma collettivamente accetta dal corpus dei docenti: È intelligente ma non si impegna. Ignorata la “voce” di questi studenti nei processi decisionali che direttamente influenzavano le loro vite. Ignorati i livelli di comprensione o il modo in cui questi avvenivano durante il processo trasformativo/formativo scolastico. Ignorata qualsiasi opportunità educativa, da parte degli insegnanti, per accedere al “mondo degli alunni”.
Molti educatori non erano a conoscenza di apprendimenti differenti e personalizzati.
Questo punto di vista molteplice richiedeva un enorme sforzo e impegno ad un docente abituato a superare questa tipologia di ostacoli con la stessa logica con cui l’uomo primitivo costruì la clava: “se” / “allora”.
I riferimenti scientifici di quel periodo erano guidati da teorie sullo sviluppo delle capacità dei bambini in base a determinate età (per una rassegna: Komulainen, 2007), non si aveva una conoscenza al di là di queste classificazioni piagetiane.
Fortunatamente, in una sola generazione, si entra in un nuovo mondo: è la genesi di metodi e tecnologie in grado di intervenire sulle difficoltà di comprensione/acquisizione che richiedono immancabilmente un’istruzione speciale su bambini cosiddetti “speciali”, per i quali occorre una progettazione didattica personalizzata che si traduce in una “personalizzazione degli apprendimenti”, con metodologie e tecniche didattiche mirate.
La “voce” dei bambini con Bisogni Educativi Speciali (BES)
Il Bisogno Educativo Speciale (BES: ‘Special Educational Need’) «è qualsiasi difficoltà evolutiva, permanente o transitoria, in ambito educativo e/o di apprendimento, espressa in un funzionamento problematico, che risulta tale anche per il soggetto, in termini di danno, ostacolo o stigma sociale, indipendentemente dall’eziologia e che necessita di educazione speciale individualizzata» (Iannes, 2005). Al loro interno sono ben noti i cosiddetti Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA: dislessia, disgrafia, disortografia, discalculia) l’ADHD (Deficit del Disturbo di Attenzione, con o senza iperattività) nonché le disabilità motorie e le difficoltà comportamentali e relazionali in genere.
In termini più profondi e comprensibili, il termine “bisogno” è utilizzato in senso lato. I tentativi per definire cosa si intenda per BES fanno riferimento ad una realtà dove osceno e sublime convivono. Da un lato, spesso questi bambini vengono etichettati (labeling) come pigri, svogliati, o poco intelligenti; dall’altro è fondamentale il metodo educativo/formativo utilizzato.
Il metodo non ha lo scopo di creare o imporre condotte o sistemi di studio ma di far emergere qualità inespresse, “affondate” dal peso del BES. Quando questo è assente la motivazione può non bastare.
I bambini con bisogni speciali spesso nascono, crescono e vivono con l’impellente bisogno di superare le difficoltà legate all’apprendimento, maturando, spesso, un eccezionale fronteggiamento di esse grazie a raffinate strategie di adattamento (quello che in psicologia viene definito coping): l’insistente voglia di trarre una conclusione necessaria da quel problema che si rivela dal contesto: è la motivazione di Gondrano – il cavallo descritto da G. Orwell in «La fattoria di Animali»– riconoscibile nella sua ammirevole, e quasi spietata, asserzione: «Lavorerò di più»… fino al punto da portarlo all’esaurimento; questo è il lato osceno che può volgere a sublime solo ed esclusivamente se il “filtro” (il cosiddetto “metodo di studio”) che funge da catalizzatore è in grado di dare a questi bambini una “voce”.
Alcune metodologie e tecnologie, più di altre, riescono a facilitare tale condizione.
Il metodo Tomatis
Il Metodo Tomatis (TM) lavora sulle vie uditive a livello neuropsicologico e psicofisiologico. Nacque in ambito audiologico e foniatrico ad opera del Prof. Alfred Tomatis (1920-2001) medico ORL, foniatra, audiologo, scienziato e ricercatore, a partire dagli anni ’50.
E’ ormai largamente utilizzato come tecnica riabilitativa in psicologia in circa 70 Paesi, da oltre 60 anni. Il meccanismo d’azione basilare è quello di stimolare le vie uditive con particolari oscillazioni di frequenze inserite in un brano musicale, sia a livello fisiologico, migliorando l’efficienza meccanica dell’orecchio medio, che neurologico, mediante la trasmissione del suono anche a livello osseo, con una cuffia speciale dotata di trasduttore osseo, che bypassa eventuali problemi di ipoacusia trasmissiva (Krzysztof et al, 2018).
Questa particolare stimolazione fu concepita inizialmente proprio allo scopo di curare il sistema uditivo di cantanti d’opera, che avevano subito un danno causato dal loro stesso cantare, protratto per periodi eccessivi. Gli artisti conseguirono, in breve tempo, non solo un miglioramento ai tests audiometrici, ma anche benefici inaspettati a livello di riduzione dell’ansia e di maggior concentrazione e memoria. In seguito a tali inattesi risultati, Tomatis sperimentò con successo il Metodo in età evolutiva, tanto per i problemi del linguaggio che per tutti i disturbi dell’apprendimento scolare e più in generale del neuro-sviluppo.
Le vie uditive, che diventano una vera e propria “antenna” del sistema nervoso, sono utilizzate non solo per la terapia ma anche per la diagnosi.
Per quest’ultima si utilizza un audiometro appositamente tarato. Esso viene impiegato in modo diverso rispetto all’audiologia medica.
Nel corso di decenni di ricerca Tomatis pervenne ad alcune scoperte fondamentali sull’ascolto in relazione ad orecchio, linguaggio e comunicazione.
Ma com’è possibile “curare” col suono?
L’apparecchio messo a punto da Tomatis, denominato “orecchio elettronico” lavora con due meccanismi: i filtri e l’oscillazione delle frequenze del brano, detta “bascula”.
I filtri si basano su un meccanismo molto semplice. Filtrare una musica vuol dire eliminare i suoni sotto o sopra una certa frequenza, o lasciare passare solo una banda di frequenze.
Secondo le ricerche di Tomatis, le alte frequenze (sopra i 1000 Hz) rivitalizzano il sistema nervoso.
Inoltre, far udire ad un bambino musiche filtrate alle basse frequenze, quindi ricche di acuti, permette al suo sistema nervoso di ripercorrere le fasi dello sviluppo prenatale, con grandi benefici sui disturbi che si sono manifestati all’inizio della sua vita. Si tratta dunque di rivivere anche le fasi dello sviluppo della comunicazione e del linguaggio.
Il meccanismo di bascula, ovvero un ascolto alternativamente ricco di frequenze acute o di frequenze gravi, ottenuto con due equalizzatori ed alternato più volte al minuto, è ancora più importante della filtrazione. La pratica clinica infatti ha dimostrato di poter agire sull’efficienza dell’orecchio medio, migliorando i parametri audiologici e, con essi, le facoltà cognitive.
La chiave di tutto il metodo, in definitiva, è una sorta di “ginnastica dell’orecchio” e delle vie nervose uditive, che agisce sul sistema nervoso centrale in modo profondo e mirato.
Il trattamento, che è molto diverso rispetto ad una musicoterapia, ha numerose applicazioni. Negli adulti è molto efficace nel trattamento dell’ansia, depressione, stress e insonnia.
Infatti, i miglioramenti nei tests audiometrici che si manifestano con curve di ascolto di forma più regolare e senza scotomi (peggioramenti delle soglie uditive a carico di frequenze singole) sono correlati con miglioramenti dei disturbi citati. Ciò è stato verificato nei Centri Tomatis di tutto il mondo ed è riportato nel libro di uno dei più famosi allievi dello studioso (P. Sollier. Listening for wellness).
Nella pratica clinica si sono osservati anche miglioramenti sulla concentrazione e la memoria degli adulti, e più in generale sul benessere psicofisico e la creatività.
Le ricerche presenti in letteratura si sono però concentrate sull’uso strettamente terapeutico del Metodo.
Le fonti che raccolgono un maggior numero e varietà di studi sono il libro del già citato dr. Sollier e soprattutto il sito www.tomatisassociation.org
Tra le ricerche più citate c’è Gilmor Tim (1999) The efficacy of the Tomatis method for Children with Learning and Communication Disorders, International Journal of Listenings, 13,12.
Si tratta di una meta analisi basata su cinque studi che hanno coinvolto 231 bambini.
Lo studio mostrò che il Metodo migliora significativamente:
- Abilità linguistiche ed uditive
- Abilità psicomotorie
- Abilità di adattamento personale e sociale
- Abilità cognitive
Il Tomatis Center in Toronto, Canada, studiò i risultati della terapia di ascolto su oltre 400 bambini ed adolescenti, con una storia clinica di disturbi dell’apprendimento e di altro genere. I risultati del trattamento furono giudicati dai genitori. Il 95% di essi dichiarò che il programma aveva aiutato i loro bambini. Essi indicarono miglioramenti dal 70% ad oltre l’86% nelle seguenti aree: abilità comunicative, migliore attenzione, aumento di comprensione nella lettura, qualità del linguaggio, aumento della memoria, minori livelli di frustrazione.
Il TM ha dimostrato, altresì, di aiutare le persone con vari disturbi neuropsicologici anche gravi (autismo, dislessia, ADHD ecc.) (Jóźwiak et al., 2018).
La dr. Joan Neysmith-Roy (S. Afr. J. Psychology, 2001,31) del Dipartimento di Psicologia di Regina ha condotto uno studio con sei bambini severamente autistici. Metà dei bambini dimostrarono cambiamenti positivi nel comportamento entro la fine del trattamento. I miglioramenti riguardavano anche le capacità pre-linguistiche.
Attualmente sono stati realizzati studi che evidenziano effetti positivi del Metodo su severe disfunzioni neurologiche e psicomotorie con l’impiego di potenziali evocati uditivi ed EEG presso la clinica denominata Mozart-Brain-Lab di Saint Truiden, Bruxelles.
A questo indirizzo vi è un ampio elenco di studi e di casi clinici relativi a molti campi, tra i quali disturbi del linguaggio e balbuzie; disturbi dell’apprendimento e della comunicazione, anche in studenti universitari; dislessia; casi di ictus e psicopatologia, autismo, deficit di attenzione.
I principi dell’Educational Robotic Applications (ERA)
Le concezioni costruttiviste ipotizzano che la conoscenza sia costruita individualmente e socialmente co-costruite dagli studenti in base alle loro interpretazioni delle esperienze nel mondo.
Poiché la conoscenza non può essere trasmessa, le istruzioni dovrebbero consistere in esperienze che facilitano la sua costruzione (Jonassen, 1999, p.217).
Secondo tale concetto, la natura complessa del processo di costruzione della conoscenza richiede «l’immersione in un’esperienza di apprendimento in un contesto altrettanto complesso» di una ricca varietà di opportunità, stimoli e risorse che Jonassen et al. (1995) definiscono ambiente di apprendimento. Tale ambiente possiamo arricchirlo con i contribuiti della robotica.
I sistemi robotici possono essere uno strumento prezioso per i bambini con bisogni speciali di apprendimento attraverso le interazioni di gioco e può aiutarli a raggiungere le fasi evolutive della loro cronologia e / o ere mentali (Besio, 2001).
L’Interazione Uomo-Robot (HRI), infatti, è un campo in rapida evoluzione.
La robotica educativa è utilizzata in tutto il mondo come «strumento di apprendimento», ma sorprendentemente raramente per l’educazione speciale.
La tecnologia educativa non si riferisce solo a strumenti tecnologici e software che sono stati creati per supportare l’apprendimento ma a quei robot educativi che possono avere una gamma di comportamenti intelligenti e che consentono ai bambini di farli partecipare efficacemente alle attività educative.
Un’esplorazione di questo principio deve spiegare cosa intendiamo per:
- Comportamento intelligente
- Partecipazione effettiva
Ai nostri fini riconosciamo l’intelligenza come appartenente a uno spettro di comportamenti focalizzati su obiettivi intenzionali (Sternberg 1985, Stonier 1997, Freeman 2000, Sternberg et al 2008). Questo significa che il robot deve solo possedere un’intelligenza specifica del compito, che mira all’apprendimento esplicito degli obiettivi, piuttosto che una capacità generale di agire in situazioni non strutturate. In questo senso i robot educativi devono aiutare gli studenti ad acquisire conoscenze specifiche, indurli a pensare, sviluppare le competenze o fornire loro esperienze di situazioni e strutture di conoscenza che rispecchiano utili schemi di pensiero. Tutto questo avviene senza alcuna forma giudizio che, anche inconsapevolmente, potrebbe influire sul processo formativo dello studente, nello specifico sulle sue abilità.
Questa tecnologia è uno strumento per aiutare gli insegnanti, non per sostituirli, ma non tutti gli insegnanti mostrano la stessa attitudine per l’utilizzo di robot educativi, indipendentemente dalla loro abilità di insegnamento generale.
Tale alleanza (Robotica educativa / Insegnanti / Studenti) può creare emotional sharing and attunement (‘condivisione emotiva e sincronizzazione’) – e questo si ottiene per mezzo di qualcosa che può essere “mostrato, discusso, esaminato, esplorato e ammirato” (Papert, 1993).
L’uso di manufatti – e, in particolare, di manufatti tecnologici – consente di offrire l’apprendimento di maggior successo con un’attività didattica minima (Papert, 1980, 1993).
Ad esempio, i bambini con difficoltà di apprendimento e lievi disabilità intellettive possono trovare facilitatori dell’apprendimento nella robotica educativa e nell’attività manuale, mentre per i bambini con autismo (ASD) rappresenta un ambiente adeguato ai loro bisogni educativi e di insegnamento (Damiani, Ascione, 2017).
Una serie di ricerche, è stata svolta al fine di indagare se i bambini con ASD mostrano un maggiore impegno sociale quando interagiscono con un robot umanoide rispetto a un partner umano in un compito di imitazione motoria. Tali ricerche (Robins et al., 2004, 2006), non recentissime, sono state svolte con esisto positivo soprattutto per quanto riguarda l’attenzione congiunta, ovvero “seguire lo sguardo del genitore”, un’importante capacità che nei bambini autistici è carente.
Conclusioni
Le conclusioni in questa sede riguardano la possibilità di incentivare lo studente in maniera bidirezionale: il Metodo Tomatis offre una azione “dall’interno verso l’esterno” (dal sistema nervoso all’ambiente) laddove la Robotica educativa opera a latere “dall’esterno verso l’interno” (dall’ambiente al sistema nervoso).
Il Metodo Tomatis fornisce una procedura efficace per migliorare l’abilità di questi bambini di elaborare le informazioni sensoriali con maggiore rapidità e finezza.
In tale elaborazione il protagonista è il canale uditivo ed il linguaggio.
Quando la comunicazione tra orecchio e cervello non è limpida, ed il messaggio sonoro è compromesso da rallentamenti e distorsioni, vi è, altresì, una perdita di fiducia in sé stessi, sia di autostima che di assertività, che aggrava le difficoltà di comunicazione e apprendimento.
Gli strumenti robotici, dal canto loro, rappresentano una metodologia complementare una volta che lo studente ha lavorato su queste capacità con il Metodo Tomatis. Nella fattispecie, tali strumenti, hanno permesso agli studenti di esercitarsi e imparare molte abilità necessarie, come la collaborazione, sviluppare abilità cognitive, autostima, percezione e comprensione.
Poiché gli studenti non hanno avuto alcuna esperienza di fallimento o difficoltà quando si inizia il lavoro con questo tipo di tecnologia, erano pronti a pianificare, iniziare e continuare anche un progetto stimolante.
Tuttavia, come già scritto, la robotica educativa è stata utilizzata raramente in aule deputate all’educazione speciale. In generale, rappresenta un metodo per i laboratori didattici basati sul «learning by doing», secondo il matematico e informatico Papert, è più facile e quasi naturale imparare con un robot (Damiani, 2017).
Tuttavia, nonostante i vantaggi e l’esistenza di professionisti che hanno testato con eccezionali risultati il Metodo Tomatis, nonché gli studi che hanno avvalorato l’efficacia dei robot nelle scuole, tali sistemi non vengono utilizzati nonostante siano saldamente supportati da notevoli evidenze scientifiche.
Questo solleva una domanda importante: perché?