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La mente in musica. Come reagisce il cervello all’ascolto della musica (2021) di Annalisa Balestrieri – Recensione del libro

Come può la musica toccarci così nel profondo? Come reagisce il nostro cervello alla musica? Come ne viene influenzato? Le risposte in "La mente in musica".

Di Cristiana Chiej

Pubblicato il 06 Mag. 2021

Lo studio del rapporto tra mente e musica lascia ancora molto spazio a indagini e approfondimenti. La mente in musica di Annalisa Balestrieri nasce proprio come tentativo di aprire questo tema, farsi domande, dare qualche risposta e stimolare il lettore a esplorare un territorio affascinante e ancora poco conosciuto.

 

La musica è parte integrante della nostra vita da sempre, e lo è stata fin dalle origini dell’uomo. La musica ci accompagna nelle nostre giornate, ci emoziona, ci rilassa quando siamo in tensione o ci dà la carica quando dobbiamo affrontare un compito impegnativo, ci fa sentire parte di qualcosa di più grande di noi, ci aiuta a dare un nome e un senso ai nostri sentimenti, facendoci rispecchiare nel testo di una canzone o in una melodia, riporta alla nostra mente ricordi, persone.

Ma come? Come avviene tutto questo? Come reagisce il nostro cervello alla musica, come ne viene influenzato?

Il libro di Annalisa Balestrieri nasce proprio come tentativo di aprire questo tema, farsi domande, dare qualche risposta e stimolare il lettore a esplorare un territorio affascinante e ancora poco conosciuto. Lo studio del rapporto tra mente e musica, infatti, lascia ancora molto spazio alle indagini e agli approfondimenti, tanto che l’autrice più che a lavori già pubblicati, sceglie come spunti di partenza per il suo lavoro ricerche universitarie, opinioni e riflessioni di chi con la musica ci lavora, chi la compone, la suona o la insegna, e di chi invece la vive da ascoltatore, offrendo al lettore diversi spunti di riflessione.

L’autrice ci accompagna in un viaggio nel tempo a riscoprire le origini della musica. Le prime tracce della presenza della musica nelle vite dei nostri antenati risalgono al Paleolitico, intorno a 40000 anni fa, e probabilmente il suo scopo era legato alla sopravvivenza. Rudimentali strumenti musicali, oltre alla voce e ad improvvisate percussioni, servivano verosimilmente per riprodurre suoni della natura, versi animali, per accompagnare riti propiziatori e favorire un senso di appartenenza al gruppo sociale.

Comunicare con i propri simili è da sempre un’esigenza per l’uomo. Il linguaggio verbale consente di trasmettere informazioni complesse e precise, ma per comprendersi è necessario condividere lo stesso codice, conoscere quello specifico linguaggio.

La musica, invece, è una forma di comunicazione prettamente emotiva, universale, che può arrivare a chiunque, anche a chi non conosce lo specifico codice musicale. Il messaggio emotivo che il compositore o l’esecutore (che possono non coincidere) vuole trasmettere deve, infatti, essere comprensibile a tutti gli ascoltatori. In un confronto con il musicista Massimo Priviero, a cui è legata da un’amicizia decennale, l’autrice si sofferma proprio ad analizzare la comunicazione emotiva nella musica, mettendone in evidenza le caratteristiche e le specificità.

Certamente un musicista ascolterà la musica in modo molto diverso da un profano, prestando attenzione anche ad aspetti tecnici della composizione e dell’esecuzione. Anche il contesto storico e culturale ha un’influenza sul modo in cui una musica viene vissuta e decodificata, ma certe emozioni sono universali e tutti noi siamo in grado di differenziare una musica triste da una allegra, e questo tende a produrre in noi un’attivazione emotiva congruente.

Le caratteristiche di un suono, la sua altezza, la durata, l’intensità e il timbro, concorrono a creare uno specifico effetto espressivo: una musica lenta sarà per esempio più triste di una musica con un ritmo più veloce. In questo modo la musica comunica emozioni traducendo in suoni i sentimenti di chi la compone o la esegue.

A questo proposito l’autrice riporta un interessante ricerca condotta dall’Università di Berkeley in cui è stata valutata la risposta emotiva di 2500 soggetti americani e cinesi all’ascolto di migliaia di canzoni di generi diversi. Da questa indagine ne è emerso un elenco di 13 emozioni universali su cui tutti i soggetti erano concordi, rilevando un’attivazione emotiva simile in corrispondenza di una stessa canzone. Quello che cambiava era il valore attribuito all’emozione percepita: questa valutazione, infatti, risentiva maggiormente dell’influenza culturale.

Generi diversi di musica, dunque, hanno effetti diversi sul nostro cervello, influenzando non solo le emozioni ma anche l’attivazione neurofisiologica: una musica rilassante, ad esempio, ridurrà i livelli di cortisolo, l’ormone dello stress, mentre il crescendo di un’orchestra farà aumentare il battito cardiaco e la pressione sanguigna.

Con il cambiare dell’umore può cambiare anche la nostra autovalutazione: brani che trasmettono sensazioni e pensieri positivi possono incidere sulla nostra autostima. Ascoltare un brano ripetutamente ci fa entrare in empatia, ci fa immedesimare con chi esegue il brano, portandoci a fare nostro quanto esprime. La musica è un potente mezzo di comunicazione e ha un certo peso anche nell’orientare i nostri pensieri e il nostro comportamento, con tutto ciò che ne consegue.

Ma se è vero che entro certi limiti è possibile individuare una sorta di “grammatica universale delle emozioni in musica”, quali sono i fattori che influiscono sulle nostre reazioni emotive all’ascolto di un brano?

Da un lato ci sono fattori intrinseci alla musica stessa. Il ritmo, per esempio: dal momento che i battiti del nostro cuore sono mediamente di 60-80 battiti al minuto, un brano con un ritmo inferiore a 60bpm risulterà rilassante, mentre sarà attivante se supererà gli 80bpm. Un ritmo molto lento, al di sotto dei 30bpm, tenderà poi a indurre tristezza.

Il variare dell’intensità di un brano indurrà una variazione emotiva. Tendenzialmente una musica sarà tanto più gradevole quanto più semplice sarà il rapporto fra le note che la compongono.

Il bagaglio culturale e le esperienze personali, inoltre, hanno una grande rilevanza del farci attivare emozioni specifiche: la musica evoca ricordi, persone, periodi della nostra vita, con tutte le emozioni che portano con sé. Ascoltare la nostra musica preferita di quando eravamo adolescenti ci catapulta in quegli anni, a quello che vivevamo allora, ai nostri amori, ai nostri drammi personali.

Una musica può essere ripetutamente associata ad eventi positivi o negativi, dando così origine ad un condizionamento, oppure ad immagini visive che a loro volta evocano emozioni correlate.

Anche la struttura di un brano suscita emozioni diverse a seconda che confermi, oppure smentisca l’aspettativa che implicitamente ci formiamo durante l’ascolto rispetto a come il brano proseguirà. Un brano jazz, ad esempio, tenderà a generare soluzioni più spiazzanti e sorprendenti di un brano pop, in cui solitamente troviamo conferma alle nostre attese.

Ma perché ci piace un certo genere di musica e non un altro? Perché ciò che piace a una persona può essere insopportabile per un’altra?

Certo, il contesto sociale e culturale hanno un ruolo in questo, così come le esperienze vissute.

Attraverso la scelta musicale manifestiamo anche il modo in cui vogliamo essere visti, identificati dagli altri, è un modo di comunicare qualcosa di noi stessi.

Pensiamo ad esempio agli adolescenti: per loro la musica è un elemento essenziale della vita, è l’occasione per confrontarsi con le proprie emozioni, così difficili da gestire e decifrare a quell’età, dà voce ai pensieri ed aiuta a fare chiarezza nei loro sentimenti. E’ per questo che (anche da adulti) quando siamo tristi preferiamo ascoltare musica triste: ci fa sentire capiti, meno soli, ci permette di guardare a quella stessa situazione, a quell’emozione, da un altro punto di vista, contenendola senza esserne travolti. Ma la musica per gli adolescenti è anche un modo per sentirsi parte di un gruppo, condividendo gli stessi gusti, influenzati dalle mode del momento alla ricerca della propria identità, cercando appartenenza sociale in contrapposizione alla cultura dei propri genitori. Allo stesso tempo strumento di conoscenza e manifesto di se stessi. Ed è proprio alle memorie emotive di quegli anni che sovente si lega la nostra musica preferita, perché lì inizia a formarsi la nostra personalità.

Anche la personalità, infatti, sembra avere un ruolo importante nel farci apprezzare un tipo di musica o un altro. Una ricerca dell’università di Cambridge riportata nel volume ha studiato proprio il rapporto fra musica e personalità, individuando categorie di persone e tratti di personalità a cui sono associati gusti musicali specifici.

Il libro si conclude con una panoramica sui diversi utilizzi che la musica può avere nelle nostre vite, come il marketing sensoriale, che mira a stimolare i nostri sensi per influenzare i nostri comportamenti e i nostri acquisti, oppure le colonne sonore di varie forme d’arte, come film o mostre.

Lo sport è un ambito in cui la musica trova ampio spazio di applicazione: pensiamo agli atleti che creano specifiche e studiatissime playlist per migliorare la propria capacità di concentrazione, la motivazione, il controllo dei movimenti, darsi la carica prima di una gara, sincronizzarsi con i compagni. E’ tanta la potenza della musica nel condizionare la performance di un atleta che, in alcune discipline, è vietata durante le gare perché considerata doping!

Anche la scienza ha recentemente beneficiato di un contributo dalla musica insolito ed stupefacente: un gruppo di ricerca del Massachusetts Institute of Technology ha elaborato un procedimento capace di tradurre in musica la sequenza del legame di amminoacidi che compongono le proteine che compongono le spine della “corona” del Coronavirus. In questo modo è possibile studiare la natura del virus e il suo funzionamento in un modo più immediato ed intuitivo rispetto ai metodi tradizionali.

Il libro di Annalisa Balestrieri ci accompagna in un viaggio alla scoperta del rapporto complesso e affascinante fra la nostra mente e la musica, esplorando insieme al lettore alcune fra le infinite ed affascinanti potenzialità della musica come comunicazione, come fonte di benessere, strumento di autoregolazione, conoscenza ed espressione di noi stessi.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Annalisa Balestrieri (2021) La mente in musica: come reagisce il cervello all’ascolto della musica. Independently published.
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Dietro la musica non ci sono solo note, melodie, parole, c’è qualcosa di molto più complesso che non può essere espresso dal solo linguaggio verbale.

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