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Il Memory Training: metodi che sfruttano la memoria implicita

Bier e colleghi hanno confrontato diverse tecniche di memory training per l’apprendimento dell’associazione volto-nome in pazienti con Demenza di Alzheimer

Di Federica Alfeo

Pubblicato il 12 Mag. 2021

Il Memory Training è una metodologia riabilitativa utilizzabile con pazienti con deficit lievi o con smemoratezza benigna.

 

Tale tecnica è composta da alcune prove per la memoria ed ha alla base la teoria della neuroplasticità secondo cui il cervello può subire delle modifiche in seguito a stimolazioni esterne o interne (Kimberley et al., 2010; Belleville et al., 2011).

L’allenamento può proporre delle strategie che sfruttano la memoria implicita come:

  • il sistema dello Spaced Retrieval, che esercita il richiamo di un’informazione nel tempo lungo degli intervalli crescenti (Wilson, 2009). Può essere utilizzato con varie mnemotecniche e, interventi riabilitativi che adottano questa tecnica, si sono dimostrati efficaci nell’identificazione di oggetti, nell’associazione nome-faccia, nella collocazione spaziale di oggetti, nonché nella programmazione di attività quotidiane (Backman, 1996).
  • la tecnica di Errorless Learning, che previene gli errori durante la fase di acquisizione delle informazioni (Clare & Jones, 2008). Le persone con disturbi mnesici hanno la tendenza ad affidarsi alla memoria implicita, che non consente di discriminare in modo consapevole gli errori dalle risposte corrette, consentendo agli errori commessi in fase di apprendimento di poter emergere poiché indistinguibili dagli stimoli corretti. Eliminando gli errori in fase di apprendimento, i pazienti hanno una minore possibilità di fallire (Roberts et al., 2018).
  • Il metodo del Vanishing Cues, che propone la riduzione progressiva di suggerimenti finalizzati al retrieval dell’informazione (Glisky, Schacter & Tulving, 1986).

Bier e colleghi (2008) hanno confrontato diverse tecniche, tra cui quelle citate, per l’apprendimento dell’associazione volto-nome in pazienti con Demenza di Alzheimer.

I soggetti con AD sono stati visti due volte a settimana per cinque settimane consecutive, per un totale di 10 sessioni di 45 minuti. I partecipanti hanno osservato le foto di cinque persone associate ai loro nomi e gli è stato chiesto di imparare tali associazioni, per poi recuperarle alla fine della sessione. A prescindere dalla metodologia utilizzata, ad ogni partecipante era richiesto di produrre una risposta, poi corretta in caso di errore.

Per tutte e tre le modalità sono state presentate le seguenti istruzioni: “Ecco la foto di un uomo, il cui nome è il signor X. Puoi ripetere questo nome e cercare di ricordarlo?”.

Nel caso della prova con metodo Errorless Learning è stata ripresentata immediatamente la foto a cui associare il nome ed è stato chiesto di ricordare il nome abbinato. Gli autori si aspettavano pochissimi errori con questa procedura dato che le informazioni sono state presentate e recuperate immediatamente dai partecipanti.

Con il Vanishing Cues è stata ripresentata la foto dello stesso volto con alcune lettere del nome come ausilio e, alle successive richieste di rievocazione, gradualmente, sono stati ridotti i cue. In caso di errore era aggiunta man mano una lettera, fino alla rievocazione del nome.

L’uso dello Spaced Retrieval ha previsto la ripresentazione della foto dopo 0 secondi, poi dopo 10 secondi, 20 secondi, 30 secondi, 1 minuto, 2 minuti, 3 minuti e infine dopo 5 minuti.

Le conclusioni dello studio non possono raccomandare, dal punto di vista clinico, un metodo rispetto agli altri. I risultati hanno mostrato come i pazienti con malattia di Alzheimer abbiano ottenuto vantaggi nell’apprendimento delle associazioni faccia-nome con tutti i metodi presi in considerazione e sono concordi nell’affermare che possono esserci anche altri aspetti che concorrono a favorire l’apprendimento, per esempio legati al ruolo attivo dei partecipanti durante le fasi dell’apprendimento.

Questo è un aspetto importante per la futura ricerca clinica e dovrebbe essere esplorato in ulteriori studi.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Kimberley, T. J., Samargia, S., Moore, L. G., Shakya, J. K., & Lang, C. E. (2010). Comparison of amounts and types of practice during rehabilitation for traumatic brain injury and stroke.
  • Bäckman, L. (1996). Utilizing compensatory task conditions for episodic memory in Alzheimer's disease. Acta Neurologica Scandinavica, 94(S165), 109-113.
  • Belleville, S., Clement, F., Mellah, S., Gilbert, B., Fontaine, F., & Gauthier, S. (2011). Training-related brain plasticity in subjects at risk of developing Alzheimer’s disease. Brain, 134(6), 1623-1634.
  • Wilson, B. A. (2009). Memory rehabilitation: Integrating theory and practice. Guilford Press.
  • Clare, L., & Jones, R. S. (2008). Errorless learning in the rehabilitation of memory impairment: a critical review. Neuropsychology review, 18(1), 1-23.
  • Roberts, J. L., Anderson, N. D., Guild, E., Cyr, A. A., Jones, R. S., & Clare, L. (2018). The benefits of errorless learning for people with amnestic mild cognitive impairment. Neuropsychological rehabilitation, 28(6), 984-996.
  • Glisky, E. L., Schacter, D. L., & Tulving, E. (1986). Learning and retention of computer-related vocabulary in memory-impaired patients: Method of vanishing cues. Journal of Clinical and Experimental Neuropsychology, 8(3), 292-312.
  • Bier, N., Van der Linden, M., Gagnon, L., Desrosiers, J., Adam, S., Louveaux, S., & Saint-Mleux, J. (2008). Face–name association learning in early Alzheimer's disease: A comparison of learning methods and their underlying mechanisms. Neuropsychological rehabilitation, 18(3), 343-371.
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