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Finché il caffè è caldo – Il passato, il presente e le seconde possibilità, dalla letteratura alla psicoterapia

"Finché il caffè è caldo" racconta di un viaggio nel tempo, un percorso interiore, come quello che avviene in terapia grazie alle tecniche immaginative

Di Angela Dassisti

Pubblicato il 24 Mag. 2021

Le quattro protagoniste di Finché il caffè è caldo intraprendono un viaggio nel tempo che permette loro di compiere un percorso interiore e di scoprire i propri obiettivi di vita, esattamente come capita ai pazienti attraverso la terapia.

 

 Finché il caffè è caldo, romanzo di esordio di Toshikazu Kawaguchi, incuriosisce poiché richiama l’idea di pausa come un momento di reale sospensione, un’interruzione nel flusso del tempo che proietta le protagoniste in un frammento definito offrendo loro una seconda occasione.

Ambientato in un caffè aperto da più di cento anni, seminterrato, senza finestre, avvolto da una leggenda secondo cui entrando sia possibile viaggiare nel tempo, il romanzo si articola attraverso le storie di quattro donne e delle loro scelte. Accomunate da una sedia al tavolino di un caffè sempre uguale, all’interno del quale non si sa mai se sia giorno o notte, né che ore siano, le protagoniste si scoprono a desiderare di trovarsi in un momento preciso della propria vita per conoscere, rimediare e concedersi una seconda possibilità. In un angolo del caffè, una caffettiera d’argento, su un vassoio anch’esso d’argento ed una tazzina bianca danno inizio ad un rito preciso, con regole precise, per ritrovarsi in un momento preciso della propria vita. Regole inflessibili, una fra tutte quella che qualunque cosa accada il presente non cambierà.

Anche nelle stanze dei nostri studi c’è una sedia, sempre la stessa per i pazienti che vi si avvicendano, un po’ come per gli avventori del caffè, quasi immutabile nel tempo. Anche sulla nostra sedia è possibile viaggiare nel tempo e proiettarsi in un momento preciso, anzi in un episodio specifico. Non abbiamo il rito del caffè, ma sulla nostra sedia chiudendo gli occhi, ancorandosi al proprio respiro, chiediamo alle persone di aprire una finestra per sbirciare nei propri ricordi e rivivere scene di vita incarnando nel momento attuale le emozioni che emergono. Anche nel nostro caso ci sono delle regole, anche nel nostro caso il presente non potrà cambiare.

L’ARTICOLO CONTINUA DOPO L’IMMAGINE:

 Finche il caffe e caldo - viaggiare nel tempo psicoterpia

Ma allora perché rivivere una scena se non è possibile modificarne il seguito? E’ la protagonista della prima storia, Fumiko, a suggerirci che rivivendo un momento passato in fondo non si corrono grandi rischi, sappiamo già quello che ci aspetta, ma ci si concede la possibilità di dire le cose diversamente e di essere sinceri.

Ma nello spazio di terapia a cosa serve viaggiare nel tempo?

In psicoterapia il “viaggio nel tempo” si chiama immaginazione (imagery) e con tecniche immaginative può avere diversi obiettivi (Dimaggio et al, 2019), ad esempio quello di esplorare come ci siamo sentiti esattamente: quale immagine di noi si è palesata, quali emozioni abbiamo provato, quale desiderio è stato frustrato? In terapia Metacognitiva Interpersonale (Dimaggio et al. 2013) questo processo di osservazione facilita il riconoscimento dello stato mentale interno. Immaginare episodi e rivivere scene di vita può servire inoltre ad esplorare cosa accade se proviamo a fare qualcosa di diverso da come agiamo solitamente, astenendoci da comportamenti veloci e automatici (coping). Potremmo scoprire che contattando la sofferenza più intima forse decideremo inaspettatamente di assumere un atteggiamento diverso ed avere un comportamento in parte nuovo. L’uso dell’immaginazione in psicoterapia è senza tempo, come il caffè descritto nel libro. Essa permette al paziente di fronteggiare stati dolorosi, dandogli un significato diverso, di far emergere competenze sopite oppure sperimentare nuove abilità, favorendo l’apprendimento di comportamenti più inclini ai propri desideri (Neimeyer, 2016. Padesky e Mooney, 2012).

Fumiko ad esempio sa di essere troppo orgogliosa per riuscire a parlare apertamente e con sincerità a Goro. Sarebbe un costo troppo alto per lei esporsi al rifiuto (valore personale: schema di rango), ma prende coscienza del suo desiderio attivo in quel momento di costruire una storia d’amore e di non perdere il suo amato (desiderio di formare legami affettivi stabili) e si concede la possibilità di riscrivere (Imagery Rescipting, Arntz & Jacob, 2012) il passato con una trama più incline al perseguimento di una nuova aspirazione.

Ma chi decide dove dirigersi nel viaggio e per scoprire cosa?

 Le protagoniste del romanzo non sanno cosa aspettarsi esattamente, come spesso accade all’interno della terapia. Le persone talvolta hanno una vaga previsione di ciò che desiderano ricevere e del cambiamento che vogliono operare, immaginando che la terapia possa magicamente cancellare il loro dolore. A chi spetta stabilire come procedere e verso quali obiettivi puntare?

Kotane, ad esempio, la seconda protagonista, decide autonomamente quale ruolo assumere nella vita di coppia in seguito ad un evento traumatico. Kotane ignorava quale fosse il reale desiderio di suo marito Fusagi, poiché in fondo non ne avevano mai parlato. Nessuno dei due aveva avuto la forza di condividere il proprio dolore per proteggere se stesso e l’altro. Pertanto in modo del tutto naturale Kotane ha assunto il ruolo di infermiera, come nella quotidianità della sua vita reale, senza chiedersi se davvero lo volesse. Ugualmente in psicoterapia può accadere che ci siano fraintendimenti circa gli obiettivi di lavoro o che questi non vengano mai esplicitati o chiariti, compromettendo in alcuni casi l’alleanza terapeutica (Bordin 1979). Stabilire e rinegoziare i termini del lavoro (Benjamin 1990, Mitchell 1993), invece, permette a paziente e terapeuta di giungere al nucleo della sofferenza e di toccare il fondo del dolore per poi risalire verso la luce e riprendere fiato come dopo una lunga apnea.

Tuttavia, nonostante gli accordi, nonostante le regole, rivivere delle scene può essere doloroso, così tanto da avere la tentazione di perdersi e di abbandonarsi alla desolante tristezza, come accade ad Hirai, che nella storia è sconvolta dalla perdita e per un attimo desidera fortemente non muoversi dalla scena e restare ferma dove ancora nulla si è compiuto. In psicoterapia si parla di strategie di fronteggiamento cognitive perseverative (PCCS, Ottavi et al 2017, 2019), che limitano il cambiamento e favoriscono il mantenimento della sofferenza ed il perpetuarsi di stati di angoscia. Lavorare con tecniche immaginative serve anche a stanare queste insenature nascoste nella nostra mente, a far emergere i blocchi al cambiamento che ognuno di noi talvolta oppone, seppure inconsapevolmente. In fondo ci percepiamo deboli, ci pensiamo incapaci di far fronte alla situazione, soprattutto quando ci immergiamo in scene del passato in cui lo siamo stati davvero. In immaginazione il terapeuta può chiedere al paziente di far entrare nella scena una figura di riferimento positiva, come accade nella storia di Hirai. Nel momento più complesso una figura amica, Key, la supporta perché non si perda d’animo e mantenga salde le sue promesse, rimodulando i propri obiettivi di vita sulla base di una nuova conoscenza di sé e di nuove prospettive future.

In fondo sulla nostra sedia non è possibile cambiare ciò che è stato, ma è verosimile lavorare per mitigare gli effetti del passato sul presente, affrancandosene per favorire il futuro. Tuttavia ciò che è nuovo ed ignoto può spaventare e gettarci in uno stato di agitazione, in cui la mente comincia a pensare velocemente, rimuginando intorno ad uno scenario sconosciuto e spaventoso (rimuginio o worry, Sassaroli Ruggiero, 2003). Accade proprio questo nell’ultima storia, in cui la protagonista Key sebbene abbia chiaro il proprio destino e altrettanto chiari i propri scopi inizi a dubitare, ha paura delle conseguenze della sua scelta. Lavorare con l’immaginazione può avere la finalità di proiettarci nel futuro che idealmente è rappresentato nella nostra mente e vivendolo ridimensionare le nostre paure e verificare che siamo in grado di tollerare gli stati dolorosi da cui l’ansia anticipatoria ci tiene alla larga.

Vivere una scena, anche solo immaginata, attiva stati mentali ed emozioni tali per cui possiamo chiarire la natura delle nostre paure, ma allo stesso tempo scoprire le nostre risorse e sorprenderci di quanta forza, coraggio e determinazione possediamo.

Le quattro protagoniste intraprendono un viaggio nel tempo che permette loro di compiere un percorso interiore e di scoprire i propri obiettivi di vita, esattamente come capita ai pazienti attraverso la terapia. Mentre noi terapeuti prendiamo parte al viaggio stando semplicemente al loro fianco, talvolta a guidarli, talvolta a sostenerli, talvolta solo a ricordare loro di sentirsi, osservarsi e di avere il potere di scegliere. Spesso siamo silenziosi, rammentando a noi stessi quali siano gli obiettivi concordati, disciplinando e indirizzando il nostro intervento solo a ciò che i pazienti ci hanno chiesto e dato mandato di fare, più che a ciò che riteniamo giusto per loro. Non giudichiamo, ma diamo forma e concretezza alle richieste, semplicemente chiedendo la destinazione precisa: un luogo, un giorno, un’ora. Quello che accade dopo è il segreto e la potenza del viaggio in noi stessi, per cui cambiamo il mondo modificando gli occhi con cui lo vediamo, perché in realtà abbiamo operato la trasformazione più grande, lo sguardo con cui vediamo (percepiamo) noi stessi, talvolta come pazienti, altre come terapeuti.

Sulla sedia di panno verde di fine Ottocento del caffè dei viaggi nel tempo si avvicendano quattro donne, le loro storie di amore coniugale o familiare e il desiderio, il coraggio, la tenacia di tentare di cambiare qualcosa di immutabile, utilizzando uno spazio ed il solo tempo concesso “Finché il caffè è caldo”.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Dimaggio G., Ottavi P., Popolo R., Salvatore G. (2019). “Corpo, immaginazione e cambiamento”, Raffaello Cortina Editore.
  • Dimaggio, G., Montano, A., Popolo, R., Salvatore, G. (2013). “Terapia Metacognitiva Interpersonale”, Raffaello Cortina Editore.
  • Safran, J.D., Muran, C.J., (2019). “Teoria e pratica dell’alleanza terapeutica”, Editori Laterza.
  • Sassaroli, S., & Ruggiero, G.M., (2003). “La psicopatologia cognitiva del rimuginio (worry). Psicoterapia Cognitiva e Comportamentale, 9, 31-45.
  • Toshikazu Kawaguchi, (2020). “Finché il caffè è caldo”, Garzanti.
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