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Il gioco delle parti. Guida illustrata al tuo mondo interiore (2015) – Recensione

Il gioco delle parti è un libro illustrato che mostra quali sono le parti interiori del sè e come queste possono interagire ed essere negoziate tra loro

Di Chiara Manfredi

Pubblicato il 09 Dic. 2015

“Il gioco delle parti” è un breve volume illustrato e indirizzato ai pazienti o a “profani” della psicologia che vogliano comprendere meglio quanto e come interagiscono le diverse parti che ci compongono.

In realtà, dal mio punto di vista, il libro offre interessanti spunti anche a professionisti della salute mentale che come nel mio caso non hanno ricevuto una formazione specifica sul modello Internal Family Systems (IFS): si tratta di un approccio sistemico applicato alla terapia individuale, che concettualizza le persone come risultato dell’intreccio di diverse parti interconnesse e a volte in conflitto fra loro.

Il modello IFS è stato proposto da Schwartz e viene in questo caso utilizzato per spiegare con un linguaggio estremamente chiaro e comprensibile e con l’aiuto di materiale illustrativo originale qual è la struttura interiore che tutti condividiamo, fatta di tante componenti. In particolare, nel libro di Tom e Lauri Holmes, il modello IFS viene combinato con diversi concetti che hanno a che fare con la natura della consapevolezza per come la troviamo nella psicologia buddhista. Ma come è fatto questo breve volume? Vediamolo insieme.

I primi due capitoli sono dedicati a un’introduzione dei concetti base del modello, ancora una volta resi estremamente intuitivi dal linguaggio immediato, dai contributi grafici, e dagli esempi concreti tratti da storie di terapie. L’autore ci spiega come ci siano due importanti livelli di consapevolezza nella nostra mente: la consapevolezza quotidiana, quella attiva in un dato momento, che viene chiamata il “soggiorno” della consapevolezza. In sostanza, si tratta della componente di noi attiva in una precisa situazione, come la componente “collega” attiva al lavoro, piuttosto che la componente “mamma” o “moglie” attiva una volta rientrati a casa.

Di fianco a questo livello di consapevolezza, anzi, al di sotto di questa, si collocano quelle che l’autore chiama le consapevolezze “di scorta”: quelle che fanno parte di noi ma che in un dato momento sono silenti, perché non appropriate alla situazione o non utili in quel particolare frangente. Non servirebbe fare “entrare nel soggiorno” della consapevolezza la parte “moglie” quando si è in ufficio, così come attivare la parte “manager” una volta rientrati a casa potrebbe essere controproducente. Ma le diverse componenti non si caratterizzano semplicemente per ambito di competenza, e qui nascono i problemi. Perché se fosse questione di competenze e di tempistiche, sarebbe sufficiente mettere le componenti non utili in stand-by e riattivarle una volta che si creino le condizioni adeguate. Invece, le componenti sono trasversali, e includono per esempio anche la parte critica, la parte interessata o la parte analitica: va da sé che non è così semplice capire quando è utile che si attivi una componente piuttosto che un’altra.

Uno dei concetti che l’autore chiarisce da subito è che [blockquote style=”1″]ognuna delle nostre parti interpreta le percezioni a suo modo. Ognuna ha una propria concezione del mondo e pertanto l’approccio con cui affrontate l’esperienza della vostra vita varia molto a seconda della parte di voi che, di volta in volta, emerge nel soggiorno. [/blockquote] È il motivo per cui se una cosa ci viene detta sul lavoro o quando siamo in una modalità “lavoratrice” ha un peso diverso da una cosa detta in un contesto informale, per esempio in modalità “amica”. L’altra cosa da tenere a mente è che ogni parte di cui siamo composti ha un proprio compito nel nostro sistema. Tutto serve, altrimenti darwinianamente parlando, si sarebbe già estinto; bisogna però capire a cosa serve.

Un’altra informazione che ci aiuta a capire meglio cosa siano queste parti è la loro forma; allora impariamo che ogni parte ha quattro diverse dimensioni: sensoriale, emotiva, verbale e immaginativa. Come facciamo quindi a “funzionare” correttamente con questo stuolo di parti che balla il cancan? Qui entra in gioco il Sé, che è [blockquote style=”1″]la parte centrata di noi stessi, tramite la quale possiamo accedere alle parti appropriate nel momento in cui ci servono. [/blockquote]Diciamo che se le nostre parti fossero dei programmi su un computer, il Sé sarebbe il menu principale, che permette di dare uno sguardo complessivo e al contempo di decidere e attivare una specifica parte in uno specifico momento. Come facciamo a centrarci? Sembra che il primo passo sia prendere consapevolezza delle parti centrali del nostro sistema, cosa che viene sollecitata nel libro anche grazie ad alcune schede di lavoro alla fine di ogni capitolo. Secondo gli autori, [blockquote style=”1″]quando siamo nel Sé, siamo calmi e compassionevoli; siamo animati dalla curiosità, dalla chiarezza, dalla fiducia, dalla creatività, dal coraggio e dalla connessione.[/blockquote] Stare nel Sé ci serve per osservare ogni parte e trattarla con gentilezza e accettazione; inoltre, il dialogo tra le parti e il Sé è il concetto fondamentale della terapia delle parti (che ha come obiettivo riportare il Sé in primo piano): è solo dialogando con il Sé che ogni parte può iniziare a [blockquote style=”1″]accantonare i propri comportamenti estremi e assumere una funzione utile per il sistema.[/blockquote]

Andando avanti con la lettura, l’autore chiarisce meglio da dove nascono le parti che ci compongono, sottolineando come si siano tutte sviluppate per rispondere a delle esigenze fisiche, psicologiche o sociali, e come abbiano tutte un’intenzione fondamentalmente positiva. Abbiamo tutti delle parti fisiche e di sopravvivenza, come la parte di accudimento, la parte spaventata e la parte arrabbiata; inoltre, ci sono parti che ci aiutano ad adattarci e a partecipare alla vita sociale, come le parti di autocontrollo e le parti normative, ma anche le parti ribelli; vi sono poi le parti gestionali, che ci servono per “funzionare” nella vita di tutti i giorni, lavorativa e organizzativa, che ci permettono di essere (chi più e chi meno) multitasking. Attenzione però: se è vero che ci sono diverse parti, tutte tendenzialmente con intenzioni positive, e tutte sotto l’egida del Sé, come interagiscono queste parti tra loro? Perché è probabile che alcune siano in conflitto, e che diverse componenti competano tra loro per ricevere la nostra attenzione e per essere soddisfatte nei loro bisogni. Non solo: spesso alcune parti si coalizzano tra loro, per raggrupparsi nel nome di una missione superiore positiva (come mantenere la persona in salute) o negativa (come mantenere la persona in una condizione di sofferenza che però sembra essere utile a altro: il famoso beneficio secondario del sintomo). Queste coalizioni sono formate da parti che condividono un determinato obiettivo per il sistema, e questo non è per forza un male: tuttavia, le coalizioni divengono problematiche quando sono rigide nella forma e nelle loro intenzioni e azioni.

Come si risolvono i conflitti tra le parti? Con la negoziazione. Penso che questo sia uno dei concetti più interessanti del libro, perché permette di capire molto bene come la soluzione non sia eliminare delle componenti, o non ascoltarle. L’autore fornisce diversi esempi di quanto non ascoltare una parte possa portare solo a farla urlare ancora di più. Il modo per farla stare tranquilla, invece, è ascoltarla, comprendere il suo punto di vista e utilizzarlo per arrivare a un’azione condivisa e negoziata tra tutte le parti interessate e presieduta dal Sé. Questo avviene tramite l’inizio di un dialogo interiore, che apre la strada verso il compromesso in cui i bisogni fondamentali di tutte le parti sono ascoltati: [blockquote style=”1″]Poiché parti differenti hanno ruoli differenti, per rispondere a bisogni differenti del nostro sistema, è naturale che sorgano conflitti quando occorre mediare tra necessità e paure che sono in competizione. Il fatto di portare la consapevolezza del Sé nel processo ci consente di risolvere questi conflitti, poiché essere nel Sé ci consente di ascoltare tutte le parti. Una volta comprese le intenzioni positive di una parte, paziente e terapista possono aiutarla a capire come ciò che sta facendo ora non sia utile, per poi aiutare il sistema a tornare in equilibrio.[/blockquote]

Il modo per ridimensionare una parte che in una determinata situazione sta urlando qualcosa e sta prendendo possesso del salotto è aiutare questa parte protettiva ad avere fiducia nel Sé, riconoscendo il suo valore nella protezione del sistema e insegnandole che ora il sistema non è più in pericolo perché possiede nuove risorse.

Una terza sezione molto interessante del libro riguarda il modo in cui le nostre parti interne entrano in relazione con le parti interne altrui, soprattutto per quanto riguarda le dinamiche di coppia. Gli autori parlano delle dinamiche ripetitive che spesso compongono i copioni nelle coppie, proponendo una struttura, a “Z”: le raffigurazioni cicliche non sembrano adatte, visto che a ogni risposta di un componente della coppia non entra nuovamente in gioco la parte iniziale dell’altra componente, ma una parte che viene richiamata da quella altrui. In questo modo, si creano delle dinamiche a staffetta in cui ogni parte di un membro della coppia tende a richiamare una specifica parte del partner, che a sua volta ne attiva una nuova del primo, e così via. Inoltre, le coppie spesso si etichettano in modo negativo descrivendo l’altro membro con caratteristiche stabili e negative, come “sei sempre…” o “non sei mai…”. Secondo gli autori “sono le parti protettive di una persona a etichettare l’altra persona normalmente per proteggere le parti vulnerabili del proprio sistema interiore. Quando si riesce a parlare con queste parti, dando loro modo di farsi ascoltare dal Sé, normalmente esse sono in grado di contenere il proprio atteggiamento difensivo. Così, possiamo trovare dei modi sicuri per comunicare agli altri le esigenze di queste parti.

La quarta parte del libro riguarda un altro importante tipo di parti: gli esiliati. Si tratta di quelle componenti che non hanno mai accesso al soggiorno, ma vengono continuamente rinchiuse in un angolo perché ritenute socialmente non accettabili oppure perché causano dolore evocando il ricordo di esperienze traumatiche. Per evitare che ciò succeda, entrano spesso in campo altre parti, chiamate i “vigili del fuoco”, comportamenti autodistruttivi che bloccano temporaneamente il dolore che sarebbe causato dagli esiliati. Rientrano in questa categoria esperienze puramente sensoriali, come le abbuffate che troviamo nelle pazienti bulimiche o i comportamenti autolesivi nelle pazienti borderline. Anche in questo caso, secondo gli autori, il percorso di miglioramento parte dalla centratura nel Sé che consente il riconoscimento prima dei vigili del fuoco e in seguito del loro tentativo di proteggere il sistema dal dolore, per poi consultandosi con lui trovare altre modalità tutelanti che non implichino solo un sollievo a breve termine. A questo punto, il paziente potrà incontrare gli esiliati alla presenza del Sé, con la capacità di stare a sentire le storie di queste parti senza per questo sentirsi sopraffatto dal dolore.

Infine, il libro si conclude con una connessione alla vita interiore e con un’ampia riflessione sul ruolo delle esperienze spirituali nel processo terapeutico, che mira a creare un armonioso dialogo tra le parti, sempre nella prospettiva di un Sé coerente.
Personalmente trovo che questo libro sia molto utile, soprattutto nella chiave divulgativa in cui è stato pensato. In una tendenza generale a teorizzare tutto e con una propensione a trovare parole difficili per spiegare cose semplici, credo invece che un approccio che riporta alla semplicità e che permette al paziente di comprendere meglio come sta funzionando sia molto utile. Raffigurarsi se stessi come un salotto, che ospita di volta in volta personaggi differenti, può essere utile per comprendere sia la molteplicità di caratteristiche che ci contraddistinguono, sia contemporaneamente il file rouge che le unisce, nel tentativo di aumentare la coerenza interna del sistema e la sua flessibilità nelle diverse situazioni. Gli psicologi e i terapeuti lavorano con la parola, che nasce come mezzo per comunicare e per comprendersi. Sono quindi personalmente dell’idea che più le parole (e in questo caso anche i disegni) possiedono questa funzione comunicativa, più sia interessante condividere queste parole con i pazienti e dare modo a loro per primi di comprendere con relativa semplicità la struttura del sistema, potendolo così identificare e gestire in modo più proficuo.

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SCRITTO DA
Chiara Manfredi
Chiara Manfredi

Teaching Instructor presso Sigmund Freud University Milano, Ricercatrice per Studi Cognitivi.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Holmes, L. & Holmes, T. (2015). Il gioco delle parti. Feltrinelli, Milano.
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