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L’azione del trauma in età evolutiva: una spiegazione clinica in ottica neurocostruttivista

Eventi traumatici, come il maltrattamento e l’abuso, determinano un forte squilibrio del nostro sistema nervoso, soprattutto in età evolutiva

Di Chiara Pradella

Pubblicato il 19 Apr. 2021

Aggiornato il 23 Apr. 2021 12:39

Presso i Servizi di Neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza accade che afferiscano, spesso su segnalazione dei Servizi Sociali, bambini e ragazzi con storie traumatiche di abuso o maltrattamento alle loro spalle, fin dalle più precoci fasi di vita.

 

In Italia, ogni anno, vengono presi in carico dai Servizi Sociali per maltrattamento circa 100.000 minori. Su 1000 minorenni, quasi 10 (il 9,5% della popolazione minorile italiana) subiscono qualche forma di maltrattamento: trascuratezza materiale e/o affettiva, violenza assistita, maltrattamento psicologico, patologia delle cure (discuria/ipercura), maltrattamento fisico, abuso sessuale (CISMAI, Terres des Hommes, 2015).

L’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce abuso o maltrattamento all’infanzia

tutte le forme di maltrattamento fisico e/o psicologico, abuso sessuale, trascuratezza o trattamento trascurante o sfruttamento commerciale o di altro tipo, che ha come conseguenza un danno reale o potenziale alla salute del bambino, alla sua sopravvivenza, sviluppo o dignità nel contesto di una relazione di responsabilità, fiducia o potere. (OMS, 2002)

Ci accade quotidianamente di essere sollecitati da stressors che possono impattare il nostro stato di equilibrio interno (omeostasi), ma siamo anche programmati neurobiologicamente affinché le reazioni chimiche interne al nostro organismo scatenate dagli stressors ci attivino al fine di fronteggiarli tramite l’applicazione di strategie di coping e il coinvolgimento di risorse esterne, consentendoci di tornare a un buon funzionamento.

Eventi potenzialmente traumatici (il maltrattamento e l’abuso, ad esempio) determinano uno squilibrio talmente forte del nostro sistema nervoso, da alterare la fisiologica alternanza tra l’attività del sistema nervoso simpatico (fight-or-flight) e di quello parasimpatico (rest-and-digest). A seguito di tali eventi, infatti, il sistema nervoso simpatico e la risposta di stress si attivano anche se lo stressor che aveva fatto inizialmente scaturire la risposta non è più presente, determinando una situazione di sovraccarico dei sistemi allostatici (deputati invece, in condizioni normali, a consentirci un funzionale adattamento in condizioni di stress).

Lo sviluppo del cervello, durante la gravidanza, così come nel corso dell’evoluzione, avviene “dal basso verso l’alto”. La parte più primitiva, chiamata cervello rettiliano e corrispondente al tronco encefalico e all’ipotalamo, è attiva già alla nascita ed è responsabile del coordinamento e del mantenimento dell’omeostasi, ossia dello stato di equilibrio dei sistemi vitali di base. Al di sopra vi è il sistema limbico, noto come cervello mammaliano, il cui sviluppo inizia dopo la nascita: è la sede delle emozioni, del sistema di controllo del pericolo, di ciò che è percepito come piacevole o spaventoso, giudicando anche ciò che è determinante o meno per la sopravvivenza. Esso si plasma con l’esperienza, intrecciando anche componente genetica e temperamento innato. Gli eventi che accadono al bambino contribuiscono alla creazione, da parte del cervello in via di sviluppo, di una mappa emotiva e percettiva del mondo: è ciò che i neuroscienziati chiamano “neuroplasticità”. Quando un circuito neurale si attiva ripetutamente, può tradursi in uno schema predefinito, ossia in una risposta che in seguito verrà innescata con maggiore probabilità. Dunque, in un bambino che si sperimenta come al sicuro e amato, il cervello si specializzerà nell’esplorazione, nel gioco e nella cooperazione; in un bambino spaventato, invece, che percepisce un costante senso di pericolo e di disamore, il cervello si specializzerà nella gestione di emozioni quali la paura, il terrore, il senso di abbandono, non lasciando spazio all’esplorazione del mondo e alla creazione di relazioni interpersonali adattive. Cervello rettiliano e mammaliano costituiscono assieme il cervello emotivo, il quale avvia risposte di attacco o fuga pre-programmate, automatiche, senza mediazione dei processi di pensiero. Lo strato superiore del cervello, ossia la neocorteccia, inizia invece a svilupparsi nel corso del secondo anno di vita: è il cervello razionale, che ci consente di progettare, riflettere, immaginare, creare scenari futuri (van der Kolk, 2015).

Il bambino necessita, per crescere fisicamente ed emotivamente, di una “nicchia evolutiva”, di un sistema in grado di prendersi cura della sua sopravvivenza, permettendogli un felice adattamento all’ambiente. Se la sede in cui si verificano abusi o maltrattamenti è il contesto intra-familiare, il bambino si trova a sperimentare la paradossale condizione in cui gli stessi soggetti che gli dovrebbero fornire cura e protezione, sono anche coloro che agiscono nei suoi confronti comportamenti spaventanti. Se poi, l’evento potenzialmente traumatico non fosse singolo, bensì ripetuto o sequenziale, l’impatto sullo sviluppo dell’individuo sarà ancora maggiore, determinando conseguenze sia prossimali che distali a molteplici livelli: disregolazione del sistema biologico di gestione dello stress, alterazioni nello sviluppo cerebrale, compromissioni neurocognitive e psicosociali, problemi di salute fisica e disturbi psichiatrici.

È stato anche dimostrato che il trauma è preverbale: nel cervello dell’individuo che sta vivendo un’esperienza di vita avversa, traumatica, si disattiva l’area di Broca, deputata a tradurre in parole pensieri ed emozioni (van der Kolk, 2015). È proprio per questo che per un soggetto traumatizzato risulta enormemente difficoltoso organizzare l’esperienza traumatica in un racconto coerente, ossia in una storia con un inizio, uno svolgimento e una fine. Se il linguaggio non è quindi disponibile a causa della disattivazione, durante l’evento, delle aree cerebrali a esso connesse e a causa delle limitate competenze linguistiche del bambino, in relazione alla sua fase di sviluppo, le immagini finiscono col catturare l’esperienza, ripresentandosi sotto forma di incubi o flashback, che egli rappresenta e riattualizza solitamente nel gioco. Per un bambino traumatizzato, infatti, spesso i giochi sono i suoi discorsi e i giocattoli le sue parole, la strategia che egli trova per raccontare la sua storia.

Si stima che il costo annuale sul bilancio dello Stato italiano della mancata prevenzione del maltrattamento sui minori, diretto e indiretto, sia di circa 13 miliardi di euro (CISMAI, Terre des Hommes, Università Bocconi, 2013). Alla luce delle evidenze di letteratura presentate sugli esiti a lungo termine del trauma infantile, sarebbe quindi essenziale lo sviluppo di un sistema integrato e multiprofessionale di tutela del minore, agendo in ottica preventiva su tutti i sistemi che Bronfenbrenner individua come costituenti la rete sociale che si muove attorno a lui, in primis supportando la costruzione di “nicchie evolutive” sufficientemente adattive e protettive.

 

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