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Sindrome della capanna e Covid-19

La Sindrome della capanna trova terreno particolarmente fertile in questo periodo storico in cui, per il Covid-19, è molto frequente l'isolamento

Di Ilaria Di Paola

Pubblicato il 20 Apr. 2021

La Sindrome della capanna, chiamata anche Sindrome del prigioniero, non è attualmente inserita nei principali sistemi nosografici usati in ambito psicologico e psichiatrico anche se, in tempi recenti, si è trasformata in un argomento di notevole interesse per la comunità scientifica, rivelandosi un’innovativa prospettiva di ricerca per il futuro.

 

La diffusione del Coronavirus, che nel 2020 ha prodotto una pandemia a livello globale, ha reso necessaria l’adozione di drastiche misure restrittive da parte di molti dei paesi coinvolti nel tentativo di tutelare il più possibile la salute dei cittadini e mantenere sotto controllo l’espansione di COVID-19. La popolazione ha vissuto l’esperienza di uno o più lockdown, che hanno dato origine ad una forma di isolamento “protettivo”, durante il quale le occasioni per uscire fuori dalla propria abitazione sono state limitate a favore di un aumento del tempo trascorso tra le mura di casa. Durante questo periodo di confinamento, che è durato anche svariate settimane a seconda dei casi e dei contesti, sono cambiati numerosi aspetti della nostra vita: abitudini, modalità di lavoro, didattica scolastica e universitaria e approcci relazionali. Ma cosa è accaduto quando, terminata la fase di lockdown, è stato possibile riprendere nuovamente contatto con l’esterno? Molti studiosi hanno introdotto il concetto di Sindrome della capanna.

Sindrome della capanna: che cos’è e come si manifesta?

La Sindrome della capanna, chiamata anche Sindrome del prigioniero, non è attualmente inserita nei principali sistemi nosografici usati in ambito psicologico e psichiatrico a causa della scarsità di significativi studi al momento presenti in letteratura, anche se, in tempi recenti, si è trasformata in un argomento di notevole interesse per la comunità scientifica, rivelandosi un’innovativa prospettiva di ricerca per il futuro.

La Sindrome della capanna si configura come uno stato di malessere

che si presenterebbe quando, a seguito di un protratto periodo di distacco dalla realtà, arriva il momento di riprendere contatto con il mondo esterno,

è una condizione di disagio che si può manifestare

all’idea di uscire nuovamente di casa dopo un periodo protratto di isolamento e distanziamento sociale. (Giunti Psychometrics, 2020)

I principali sintomi tipici della Sindrome della capanna (Senese, 2020) sono:

  • ansia
  • irritabilità
  • tristezza e angoscia
  • difficoltà di concentrazione
  • mancanza di energia e motivazione
  • sentimento di non appartenenza alla società
  • letargia

Si tratta di una condizione tendenzialmente temporanea che però, qualora si protragga per un periodo di tempo prolungato (oltre 3 settimane), può sfociare in patologie maggiormente gravi, quali depressione, attacchi di panico e disturbi di adattamento (Giunti Psychometrics, 2020).

Sindrome della capanna e COVID-19: qual è il collegamento?

I periodi di auto-quarantena cui la popolazione è stata sottoposta nei mesi precedenti (fase 1), nonché l’invito alla stessa ad uscire il meno possibile al fine di limitare la diffusione del Coronavirus, hanno contribuito ad aumentare nella gente la percezione della propria casa come garanzia di sicurezza e tranquillità. L’abitazione,

con le sue superfici disinfettate, è diventata un rifugio, un involucro protettivo dall’incertezza e dal pericolo del mondo esterno e dall’invisibile minaccia del virus. (Giunti Psychometrics, 2020)

Questa nuova quotidianità vissuta tra le mura domestiche si è cristallizzata di settimana in settimana come “normalità”. Così, quando, agli inizi della fase 2, i cittadini sono stati incoraggiati a riprendere le proprie precedenti consuetudini nel mondo esterno, sia pur nel rispetto delle norme di sicurezza anti-contagio, uscire da quella che era diventata una zona di comfort, per adattarsi ad una nuova routine, si è rivelato per alcuni fonte di disagio e disorientamento, corrispondente all’insorgenza della Sindrome della capanna. Nello specifico gli esperti ritengono che alla base di questa condizione vi sia una paura da parte delle persone di non riuscire o non volere affrontare questa convivenza forzata e stressante con il COVID-19 (Giunti Psychometrics, 2020).

Sindrome della capanna, Cabin fever e Agorafobia a confronto.

La Sindrome della capanna non è sinonimo di Cabin Fever, la quale è una condizione psicologica che ha caratterizzato maggiormente le prime settimane di lockdown e che rappresenta una reazione ad un isolamento o ad un confinamento che si protraggono per un periodo di tempo esteso (Fritscher, 2020). I principali sintomi della Cabin fever includono (Lucattini, 2020):

  • ansia
  • irritabilità claustrofobica
  • mancanza di motivazione
  • letargia
  • tristezza e angoscia
  • senso di solitudine
  • riduzione della pazienza
  • noia
  • alterazione della fame e del sonno

La Cabin fever, pertanto, si configura come una forma di disagio che insorge allorché un soggetto vive una condizione di confinamento e desidera riprendere il contatto con l’esterno, mentre nel caso della Sindrome della capanna l’individuo manifesta malessere all’idea di uscire nuovamente di casa dopo un periodo di ritiro.

La Sindrome della capanna differisce anche dall’Agorafobia, la quale secondo il DSM-5 rientra tra i disturbi d’ansia e può manifestarsi nelle seguenti situazioni:

  • essere fuori da soli
  • essere fuori in mezzo alla folla
  • trovarsi in luoghi aperti ed ampi
  • trovarsi in luoghi chiusi di dimensioni limitate
  • utilizzare mezzi pubblici

Dunque, mentre la Sindrome della capanna ha a che fare con la paura della convivenza forzata col Coronavirus e delle sue conseguenze sulla salute, l’Agorafobia riguarda il timore di provare un malessere e di non riuscire ad ottenere assistenza (Giunti Psychometrics, 2020).

Sindrome della capanna: come uscirne?

È possibile mettere in atto una serie di strategie (Giunti Psychometrics, 2020) per affrontare e superare la Sindrome della capanna:

  • non chiudersi in se stessi ma relazionarsi con gli altri: condividere emozioni e pensieri e ricevere dei feedback riduce la tensione e ci fa sentire meno soli;
  • allenarsi quotidianamente al cambiamento: modificare anche semplici azioni quotidiane così da migliorare la flessibilità, la resilienza e la capacità di adattamento;
  • esporsi al mondo esterno in modo graduale: inizialmente uscire per effettuare delle semplici passeggiate all’aria aperta o delle commissioni in luoghi familiari, anche rimanendo vicino casa e/o lasciandosi accompagnare da persone fidate;
  • svolgere degli esercizi di respirazione per favorire il rilassamento psicofisiologico;
  • non rimuginare su ciò che sarà: il futuro rappresenta per tutti un’incognita, perciò è meglio focalizzarsi e agire sul presente;
  • non avere timore o vergogna nel chiedere aiuto ad uno specialista (psicologo, psichiatra, psicoterapeuta): non c’è nulla di male nel formulare una richiesta d’aiuto al fine di migliorare la propria qualità di vita.

Naturalmente la Sindrome della capanna può riguardare varie situazioni (es. lungo ricovero, catastrofe naturale, condizioni climatiche), tuttavia risulta evidente come essa trovi terreno particolarmente fertile in un periodo storico come quello che stiamo vivendo attualmente, in cui, a causa della pandemia di COVID-19, sono molto frequenti le fasi di isolamento. Ciò consente di ipotizzare che una percentuale di popolazione abbia sviluppato e potrebbe sviluppare un tipo di malessere come quello fino ad ora descritto. È pertanto importante che i professionisti della salute mentale come psicologi, psichiatri e psicoterapeuti siano pronti ad intervenire sul territorio a supporto di quelle persone che ne hanno più bisogno.

 

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