Molte persone credono che la ruminazione serva a loro per concentrarsi maggiormente sui propri problemi, finendo per divenire, nella depressione, un’abitudine mentale. L’abitudine è un’associazione appresa ed inconsapevole, innescata da un trigger contestuale, piuttosto che da obiettivi e motivazioni individuali.
La ruminazione è uno stile di pensiero negativo caratteristico della depressione che implica il soffermarsi ripetutamente e passivamente sulle cause, significati e conseguenze dei propri sentimenti e del proprio disagio (Nolen-Hoeksema & Morrow, 1991); con effetti negativi sulla cognizione, alterazione nelle abilità di problem solving e umore disforico persistente (Nolen-Hoeksema et al., 2008).
Secondo la Teoria degli stili di risposta, le persone credono che la ruminazione serva a loro per concentrarsi maggiormente sui propri problemi, finendo per divenire nella depressione una tendenza stabile e duratura, che assume le caratteristiche di un’abitudine mentale (Nolen-Hoeksema et al., 2008). L’abitudine è un’associazione appresa ed inconsapevole, ovvero un comportamento frequente innescato da un trigger contestuale, piuttosto che da obiettivi e motivazioni individuali (Verplanken et al., 2007; Wood & Neal, 2007).
Secondo Watkins & Nolen-Hoeksema (2014), la ruminazione è un’abitudine mentale che si attiva in risposta all’umore negativo, ed emerge nel tentativo di fronteggiare le discrepanze tra stato desiderato e realtà. Sebbene questo stile di pensiero sia adattivo se consente il raggiungimento di obiettivi importanti, qualora questo non avvenga, la sua persistenza provoca un deterioramento dell’umore (Watkins & Nolen-Hoeksema, 2014).
Ammettere continui pensieri ruminativi, passivi ed astratti per fronteggiare le discrepanze tra reale ed ideale, accoppia temporalmente gli affetti negativi al pensiero ruminativo, rendendo quest’ultimo un’abitudine attivata dal contesto, ovvero dall’affetto negativo. Nel tempo, il pensiero ruminativo stesso predirà l’affetto negativo creando un circolo vizioso che alimenta i sintomi depressivi e l’inerzia emotiva (Moberly & Watkins, 2008).
Infatti, secondo la ricerca, gli individui con sintomi di depressione accentuati riportano sia alti livelli di inerzia emotiva che un forte accoppiamento temporale di affetto-ruminazione (Brose et al., 2015).
Rispetto ad altre forme di ruminazione più adattive e riflessive, la ruminazione mal adattiva si associa a maggiori caratteristiche di abitualità, ovvero l’essere ripetitiva e ancor più automatica (Ólafsson et al., 2019).
L’indagine di Hjartarson e collaboratori (2021), ha valutato su un campione con sintomi depressivi, se all’interazione dinamica tra affetti negativi e pensiero ruminativo nelle esperienze quotidiane, si legassero le caratteristiche di abitualità del pensiero negativo, ovvero ripetizione, mancanza di consapevolezza cosciente e intento deliberato, efficienza mentale, mancanza di controllo e autodescrittività).
Le esperienze sono state valutate quotidianamente, per 6 giorni, con l’EMA (Ecological Momentary Assessment); strumento che indagando un’abitudine ed i suoi aspetti inconsapevoli, valuta la fluttuazioni degli affetti e della ruminazione su brevi intervalli temporali (Neal & Wood, 2009).
Dallo studio è emerso che l’aumento dell’affetto negativo era prospetticamente associato a maggiori pensieri ruminativi nella successiva occasione di campionamento. Questa relazione, diveniva più forte all’aumentare delle caratteristiche di abitualità del pensiero ed era maggiore in concomitanza con una maggiore gravità dei sintomi depressivi.
Coerentemente con la letteratura precedente, un pensiero negativo con caratteristiche di abitualità innesca una maggiore ruminazione in risposta alle fluttuazioni dell’affetto negativo, (Moberly & Watkins, 2008) mantenendo stabilmente questo stile di pensiero, che diviene automatico e svincolato dalle intenzioni individuali (Watkins & Nolen-Hoeksema, 2014).
In aggiunta, le caratteristiche di abitualità del pensiero predicevano il grado in cui gli individui ruminavano abitualmente in risposta agli affetti negativi, e non solo i livelli di ruminazione momentanea.
Questi risultati suggeriscono che la vulnerabilità alla depressione può emergere sotto forma di abitudine alla ruminazione, innescata inconsciamente da fattori contestuali, svincolata dal controllo cosciente, da obiettivi ed intenzioni.
Esaminando il deterioramento del pensiero positivo come innesco della ruminazione momentanea, è emerso similmente al modello precedente, che le fluttuazioni quotidiane dell’affetto positivo forniscono da punto di partenza contestuale per il pensiero ruminativo.
Infine, sebbene sia emersa l’associazione tra affetto negativo e innesco di ruminazione con l’inerzia emotiva, ovvero un frequente trasferimento dell’umore da una situazione all’altra; le caratteristiche di abitualità del pensiero negativo non si associano a quest’ultima.
Mentre ruminare in risposta al deterioramento degli affetti positivi, non implica l’inerzia emotiva ma una ripresa dell’individuo più immediata; ruminare in risposta all’affetto negativo comporta il sentirsi “bloccati” in questo stato ed una maggiore variabilità nel tempo della ruminazione. Di conseguenza, una vasta gamma di situazioni finiranno per provocare l’insorgenza di questo tipo di pensiero disadattivo (Moberly & Watkins, 2008).
Questi risultati hanno una notevole rilevanza clinica, dando informazioni per una migliore concettualizzazione del caso e selezione del trattamento.
Interventi terapeutici esclusivamente rivolti a modificare le convinzioni e gli atteggiamenti individuali, possono non portare a cambiamenti nella ruminazione tra coloro con depressione (Watkins & Nolen-Hoeksema, 2014), come testimoniato da una più debole risposta al trattamento cognitivo-comportamentale (CBT; Jones et al., 2008).
La terapia dovrebbe intervenire nell’associazione contesto-risposta, ovvero tra affetto e ruminazione; senza esclusivamente rivolgersi ai contenuti dei pensieri ruminativi. Inoltre, grazie ad un intervento CBT incentrato sulla ruminazione (Watkins, 2016) e la modifica di bias cognitivi (CBM; Hertel et al., 2014), si fornirà al paziente una risposta più efficace di pensiero o comportamento, consentendo lo sviluppo di nuove associazioni contesto-risposta più adattive di fronte a situazioni emotivamente pesanti (Watkins & Nolen-Hoeksema, 2014).