Nel suo ultimo libro, Una vita degna di essere vissuta, la Linehan, superando la paura e la vergogna, ci racconta il vero percorso di nascita della DBT, percorso strettamente connesso alle sue vicissitudini personali, come conseguenza del soffrire lei stessa di un disturbo borderline di personalità.
Quello di Marsha Linehan è attualmente uno dei nomi più conosciuti e autorevoli nel campo della salute mentale: è stata infatti l’ideatrice della Terapia Dialettico-Comportamentale – DBT (Linehan, 2011), ad oggi terapia d’elezione per i comportamenti disfunzionali che si associano frequentemente al Disturbo Borderline di Personalità; gli studi RCT (Randomized Controlled trial) condotti hanno infatti dimostrato l’efficacia della DBT in particolare nella riduzione dell’uso di alcol e/o di sostanze (Dimeff & Linehan, 2008), dei comportamenti autolesivi e/o dei tentativi di suicidio.
Il Sé indegno è lo stato mentale tipico dei pazienti borderline e si caratterizza per la percezione di se stessi come sbagliati, difettosi o mostruosi (Fiore & Semerari, 2003); tale stato si accompagna spesso a modificazioni nella percezione dello schema corporeo o a somatizzazioni. Dalla percezione di se stessi come indegni si attiva uno stato di auto-invalidazione che porta a nutrire sentimenti di rabbia e disprezzo verso se stessi.
Una vita degna di essere vissuta rappresenta la capacità di costruire una vita che abbia dei motivi per cui sentire che ne vale la pena, che abbia un numero sufficiente di cose positive (attività che ci piacciono, persone con cui ci piace stare) tali per cui si desidera alzarsi dal letto e viverle, a fronte dell’accettazione di eventi o emozioni negative che comunque non si possono evitare.
Nel corso degli anni Marsha Linehan ha coniugato la ricerca con la pratica clinica curando personalmente centinaia di pazienti considerati gravi a causa della presenza di comportamenti anticonservativi.
Nel suo ultimo libro, dal titolo Una vita degna di essere vissuta, la Linehan, superando la paura e la vergogna, ci racconta il vero percorso di nascita della DBT, percorso strettamente connesso alle sue vicissitudini personali, come conseguenza del soffrire lei stessa di un disturbo borderline di personalità.
Il libro è suddiviso in quattro parti, che affrontano interessanti tematiche di vita, di carriera accademica e di lavoro di Marsha, attraverso una lettura fluida e scorrevole.
Parte prima: La discesa all’inferno
Marsha era una giovane adolescente quando, nel 1961, venne ricoverata presso l’Institute of Living, rinomato istituto psichiatrico di Hartford, nel Connecticut. Prima di allora era stata una studentessa spensierata, sicura di sé e molto popolare. Marsha proveniva da una famiglia religiosa, benestante e numerosa, che sotto molti aspetti era per lei e per la società di Tulsa, la sua città d’origine, una famiglia meravigliosa; eppure era sempre presente in lei l’idea di una diversità caratteriale e fisica che si adattavano poco alle aspettative familiari, aspettative che portavano la madre a compiere sforzi continui di trasformarla in una ragazza carina, di bell’aspetto e socialmente adatta.
Tale divario tra ciò che Marsha sentiva di essere e la preoccupazione costante di non dover deludere le aspettative altrui, unito ad un ambiente familiare invalidante, aveva gradualmente instillato in lei il pensiero di essere lei stessa il problema perché non adatta. Nel corso dell’ultimo anno di liceo l’apparente sicurezza di Marsha iniziava così a scomparire lasciando spazio ad un grave stress e ritiro sociale e al conseguente ricovero; ricovero che divenne determinante nell’aggravamento sintomatologico. Infatti Marsha iniziò proprio durante la sua permanenza presso l’istituto a mettere in atto comportamenti autolesivi e tentativi di suicidio, seguiti da contenzione e lunghi periodi di isolamento punitivi, in una sorta di circolo vizioso dove l’autolesionismo e l’isolamento, attenuando le emozioni negative legate al contesto di cura, diventavano potenti meccanismi di mantenimento e di peggioramento del disturbo. Dopo due anni Marsha venne dimessa poiché dichiarata incurabile. Fu allora che promise a Dio (e a se stessa) di guarire con l’obiettivo di curare altre persone con disturbi mentali gravi e di dimostrare agli altri di potercela fare da sola.
Parte seconda: Il cambiamento
La nuova vita di Marsha iniziò con il trasferimento a Chicago, con l’obiettivo di allontanarsi dalla famiglia, lavorare per essere economicamente indipendente e studiare per diventare, nell’idea iniziale, una psichiatra. Iniziò così la sua carriera universitaria, in un difficile equilibrio tra ricadute depressive e comportamenti autolesivi da un lato e volontà di riuscire ad accettare i propri stati emotivi e se stessa dall’altro. Gli anni universitari vennero così vissuti tra l’entusiasmo per i successi accademici e la sensazione di diversità che la portavano spesso a sperimentare stati di solitudine. Marsha iniziò così ad escogitare delle strategie comportamentali per padroneggiare la disregolazione emotiva e le difficoltà relazionali, strategie che diventeranno in seguito parte del protocollo DBT. Si laureò in psicologia e in seguito conseguì un dottorato di ricerca che le permise di perfezionare le sue conoscenze sul comportamentismo e di applicarle alla pratica clinica. Il lavoro nella clinica per suicidi di Buffalo rappresentò una tappa molto importante per l’esperienza sul campo della Linehan che iniziò così ad applicare i principi del comportamentismo al contrasto dei comportamenti anticonservativi.
Parte Terza: Breve descrizione della DBT
La DBT è un programma di trattamento comportamentale, caratterizzato dalla combinazione di sedute di psicoterapia individuale a cadenza settimanale, skills training di gruppo, supporto telefonico per la gestione delle crisi, team di consultazione terapeutica e interventi rivolti alla famiglia allo scopo di rendere più adattivo il contesto familiare del paziente. Fondamentale è l’acquisizione di abilità che si suddividono in quattro categorie, ognuna delle quali è progettata per risolvere una diversa serie di problemi, in un costante equilibrio tra accettazione e cambiamento della realtà. Le prime due, abilità di mindfulness e di tolleranza alla sofferenza, indicano la via per accettare la realtà così com’è, mentre le ultime due, abilità di regolazione emotiva e di efficacia interpersonale, sono abilità di cambiamento.
Parte quarta: Il cerchio si chiude
Nella quarta ed ultima parte del libro la Linehan descrive i cambiamenti avvenuti negli ultimi anni della sua vita, quali il percepirsi finalmente parte di una famiglia, l’abbandono della sensazione di solitudine e di vuoto e la decisione di voler rendere pubblica la sua storia attraverso una conferenza presso l’istituto in cui venne ricoverata molti anni prima, chiudendo così il cerchio.
Per la Linehan la sfida della DBT è ancora aperta: molto è stato fatto ma tanto bisogna ancora fare per far si che la DBT possa essere condivisa a livello mondiale ed entrare in altri ambiti, oltre quello clinico, come quello scolastico, nell’idea che le abilità contenute in essa possano essere coltivate sin da piccoli. Negli ultimi anni la DBT si è affermata, oltre che negli Stati Uniti, anche in America Latina, Europa, Asia e Medio Oriente. Il trattamento si è rivelato utile anche per persone con dipendenza da sostanze (Dimeff & Linehan, 2008), depressione, PTSD (Bohus et al, 2020) e disturbi alimentari (Klein et al. 2013; Safer et al. 2010; Chen et al., 2015) ed è in via di sperimentazione un lavoro sull’applicazione della DBT a soggetti con cancro.