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La mindfulness come antidoto al multitasking

Per sviluppare un atteggiamento mindful, utile a gestire i rischi del multitasking, occorre sospendere il giudizio e indossare la mente del principiante

Di Debora Pannozzo

Pubblicato il 29 Apr. 2021

In un mondo che riconosce il multitasking come una qualità positiva e protettiva è facile compiere molte delle azioni quotidiane con il pilota automatico inserito. La mindfulness addestra a dirigere l’attenzione al momento presente, grazie ad un processo di autoregolazione attentiva con atteggiamento accettante, curioso ed aperto.

Togliamo il pilota automatico

La società odierna ci ha spinti ad inserire il pilota automatico, svolgendo molte azioni in contemporanea, assumendo una modalità multitasking.

Essere multitasking è riconosciuta come una qualità positiva e protettiva, in quanto permette all’individuo di poter essere efficiente e produttivo. Va da sé che nel XXI secolo, dominato da freneticità e competitività, essere in grado di stare al passo e dimostrarsi efficaci in più mansioni, rapidi nel portare al termine svariati compiti, rappresenta una dote e una qualità richiesta, in ambito lavorativo, sociale, nonché quotidiano.

Atteggiamento MIND FULL versus atteggiamento MINDFUL

Essere multitasking conduce a tenere in mente diversi oggetti, pensieri, potendo essere contemporaneamente presenti in diversi luoghi, a livello virtuale, pianificando, organizzando, rielaborando varie situazioni.

È un processo automatico e abbastanza spontaneo quello di compiere questi viaggi mentali.

Nonostante i benefici di tutto ciò, se ci fermiamo un attimo ed osserviamo l’immagine seguente possiamo ben comprendere come avere una mente “piena” conduce a non vivere veramente il momento presente, essendo essa colma di pensieri riguardanti azioni future da compiere, eventi passati, doveri da assolvere, mansioni da espletare.

Sicuramente la passeggiata risulterà maggiormente ristoratrice ed entusiasmante per il nostro cane, il quale, con atteggiamento mindful, riuscirà a cogliere ogni odore del paesaggio, ogni sfumatura visiva, ogni suono colpirà il suo apparato acustico.

D’altro canto noi potremmo pensare al traffico incontrato per strada per raggiungere il parco e nelle nostre orecchie potrebbero risuonare i clacson degli automobilisti, o ancora potremmo ragionare naturalmente sulla somma delle bollette da pagare. Bene, saranno solo le nostre gambe che “automaticamente” eseguiranno la passeggiata.

Per poter sviluppare un atteggiamento mindful occorre apprendere a sospendere il giudizio, avere pazienza, indossare la “mente del principiante”, inquadrando le cose come se le si vedesse per la prima volta, impegnandosi quotidianamente con autodisciplina.

Togliere il pilota automatico vuol dire eseguire le diverse azioni in modo consapevole, ovvero esplicito, con presenza. Quando una nuova abilità viene fatta propria, infatti, essa si automatizza e diveniamo in grado di svolgerla senza troppo impegno, essendo essa divenuta una memoria implicita (Ladavas & Berti, 2002).

Sviluppare la Mindfulness attraverso la meditazione

La Mindfulness addestra a dirigere l’attenzione al momento presente, grazie ad un processo di autoregolazione attentiva con atteggiamento accettante, curioso ed aperto (Bishop et al., 2004).

Jon Kabat Zinn, fondatore dell’uso clinico moderno della mindfulness, la definisce come

il processo di prestare attenzione in modo particolare: intenzionalmente, in maniera non giudicante, allo scorrere dell’esperienza nel presente momento dopo momento. (1994, p.16)

È importante sviluppare una relazione differente con i contenuti della mente: bisogna comprendere come i pensieri compaiano spontaneamente, senza invito. A questo punto occorre mettere in atto un processo di disidentificazione, dal momento in cui noi non siamo i nostri pensieri, e comprendere che gli stati interni sono per natura innocui, inconsistenti, impermanenti, anche se sgradevoli (Didonna, 2019).

La Mindfulness insegna il decentramento:

il semplice atto di riconoscere i tuoi pensieri come pensieri può liberarti dalla realtà distorta che essi spesso creano e permetterti di avere una prospettiva più chiara da cui vedere le cose e un maggior senso di controllo nella tua vita. (Kabat-Zinn, 1990)

La pratica di meditazione volta allo sviluppo di un atteggiamento mindful viene condotta o attraverso una modalità strutturata, con un tempo stabilito e in un setting silenzioso, o una modalità non strutturata, che non richiede un setting particolare e può essere svolta in diversi momenti del quotidiano.

Quando si inizia la pratica della meditazione ci si rende, da subito, conto di quanto sia difficoltoso mantenere l’attenzione consapevole su un oggetto per più di pochi secondi: la mente viene catturata da pensieri multipli e diversificati inerenti la nostra vita. Ciò è del tutto naturale e lo è ancor di più all’inizio della pratica. La mente tende naturalmente a vagare ed etichettare l’esperienza presente, giudicandola.

La meditazione addestra ad essere “svegli”, a togliere il pilota automatico e ad osservare queste modalità della mente, con atteggiamento osservante, ma non giudicante, gentile e compassionevole.

Ogni qualvolta la mente si allontana dall’oggetto attenzionato consapevolmente, l’istruzione è di osservare dove è andata, lasciando andare l’oggetto da cui è presa, sia esso un pensiero, un impulso, una sensazione, e di riporre il focus sul target iniziale.

La pratica della consapevolezza addestra a stare con l’esperienza interna ed esterna del momento presente senza cercare di modificarla in alcun modo: è la pratica del “non fare”.

Tra uno stimolo e una risposta c’è uno spazio: in tale spazio risiede la nostra interpretazione, dunque, il potere di scelta.

Le pratiche di meditazione favoriscono lo sviluppo della capacità di entrare intenzionalmente in uno stato mindful, dove esiste uno spazio tra esperienza ed azione, incrementando il tratto accogliente, accettante e non giudicante verso l’esperienza (Rainone, 2012).

Falsi miti sulla Mindfulness

Porre attenzione in maniera consapevole, sospendendo il giudizio, focalizzandosi sul momento presente, non conduce ad uno stato di trance, né tantomeno ad uno stato alterato di coscienza.

Al contrario, l’obiettivo è rimanere “svegli”, notando le fluttuazioni naturali del pensiero.

Un altro falso mito riguarda la fuga dalla realtà. La mindfulness non mira all’evasione del momento presente, elevando l’individuo a pensieri sublimi; al contrario, essa addestra a stare con la realtà, piacevole o dolorosa che sia, accogliendo ogni pensiero si affacci alla coscienza, accettandolo, osservandolo, senza mai giudicarlo, ricordando come ciascun pensiero sia uno stato transitorio.

È molto diffusa la convinzione che la meditazione e la mindfulness siano pratiche di rilassamento. La meditazione non ha uno scopo prestabilito, se non la meditazione stessa, dunque l’invito è a non cercare risultati. Lo stato di rilassamento, così come un maggior benessere, possono sopraggiungere, o meno, come effetti secondari, ma non rappresentano gli scopi ultimi della pratica.

Occorre sempre tenere a mente le motivazioni con cui ci si avvicina alla pratica mindfulness (Chiesa, 2011).

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Bishop, SR., et al. (2004). Mindfulness: a proposed operational definition. Clinical Psychology: Science and Practice, 11, 230-241.
  • Chiesa, A. (2011). Gli interventi basati sulla Mindfulness. Cosa sono, come agiscono, quando utilizzarli. Giovanni Fioriti, Roma.
  • Didonna, F. (2019). Mindfulness-Based Cognitive Therapy for Obsessive Compulsive Disorder. New York: Guilford Press.
  • Kabat-Zinn, J. (1994). Wherever you go, there you are: mindfulness meditation in every day life. Hyperion, New York. Tr. it. Dovunque tu vada ci sei già. Una guida alla meditazione. Tea pratica, Milano, 1997.
  • Kabat-Zinn, J. (1990). Full catastrophe living: using the wisdom of your body and mind to face stress, pain and illness. Dell Publishing, New York. Tr. it. Vivere momento per momento. Sconfiggere lo stress, il dolore, l’ansia e la malattia con la saggezza di corpo e mente. Corbaccio, Milano, 2005.
  • Ladavas, E., Berti, A. (2002). Neuropsicologia. Il Mulino, Bologna.
  • Rainone, A. (2012). La Mindfulness. Il non fare, l’accettare e il fare consapevole. Cognitivismo Clinico, 9, 2, 135-150.
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