Risulta difficile il tentativo di definire univocamente l’esperienza di amore romantico e ancor di più lo è definirne le manifestazioni patologiche. La distinzione tra espressione sana o patologica di una passione naturale come l’amore richiede l’adozione di criteri condivisi, non sempre disponibili.
L’amore, nella sua accezione di amore romantico, è un’esperienza universale. Poeti ed artisti di tutti i tempi lo hanno rappresentato; filosofi e pensatori ne hanno discusso; amici e parenti ci hanno offerto le loro interpretazioni; emozioni di gioia o di dolore ci hanno insegnato a riconoscerlo. Eppure una sua definizione è ancora sfuggente.
La recente prospettiva psicobiologica mostra l’intervento di specifici ormoni e neurotrasmettitori, in distinte aree cerebrali, per ognuna delle componenti di cui l’antropologa americana Hellen Fisher ritiene essere composta una relazione amorosa: “Lust”, “Romance” e “Attachment” [Fisher, 2004]. Altri autori [Sternberg & Barnes, 1988; Sternberg & Sternberg, 2006] tuttavia propongono differenti suddivisioni, dinamiche e considerazioni che mostrano la non riducibilità dell’amore romantico alle pur preziose conoscenze biologiche, come forse, in quanto fenomeno complesso, la sua non riducibilità tout court.
Manifestazioni patologiche
Se risulta difficile il tentativo di definire univocamente l’esperienza di amore romantico, ancor più lo è definirne le manifestazioni patologiche. La presenza di intense passioni è comune nella fase di innamoramento, nel sentimento di gelosia, o nella malinconia conseguente la fine di un rapporto [Lorenzi, 2010]: distinguere tra espressione sana o patologica di una passione naturale richiede l’adozione di criteri condivisi, non sempre disponibili.
Lo psichiatra Primo Lorenzi suggerisce di adottare quelli proposti da De Clérambeaut [1942]: quantità (abnorme), persistenza (eccessiva durata), incoercibilità (dei contenuti ideici), impermeabilità (di fronte ai riscontri di realtà). Tali criteri richiedono tuttavia l’identificazione di cut-off diagnostici che, disponibili in letteratura per molte patologie, non lo sono per le affezioni amorose.
Dipendenza affettiva
Il costrutto di “dipendenza affettiva” (love addiction) – diverso dalla dipendenza sessuale (sex addiction) – non è presente nei principali manuali diagnostici e di classificazione dei disturbi (DSM 5, ICD 10 e PDM-2). Non si dispone, quindi, di criteri diagnostici ufficiali e universamente riconosciuti, ma possiamo avvalerci unicamente dell’esperienza degli autori che si sono occupati del tema.
Lo psichiatra francese Michel Reynaud [2010] ritiene che il passaggio da una sana passione amorosa alla dipendenza avvenga quando: il desiderio diventa bisogno; la sofferenza si sostituisce al piacere; la relazione prosegue nonostante la ragione ci suggerisca di interrompere a causa delle troppe conseguenze negative. L’autore vi ravvisa il soddisfacimento dei criteri per la dipendenza da sostanza: sforzi infruttuosi per controllare la relazione; notevole assorbimento temporale; importante riduzione o abbandono di attività sociali e ludiche; incapacità di interrompere la relazione malgrado i problemi procurati; come pure una vera e propria crisi d’astinenza con sofferenza e irritabilità.
Propone per la diagnosi la presenza di almeno 3 dei seguenti criteri diagnostici (coesistenti per almeno 12 mesi):
- Esistenza di una sindrome d’astinenza caratterizzata, in assenza della persona amata, da una sofferenza importante ed un bisogno compulsivo dell’altro.
- Considerabile quantità di tempo dedicato alla relazione.
- Importante riduzione della attività sociali, professionali o di piacere.
- Desiderio persistente, o sforzi infruttuosi di ridurre o controllare la relazione.
- Proseguimento della relazione malgrado i problemi da essa causati.
- Esistenza di un problema dell’attaccamento, manifestato da:
- o la ripetizione di relazioni amorose esaltate, in assenza di periodi d’attaccamento duraturo;
- o la ripetizione di relazioni amorose dolorose, caratterizzate da attaccamento insicuro.
Eziologia, prevalenza, comorbilità e strumenti
L’eziologia di una dipendenza affettiva sembra implicare alterazioni dei normali percorsi neurobiologici attivi nell’esperienza amorosa e/o dei processi di apprendimento sociale, nonché risentire di influenze socioculturali [Sussman, 2010]. In particolare, i bassi livelli di serotonina – e le conseguenti caratteristiche ossessive – propri della fase di innamoramento [Fisher, 2004], se mantenuti bassi nelle successive fasi di una relazione, potrebbero favorire l’insorgenza di una dipendenza affettiva.
La tesi di una “fixation on early phase” trova supporto in uno studio sulla durata e la felicità delle relazioni di coppia [Acevedo & Aron, 2009] che distingue tra componente romantica e componente ossessiva, mostrando la presenza della prima nei rapporti duraturi e felici, mentre la seconda appare inversamente proporzionale alla soddisfazione dichiarata nei rapporti duraturi (o ha già provocato l’interruzione del rapporto).
La differenziazione tra componente romantica e ossessiva dell’esperienza amorosa emerge anche da una meta-analisi [Graham, 2011] che sottopone ad analisi fattoriale i dati raccolti da 81 articoli, per un totale di 19.387 individui, cui sono stati somministrati i più comuni test sull’amore (Loving and Liking di Rubin, Love Attitude Scales di Hendrick e Hendrick, Passionate Love Scale di Hatfield e Sprecher, Triangular Love Scale di Sternberg), mostrando che le correlazioni delle sottoscale di cui i test sono composti saturano su tre fattori, identificabili come: love, practical friendship, romantic obsession – quest’ultima strettamente collegata alla sottoscala di “mania” della LAS.
La dipendenza affettiva appare inoltre correlata con lo stile di attaccamento ansioso-ambivalente [Feeney & Noller, 1990], a sua volta correlato con la sottoscala “mania” della LAS [Hendrick & Hendrick, 1989]. Relativamente al genere non sembrano esservi differenze rilevanti; quanto alla personalità i disturbi borderline e di personalità narcisistica appaiano frequenti, ma risultano necessari ulteriori approfondimenti [Sussman, 2010].
La predisposizione comportamentale creata dai meccanismi neurobiologici e dallo stile di attaccamento sembra trovare rinforzo, ed essere indirizzata verso la specifica forma della dipendenza affettiva, da fattori socioculturali, tra cui l’influenza dei media. Tra essi, uno studio [Vannini & Myers, 2002] analizza il contenuto dei più diffusi album musicali, di genere “teen pop”, trasmessi da canali specializzati nel 2000. Su 169 canzoni, 155 affrontano il tema della relazione di coppia, in ogni sua fase. L’analisi dei contenuti mostra una comune rappresentazione dell’esperienza amorosa come: conferitrice di senso ad un’esistenza che ne è altrimenti priva; mai sufficiente; caratterizzata da astinenza, craving, ossessioni, dipendenza. Per quanto la ricezione dei testi musicali non sia passiva, come nella stato “trance-like” descritto da Adorno [1976], ma caratterizzata da un processo di attribuzione attiva del tipo descritto da Hall [1980], la forte ricerca di informazioni per la costruzione di una propria identità personale e sociale, propria dell’età adolescenziale cui il genere è indirizzato, associata all’ingente consumo di tale materiale, suggerisce che questi, ed altri simili stimoli, siano influenti nello sviluppo di una dipendenza affettiva [Sussman, 2010].
Non trattandosi di un disturbo elencato dal DSM 5, dall’ICD 10 o dal PDM-2, la sua prevalenza è di difficile stima. Oltre all’ipotesi di autori [Timmreck, 1990] che la valutano tra il cinque e il dieci per cento della popolazione, può essere indicativo il crescente numero di gruppi di auto-aiuto dedicati all’argomento nei paesi anglofoni (Sex and Love Addicts Anonymous; Love Addicts Anonymous), basati sulla tecnica dei 12 passi. Recentemente è stata proposta una scala di misurazione specifica, la Love Addiction Inventory (Costa et al., 2019) che ci auguriamo potrà essere di aiuto a stime più accurate.