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La dipendenza affettiva: quando l’amore diventa ossessivo, simbiotico e fusionale

Sono diverse le interpretazioni alla base della comprensione del disturbo della dipendenza affettiva e numerosi i fattori coinvolti nella sua genesi.

Di Sara Bui

Pubblicato il 18 Set. 2019

Oggi la dipendenza affettiva non compare nei manuali diagnostici come un disturbo a sé. Nel DSM 5 è stata inserita nel capitolo sui Disturbi correlati a sostanze e disturbi da addiction e citata senza però fare riferimento né ai criteri diagnostici né alle caratteristiche proprie del disturbo.

Sara Bui – OPEN SCHOOL Scuola Cognitiva, Firenze

 

Il tema della dipendenza affettiva ha delle radici molto lontane, già Ovidio (Amores, 19-24 a. C.) introduceva il tema con una frase celebre “non posso vivere né con te, né senza di te”, frase che continua tutt’oggi a tornare nel nostro linguaggio comune anche con variazioni del tipo “ho bisogno di te per vivere”, “non riesco a stare lontano da te”.

Tuttavia, il temine dipendenza affettiva entra nel lessico della psicopatologia solo nel 1986 grazie alla psicoterapeuta americana Robin Norwood e al suo libro Donne che amano troppo nel quale fa riferimento alle caratteristiche di quello che secondo l’autrice è un amore “pericoloso”.

La dipendenza affettiva, o love addiction, viene considerata una forma di amore ossessiva, simbiotica e fusionale; è una modalità “non sana” di vivere la relazione e si sviluppa generalmente tra due partner adulti, ma può nascere anche tra terapeuta/medico e paziente o tra genitore e figlio (Borgioni, 2015).

Inquadramento nosografico

Ad oggi, la dipendenza affettiva non compare nei manuali diagnostici come un disturbo a sé, anche se all’interno del DSM 5 (American Psychiatric Association, 2014), nel capitolo sui Disturbi correlati a sostanze e disturbi da addiction, viene citata la love addiction, senza però fare riferimento né ai criteri diagnostici né alle caratteristiche proprie del disturbo.

La dipendenza affettiva, rientra quindi all’interno delle New Addiction, ossia quelle dipendenze comportamentali nelle quali non sono presenti sostanze chimiche di abuso o alcool. Una delle caratteristiche comuni a tutte le nuove dipendenze, è il fatto che spesso, proprio in virtù dell’assenza di sostanze di abuso, possono rimanere in ombra per tutta la vita del paziente (Guerreschi, 2011).

Un aspetto importante riguarda la distinzione tra la dipendenza affettiva e il disturbo dipendente di personalità, in quanto spesso si tende ad equiparare le due condizioni. In realtà, come sottolinea anche Borgioni (2015), le due condizioni devono essere considerate in maniera separata per vari motivi:

  1. Nel disturbo dipendente di personalità prevale il bisogno di protezione e accudimento, nella dipendenza affettiva tale bisogno non è solo prevalente, ma esasperato;
  2. Le persone con disturbo dipendente di personalità permettono agli altri di impossessarsi e gestire le aree della loro vita, mentre nella dipendenza affettiva questo non accade;
  3. Nel disturbo dipendente di personalità, la figura di dipendenza viene subito sostituita con un’altra o con una sostanza, mentre nella dipendenza affettiva il paziente si “fissa” sulla relazione precedente e tenta di recuperarla in ogni modo;
  4. Nel disturbo dipendente di personalità la dipendenza dalle altre persone è costante, essendo un tratto di personalità, mentre nella dipendenza affettiva si sviluppa solamente in alcune relazioni.

Possiamo dunque considerare la dipendenza affettiva come un disturbo relazionale del “qui e ora”, non necessariamente riconducibile ad eventi traumatici infantili (Secci, 2014).

La dipendenza affettiva è una dipendenza reale?

Per rispondere a questa domanda, dobbiamo innanzitutto esaminare se nella dipendenza affettiva sono presenti i sintomi tipici delle dipendenze (ebrezza, tolleranza, astinenza, incapacità a controllare il proprio comportamento) ed eventualmente secondo quali modalità si esplicano.

  • Ebrezza: il paziente prova una sensazione di benessere quando sta con il partner, tale sensazione è indispensabile per stare bene e non ottenibile in altro modo.
  • Tolleranza: il paziente avverte il bisogno di aumentare la quantità di tempo da trascorrere con il partner, riducendo sempre di più il tempo dedicato a se stesso e la propria indipendenza. Tale comportamento è alimentato dall’incapacità di mantenere la presenza interiorizzata dell’altro.
  • Astinenza: l’assenza del partner porta ad uno stato di disperazione che può essere alleviato solo con la presenza fisica dell’altro.
  • Incapacità a controllare il proprio comportamento: riduzione della capacità critica relativa a sé, all’altro e alla situazione.

In questo modo si crea un circolo che si autoalimenta rinforzando il comportamento di dipendenza:

  • Gratificazione immediata e piacere (rinforzo positivo)
  • Sollievo dalla sofferenza abbandonica (rinforzo negativo)
  • Sensazione di amabilità e valore

Teorie eziopatogenetiche

L’ipotesi evolutivo-sociale
Ghezzani (2015) sostiene che la dipendenza affettiva non debba essere considerata una patologia vera e propria per due motivi: per la sua valenza evolutiva e di sopravvivenza e per doti cooperative innate proprie della specie umana. L’autore spiega che, mentre nel mondo animale la dipendenza dei cuccioli dai propri caregivers è funzionale ma solo per brevi periodi, nella specie umana tale dipendenza ha periodi molto più lunghi e quindi è impensabile che il legame di dipendenza che si crea si possa poi dissolvere. Inoltre negli esseri umani la cooperazione è fondamentale per la sopravvivenza e come sostengono Aronson e colleghi (2013) invece che di dipendenza dovremmo parlare di inter-dipendenza per sottolineare la reciprocità affettiva delle relazioni umane.

L’ipotesi neurobiologica

È stato ampiamente dimostrato in letteratura (Bottaccioli, 2005) che se un bambino viene sottratto dalle cure dei caregivers aumenta la sua produzione di endorfine e cortisolo, i cosiddetti “ormoni dello stress”; tale secrezione può danneggiare le aree del sistema limbico, quella porzione del Sistema Nervoso Centrale che ci permette di emozionarci e di creare sentimenti in grado di perdurare nel tempo e nella memoria.

Il sistema della ricompensa

Si preferisce utilizzare il termine “addiction” nell’accezione di “schiavitù” in quanto una qualsiasi situazione, relazione o sostanza che creano piacere nel soggetto e ne alleviano il dolore possono renderlo “schiavo” da essa (Fisher, Xu, Aron, & Brown, 2016).

Il comportamento motivato da stimoli gratificanti è composto da una fase appetitiva, nella quale viene ricercato l’oggetto del piacere e da una fase consumatoria nella quale il comportamento si manifesta secondo schemi rigidi legati alla specifica attività. I disturbi del piacere riguardano la fase appetitiva: la reiterazione della ricerca di stimoli piacevoli crea la dipendenza (Aron, Fisher, Mashek, Strong, Li & Brown, 2005).

Stile di attaccamento

Analizzando le caratteristiche degli individui con le varie tipologie di attaccamento, risulta evidente che le persone con attaccamento insicuro-ambivalente rispecchiano i tratti tipici degli individui con dipendenza affettiva: controllo ossessivo di sé, dell’altro e della relazione; la convinzione di non essere degni d’amore; la ricerca continua di relazioni simbiotiche con persone idealizzate; il terrore della separazione e della perdita.

L’esperienza del dipendente affettivo è stata caratterizzata quindi da figure di riferimento presenti ma in maniera intermittente, arrivando spesso ad un’inversione di ruoli che vede il bambino adultizzato e il genitore-bambino (Borgioni, 2015).

Trattamento

Prima di parlare del trattamento della love addiction, è necessario capire se è etico e necessario intervenire. A tal proposito esistono due diversi schieramenti: nella “narrow view” l’amore diventa dipendenza solamente quando si attiva il circuito della ricompensa o quando l’individuo ha un disturbo pre-esistente; nella “broad view” chiunque sia innamorato rientra nello spettro della dipendenza affettiva, che non viene considerata quindi una patologia, ma semplicemente una dote innata dell’uomo.

Se facciamo riferimento alla “narrow view” esistono delle situazioni nelle quali è necessario un intervento per la dipendenza affettiva. Tale intervento può essere farmacologico (date tutte le dimostrazioni sulle cause neurobiologiche della patologia) oppure psicologico. In questo caso possiamo fare riferimento alla terapia cognitivo comportamentale che interverrà su alcuni punti fondamentali:

  • Ristrutturazione di pensieri irrazionali
  • Training per le social skills
  • Controllo degli impulsi
  • Prevention relapse

In conclusione sottolineamo che la relazione terapeutica è stata dimostrata essere uno dei maggiori predittori di efficacia di una psicoterapia (Safran & Muran, 2000) e ciò appare ancora più importante quando la tematica affrontata è puramente relazionale, come nel caso della dipendenza affettiva.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • American Psychiatric Association (2014). DSM - 5 Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali. Milano: Raffaello Cortina.
  • Aron, A., Fisher, H., Mashek, D.J., Strong, G., Li, H., Brown, L L. (2005). Reward, motivation, and emotion systems associated with early-stage intense romantic love. Journal of neurophysiology, 94(1), 327-337.
  • Aronson, E., Wilson, T.D., Akert, R.M. (2013). Psicologia Sociale. Bologna: Edizioni Il Mulino.
  • Borgioni, M. (2015). Dipendenza e contro-dipendenza affettiva. Roma: Alpes Italia.
  • Bottaccioli, F. (1995). Psiconeuroendocrinoimmunologia (2005 ed.). Milano: Red Edizioni.
  • Fisher, H.E., Xu, X., Aron, A., Brown, L.L. (2016). Intense, passionate, romantic love: a natural addiction? How the fields that investigate romance and substance abuse can inform each other. Frontiers in psychology, 7, 687.
  • Ghezzani, N. (2015). L’Amore impossibile. Affrontare la dipendenza affettiva maschile e femminile. Milano: Le Comete Franco Angeli.
  • Guerreschi, C. (2011). La dipendenza affettiva. Ma si può morire anche d'amore? Milano: Franco Angeli.
  • Norwood, R. (1986). Donne che amano troppo (2007 ed.). Milano: Feltrinelli.
  • Safran, J.D., Muran, J.C. (2000). Negotiating the Therapeutic Alliance: a relational treatment guide. Guilford Press.
  • Secci, E.M. (2014). I narcisisti perversi e le unioni impossibili. Sopravvivere alla dipendenza affettiva e ritrovare sé stessi. Edizioni Youcanprint.
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