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Process-based CBT. I processi e le competenze cliniche di base della terapia cognitivo-comportamentale (2020) di Steven C. Hayes e Stefan G. Hofmann – Recensione

Il manuale Process-based CBT, descrivendo i processi alla base della CBT, ci porta ad identificare un obiettivo comune le tra le varie ondate e tradizioni

Di Emily Morini

Pubblicato il 04 Mar. 2021

Process-based CBT mostra al lettore la possibilità di mediare tra ricerche e costrutti afferenti le varie aree del cognitivismo clinico internazionale.

 

Gli autori, lungo il corso delle loro carriere, hanno portato avanti un dibattito tra punti di vista diversi ma, nello stesso tempo, sembrano aver affrontato con atteggiamento di apertura il loro costante confronto, mantenendo lo sguardo rivolto al futuro. Presupposti, questi ultimi, non solo per poter coltivare un’amicizia, ma anche per garantire l’avanzamento scientifico. Steven C. Hayes a partire da un approccio comportamentista, ha sviluppato una delle più note forme di psicoterapia della Terza Onda, l’Acceptance and Commitment Therapy (Hayes et al., 1999), mentre Stefan G. Hofmann, attraverso numerose ricerche sulle emozioni secondo una prospettiva interpersonale e mindfulness-based, ha portato un enorme contributo a favore del cognitivismo clinico.

Il manuale, descrivendo al lettore i processi alla base della terapia cognitivo-comportamentale, ci porta ad identificare un obiettivo comune le tra le varie ondate e tradizioni del cognitivismo e comportamentismo sviluppatesi nel tempo. Sembra saggio il tentativo di rispondere consapevolmente alle varie critiche e posizioni che interessano la CBT, vista la difficoltà dei vari esponenti lungo la linea del tempo, nel definire in maniera unitaria gli standard della pratica evidence-based; sia in termini di efficacia del trattamento, sia riguardo l’esperienza clinica del terapeuta e i rispettivi target di intervento. A tal riguardo, le idee espresse nel testo, risultano oggettive e ricche di spunti teorici ed applicativi; infatti si basano su quanto emerso dalla Inter-Organizational Task Force on Cognitive and Behavioral Psychology Doctoral Education (Klepac et al., 2012). Tale Task Force permise un incontro tra le principali organizzazioni rappresentanti le varie branche CBT e nacque grazie agli intenti dell’Association for Behavioral and Cognitive Therapies (ABCT) di definire standard educativi e di formazione per l’insegnamento di competenze aggiornate a livello di dottorato negli USA. La ABCT si formò nel 1966 accogliendo al suo interno professionisti della salute mentale rappresentanti dei vari approcci CBT.

L’ipotesi di spostare il focus dell’attenzione clinica, di ricerca e di formazione, sui processi, emerge dunque da diversi decenni di lavoro in cui gli scienziati hanno tentato di ridefinire i target dell’intervento clinico. Si fa quindi sempre più riferimento ad una visione transdiagnostica, sia per quanto concerne la comprensione della sofferenza dell’individuo, sia con l’intento di adattarvi le specifiche applicazioni.

Se allineare i disturbi mentali alle categorie diagnostiche del modello biomedico ha favorito la comunicazione tra professionisti, ponendo le basi per un primo avanzamento scientifico nella direzione di interventi più mirati, è emersa però l’esigenza di descrivere in modo meno eterogeneo i problemi psicologici. Il passaggio ad un approccio dimensionale ha favorito, infatti, il processo decisionale in ambito clinico, tuttavia, anche il costrutto di dimensione è stato più volte rivisto. Per esempio, si è giunti a definire meglio le dimensioni patologiche su cui intervenire, dando spazio ad un approccio più comportamentale e neurobiologico come quello elaborato attraverso il framework Research Domain Criteria (RDoC) (Insel et al., 2010), o riflettendo sulle implicazioni del modello di processo generativo dell’emozione di Gross, il quale ha contribuito a far chiarezza sul costrutto di disregolazione emotiva e sulle relative strategie di risposta. L’approccio a rete complessa (Complex Network Approach) (Hofmann et al., 2016) ha portato, poi, un notevole contributo nel tentativo di superare l’assunto che alla base dei disturbi mentali vi siano entità patologiche latenti. Per cui, gli elementi da osservare ai fini della comprensione di un determinato disturbo e di un intervento individualizzato, saranno interconnessi gli uni agli altri e, appunto, parte di una rete complessa. Secondo gli autori di Process-based CBT, anche le strategie di analisi funzionale e gli studi longitudinali vanno nella direzione di definire quei processi bio-psico-sociali che sono centrali negli interventi di psicoterapia. La loro ipotesi sembra dunque spostarsi efficacemente da possibili chiusure ad una dimensione di confronto, illustrando le potenzialità di ogni ala di questa famiglia di approcci (comportamentale, cognitiva, di accettazione e di mindfulness).

Integrando prospettive cliniche, neuroscientifiche ed evoluzionistiche, vengono dunque descritti i processi centrali nel trattamento di problematiche comportamentali, emotive o fisiche, a partire dall’ambito comportamentale. In particolare, gli autori spiegano i meccanismi di apprendimento che avvengono per contingenza diretta, prendendo poi in esame l’interazione tra essi ed i processi di controllo dello stimolo e di generalizzazione, ma anche riflettendo sul possibile ruolo di mediazione che hanno su di essi il linguaggio e altri processi simbolici. Per esempio, le auto verbalizzazioni possono influenzare in maniera diversa i processi di apprendimento in base alle diverse situazioni cliniche. Se l’affermazione di autoregole, almeno ad un livello covert, sembra migliorare la performance in persone con disabilità dello sviluppo (Taylor et al., 1997;  Faloon & Rehfeldt, 2008), probabilmente, invece, i processi cognitivi sottostanti le auto verbalizzazioni tipiche di una persona che riporta attacchi d’ansia, non medieranno positivamente la sua risposta di apprendimento di fronte ad uno stimolo fonte di ansia.

Esploriamo poi la cognizione, sia vista come quel processo dinamico che interessa l’elaborazione delle informazioni (Neisser, 1967) e che, meno formalmente in ambito clinico, si traduce per esempio in schemi o credenze di base, sia concettualizzata in termini funzionali-analitici. Nello specifico, gli autori invitano il lettore a percepire l’integrazione tra queste due prospettive, come una risorsa, a favore di una migliore comprensione della cognizione in ambito clinico. I processi vengono infine approfonditi in termini di emozioni e di regolazione emotiva nel contesto delle relative implicazioni cliniche.

Un approfondimento riguardo la filosofia della scienza, l’etica e il ruolo variabile della pratica, ci permette poi di ripercorrere la storia di sviluppo della CBT, mostrando al lettore in che modo tale traiettoria potrebbe progredire in termini di avanzamento scientifico. Il testo si rivela infatti utile nel caso in cui si volessero conoscere meglio quei principi più astratti che sono alla base di una pratica clinica efficace.

Questo lavoro, che mira perlopiù a proporre un modello educativo per le nuove generazioni di terapeuti, ci spinge a riflettere sulla natura del funzionamento psicologico, e sulle strategie utili ad affrontare gli specifici obiettivi di intervento, anche alla luce delle ultime applicazioni in campo di innovazione tecnologica. Nell’ultima sezione del libro, i processi e le strategie applicative, vengono affrontati con riferimento all’intervento clinico, tentando di spiegare quei principi scientifici che sono trasversali alle applicazioni terapeutiche provenienti dai diversi approcci.

Abbracciare l’ipotesi degli autori sembra quindi voler dire che è possibile maneggiare con più consapevolezza alcuni nodi cruciali della pratica clinica quotidiana in ambito CBT. Sembra per esempio, che focalizzarsi sui processi di cambiamento, sia utile per tentare di rispondere, almeno in parte, alle criticità dei protocolli specifici manualizzati. Se, da un lato è funzionale che il terapeuta, così come il ricercatore, si concentri su specifiche competenze e procedure, il rischio potrebbe essere quello di ignorare che i costrutti e i principi fondanti le sotto-strategie, sono tutt’altro che specifici. Se, inoltre, il manuale tende a diventare in maniera fuorviante l’unico oggetto di analisi per quel determinato disturbo, enfatizzandone le caratteristiche distintive che lo identificano, potrebbe non essere semplice notare la sovrapposizione tra le singole componenti.

Dunque, un brillante e complesso approfondimento che apre la mente.

Come sottolineano gli autori ‘L’obiettivo non è lo sconvolgimento; l’obiettivo è il progresso‘.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Steven C. Hayes e Stefan G. Hofmann - Edizione italiana a cura di Simone Cheli e Emanuele Rossi (2020). Process-based CBT. I processi e le competenze cliniche di base della terapia cognitivo-comportamentale. Giovanni Fioriti Editore, 2020.
  • Faloon, B. J., & Rehfeldt, R. A. (2008). The role of overt and covert self-rules in establishing a daily living skill in adults with mild developmental disabilities. Journal fo Applied Behavior Analysis, 41(3), 393-404.
  • Hayes, S. C., Strosahl, K. & Wilson, K. G. (1999). Acceptance and Commitment Therapy: An experiential approach to behavior change. New York: Guilford Press.
  • Hofmann, S. G., Curtiss, J., & McNally, R.J. (2016). A complex network perspective of clinical science. Perspectives on Psychological Science, 11(5), 597-605.
  • Insel, T., Cuthbert, B., Garvey, M., Heinssen, R., Pine., D. S., Quinn, K., et al. (2010). Research domain criteria (RDoC): Toward a new classification framework for research on mental desorders. American Journal of Psychiatry, 167(7), 748-751.
  • Klepac, R. K., Ronan, G. F., Andrasik F., Arnold, K. D., Belar, C. D., Berry, S. L., et al. (2012). Guidelines for cognitive behavioral training within doctoral psychology programs in the United States: Report of the Inter-Organizational. Task Force on Cognitive and Behavioral Psychology Doctoral Education. Behavior Therapy, 43(4), 687–697.
  • Neisser, U. (1967). Cognitive psychology. New York: Appleton-Century-Crofts.
  • Taylor, I., & O’Reilly, M. F. (1997). Toward a functional analysis of private verbal self-regulation. Journal of Applied Behavior Analysis, 30(1), 43-58.
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