Il burnout sportivo è, infatti, concettualizzato da Raedeke & Smith (2001) come una sintomatologia psico-fisiologica che comprende tre caratteristiche salienti e distinte ma empiricamente correlate che sono fondamentali per l’esperienza dell’atleta nel contesto sportivo.
Molti psicologi dello sport sostengono che le situazioni atletiche condividono molte delle stesse caratteristiche che sono state identificate nella letteratura sul burnout in contesti lavorativi, in particolare delle professioni d’aiuto (ad es. Insegnanti, infermieri, assistenti sociali, medici, agenti di polizia, ecc.).
Le caratteristiche del burnout, infatti, possono essere applicate all’ambiente sportivo competitivo in cui può verificarsi l’esaurimento fisico ed emotivo a causa delle continue richieste durante la stagione agonistica. Tuttavia, anche se la maggior parte degli atleti sperimenta frequentemente sintomi di stanchezza e esaurimento, ciò non necessariamente equivale né è assimilabile alla sindrome del burnout le cui caratteristiche peculiari non si esauriscono nella sola condizione di stanchezza psicofisica, che risulta essere una componente essenziale dell’attività sportiva.
Infatti, essere fisicamente stanchi dopo un lungo periodo di allenamento o sentirsi prosciugati dopo la stagione è normale per gli atleti, specialmente quelli professionisti.
Solitamente però, nelle situazioni normali, dopo brevi periodi di recupero, la motivazione e la determinazione ritornano rapidamente.
Ciononostante, una seppur minima percentuale di atleti, calcolata in una oscillazione tra il 1% e il 2% degli atleti professionisti, sperimenterà uno stato di esaurimento più grave e cronico che alla fine potrebbe anche sfociare in un ritiro parziale o totale dalla pratica.
Il burnout dell’atleta è, infatti, concettualizzato da Raedeke & Smith (2001) come una sintomatologia psico-fisiologica che comprende tre caratteristiche salienti e distinte ma empiricamente correlate che sono fondamentali per l’esperienza dell’atleta nel contesto sportivo:
- esaurimento emotivo/fisico;
- ridotto senso di realizzazione;
- svalutazione dello sport.
In una revisione sistematica concernente studi sul burnout realizzati negli ultimi 25 anni, Schaufeli & Buunk (2003) hanno individuato cinque differenti categorie di sintomi associati alla sindrome. Esse sono rappresentate dai seguenti 5 ambiti:
- affettivo (umore depresso, facile alle lacrime, ostilità);
- cognitivo (pensieri autosvalutanti, compromissione dell’attenzione e della memoria);
- fisico (esaurimento fisico, malattia, insonnia, fluttuazione del peso, infortuni frequenti);
- comportamentale (assenteismo, prestazioni compromesse, isolamento sociale);
- motivazionale (disillusione, mancanza di entusiasmo, facile abbattimento).
Le 5 macro categorie sottolineano, quindi, come il burnout porti a conseguenze sia su un piano psicologico che fisiologico compromettendo la salute e il benessere psicologico dell’individuo. Pertanto, da un punto di vista psicopatologico, i sintomi del burnout afferiscono alla costellazione sintomatica tipica dei disturbi dello spettro ansioso-depressivo, con tendenza alla somatizzazione e allo sviluppo di comportamenti disfunzionali.
Ma come nasce e si potrebbe sviluppare il burnout sportivo, ovvero quello che colpisce gli atleti?
In riferimento all’eziopatogenesi della sindrome del burnout, in letteratura possiamo trovare differenti interpretazioni. Tra queste, alcune attribuiscono ai soli fattori personali di natura psicologica, come la personalità, le scarse abilità sociali, le esperienze storiche traumatiche. Altri studi, soprattutto più recenti in ambito di neuroscienze, evidenziano una particolare sensibilità cerebrale che predispone a reazioni di tipo ansioso depressivo. Per altri, sono soprattutto le variabili di tipo ambientale legate al contesto socio-lavorativo o al tipo di sport, al livello di competizione presente nella squadra, alle condizioni ambientali particolari dove vengono richieste le prestazioni del singolo atleta a spiegare l’insorgenza di tale sindrome.
Attualmente, il modello biopsicosociale offre maggiori elementi, non univoci né riduzionistici, a spiegare la complessità e la specificità di un esito psicopatologico come quello del burnout sportivo.
Nonostante però la maggiore attenzione degli ultimi anni verso la sindrome in questione, l’effettuazione di una diagnosi di burnout sportivo risulta essere ancora una attività molto complessa e non sempre facile da realizzare.
Questo è soprattutto dovuto al fatto che, si tratta di un’esperienza individuale che può insinuarsi nell’atleta e che può restare inosservata per un lungo periodo di tempo.
È tuttavia possibile notare cambiamenti predittivi di un eventuale insorgenza della sindrome. Ad esempio, gli atleti a rischio iniziano a fornire una serie di prestazioni sportive negative, a manifestare una scarsa attitudine verso lo sport contrariamente a quanto avveniva fino a poco prima, a registrare cambiamenti importanti a livello emozionale e rispetto ad una serie di disturbi a livello fisico.
In particolare, nelle prime fasi del burnout sportivo, gli atleti possono semplicemente iniziare a sentirsi affaticati, stanchi, con mancanza di energia e limitata resistenza, nonostante magari mostrino esternamente segni di benessere fisico e psicologico.
È importante ribadire che questi sentori possono verificarsi in varie occasioni nello sviluppo o nella carriera di un’atleta, in diverse situazioni e a differenti livelli. Per questo, è fondamentale che i responsabili e/o gli allenatori sviluppino una sensibilità e una cultura clinica che consenta loro di scorgere i segnali prodromici al loro insorgere e ne dispongano l’invio specialistico (McGregor et al., 2014).
In questa ottica preventiva, anche lo psicologo può essere una figura preziosa.
Il ruolo dello psicologo sportivo non si esaurisce, infatti, solo nella valutazione, diagnosi e nel trattamento di condizioni cliniche, ma si realizza, anche e soprattutto, nella promozione del benessere psicofisico degli atleti e degli altri soggetti implicati, sia a livello individuale che relazionale.
Pertanto, strategie di intervento teoricamente mirate possono fornire opportunità per la prevenzione e il trattamento dei sintomi di burnout attraverso approcci di gestione dello stress e di raffinazione cognitiva focalizzati sugli atleti, nonché strategie incentrate sull’ambiente e le altre figure significativamente coinvolte nell’organizzazione sportiva.