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La paura del giudizio

La paura del giudizio è un fenomeno comune che si può presentare in forme diverse, come ad esempio ansia da prestazione, ansia sociale o ansia generalizzata

Di Stefania Gioia

Pubblicato il 05 Feb. 2021

La paura del giudizio è ritenuta essere una paura comune, provata da tutti gli esseri umani in differenti gradi, e che trova le proprie motivazioni in comportamenti di ricerca di approvazione, accettazione e vicinanza da parte dei propri simili e del gruppo di appartenenza.

 

Tutti gli individui sentono il bisogno di dare agli altri un’immagine positiva di sé, di essere approvati e giudicati in modo positivo. Questo bisogno porta talvolta a provare una normale ansia, soprattutto in alcune situazioni, come per un esame o per una presentazione importante, ma in alcuni soggetti accade che la paura del giudizio diventi una reazione esagerata per intensità e/o per durata e arrivi ad arrecare sofferenza e difficoltà psicologiche ed emotive.

La paura del giudizio si può presentare sotto forma di ansia da prestazione, di ansia sociale o di ansia generalizzata e può portare con sé conseguenze e reazioni che invalidano i tentativi di gestirla.

Nei bambini l’ansia da prestazione può manifestarsi con continue domande di adeguatezza rispetto ai disegni o ai compiti svolti, con una mancanza di autonomia e continue richieste di essere aiutati e affiancati oppure con manifestazioni di comportamenti provocatori in segno di protesta ed evitamento della situazione temuta come giudicante. L’ansia sociale potrebbe esprimersi come timore di andare a scuola, isolamento o atteggiamenti razionalizzanti come ad esempio ‘Sto bene se gioco da solo, mi piace così’. Ci potrebbero essere, inoltre, segnali di malessere più generici e legati alle funzioni primarie (cibo, sonno, controllo sfinterico ecc.) che, a una più approfondita indagine, potrebbero riferirsi a un malessere dovuto al timore di giudizi di compagni, insegnanti o genitori.

Negli adolescenti questa paura si potrebbe manifestare con atteggiamenti di perfezionismo e meticolosità, portando il ragazzo o la ragazza a occupare gran parte del proprio tempo in quell’attività e a diventare lenti e mai soddisfatti di ciò che si ottiene, oppure con atteggiamenti di esagerato menefreghismo, superiorità nei confronti degli altri e disinteresse alle critiche o ai consigli (anche quelli costruttivi).

Da adulti, solitamente, si impara a gestire sempre meglio questo timore e ad accettare l’esistenza del giudizio altrui come facente parte della realtà; si vive la critica in modo meno personale e si arriva a non lasciarsi ‘distruggere’ psicologicamente dai giudizi negativi. Conoscendo meglio sé stessi, i propri limiti e risorse, si dovrebbe arrivare ad una sufficiente accettazione delle proprie aree di fragilità.

Quando questa buona integrazione del giudizio all’interno delle proprie rappresentazioni non avviene, ad esempio in qualche area della vita che rimane altamente investita e in qualche modo irrisolta, si utilizzano strategie di gestione non sempre positive. Una di queste strategie è l’evitamento delle situazioni ritenute fonte di giudizio negativo, modalità che porta generalmente a un mantenimento e ad un aumento della paura, che, non venendo affrontata, non può essere risolta.

Nella storia dell’uomo, inoltre, il concetto di giudizio si è meritato posizioni di grande valore e importanza; in questa occasione, cito due grandi narrazioni che ritengo essere utili ai fini della comprensione di questa tematica.

Una prima narrazione è quella che appartiene alla religione cristiana: il Giudizio Universale o Finale. Essa si fonda sulla credenza che il figlio di Dio tornerà sulla Terra, alla fine dei tempi, per giudicare tutti gli uomini e, in base alla bontà o meno delle azioni commesse, destinarlo al Paradiso o all’Inferno. Questa credenza di un luogo dopo la morte, di pace o dannazione, è visione comune a molte religioni e costituisce proprio la conseguenza più o meno positiva del Giudizio Divino.

Un’altra narrazione, allo stesso tempo storica, religiosa e mitologica, fa parte dell’affascinante mondo egizio e si riferisce alla cerimonia della pesatura del cuore (o dell’anima). Questo antico rituale, condotto secondo la tradizione dal Dio Anubi, sottoponeva il defunto ad una pratica di pesatura del cuore per poter valutare la sua moralità e purezza d’animo e in base ad essa decidere della sua sorte.

Questi brevi scorci di storia religiosa e non solo, indicano come il tema del Giudizio sia profondamente radicato nella natura umana e sia così vicino ad un concetto primario e fondante ogni esistenza, quello di vita e di morte. Ciò che appare chiaro è quanto il senso di giustizia e le conseguenti credenze, aspettative e, soprattutto, paure possano minare il benessere di ciascun individuo che si ritrova alla perenne ricerca del bene e del male, del giusto e dell’ingiusto.

Molte patologie psichiche hanno tra gli aspetti caratterizzanti proprio quello della paura del giudizio, basti pensare a molti problemi legati all’ansia, alla depressione, all’anoressia nervosa, ad alcune fobie ecc.

Accompagnare i bambini a sviluppare un senso di giustizia e di moralità equilibrato (chiaro, coerente e non punitivo) è ciò che può aiutare a raggiungere, una volta da adulti e in tutto il corso della vita, un buon senso di sé come soggetti ‘abbastanza buoni’ e dunque meritevoli di cose buone. In questo modo, la persona potrà così resistere ai giudizi negativi e agli attacchi all’autostima che inevitabilmente incontrerà nella vita.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • La pesatura del cuore: il momento del Giudizio Divino secondo gli antichi Egizi.
  • Enciclopedia Treccani.
  • Kohut, Heinz 1976 Narcisismo e analisi del sé, Bollati Boringhieri, Torino 2009
  • Jung, Carl G.  1980 Gli archetipi e l'inconscio collettivo, Bollati Boringhieri, Torino 1988
  • Freud, Sigmund 1949  Il disagio della civiltà, Einaudi, 2010
  • Sassaroli, S., Lorenzini, R., Ruggiero, G. M. (a cura di), Psicoterapia cognitiva dell’ansia. Rimuginio, controllo ed evitamento. Raffaello Cortina Editore, Milano, 2006.
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