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Uso problematico dei Social Media: dalla validità del costrutto agli interventi clinici – Report dall’European Conference on Digital Psychology – ECDP 2021

ECDP 2021: nella prima giornata una sessione sull’uso problematico dei social media, a partire dalla validità del costrutto fino alle applicazioni cliniche

Di Marina Morgese

Pubblicato il 25 Feb. 2021

Aggiornato il 09 Mar. 2021 18:58

Nel corso della giornata iniziale del primo Congresso Europeo di Psicologia Digitale, una parte del programma è stata dedicata all’uso problematico dei social media.

 

L’argomento è stato affrontato nel corso delle due relazioni “Problematic Social Media Use: critical reflections on the construct in the light of fifteen years of research” condotta dalla dott.ssa Silvia Casale e “Problematic Social Media Use: Theory, Correlates and Interventions” condotta dalla dott.ssa Claudia Marino.

Uso problematico dei Social Network e validità di costrutto

Obiettivo della presentazione della Dott.ssa Casale è stimolare una serie di riflessioni critiche sulla validità del costrutto di Uso Problematico dei Social Media (PSNSU).

La diffusione dei Social Network ha portato alcuni autori a pensare che certi usi estremamente intensi vadano a nascondere un uso problematico.

Ma qual è la differenza tra un uso intenso e un uso problematico? La Dott.ssa Casale lo spiega molto chiaramente: l’anello di congiunzione tra le due modalità di utilizzo sarebbe la perdita di controllo sul comportamento. Nell’uso problematico infatti la persona presenta un’autoregolazione deficitaria rispetto al proprio uso dei Social. E’ così che alcuni autori arrivano a ipotizzare che l’utilizzo dei Social Network possa concettualizzarsi come una vera e propria dipendenza da tecnologia (dunque una dipendenza di tipo comportamentale)

Tuttavia, sottolinea la relatrice, questa visione dell’uso problematico dei social quale dipendenza comportamentale ha dato origine a un limite di natura metodologica di cui la letteratura risente ancora oggi. Billieux et al (2015) hanno avanzato infatti una critica a tale visione: gli studi in questo ambito hanno assunto a priori l’idea che l’uso problematico dei Social condividesse con le dipendenze da sostanze alcuni core symptoms, tra cui stabilità nel tempo dei comportamenti problematici, richiesta per il trattamento e alcune somiglianze neurobiologiche. Ciò significa quindi che i criteri e le caratteristiche tipici delle dipendenze da sostanze sono stati trasferiti nell’ambito dei social network e dunque l’uso problematico dei social viene a priori considerato un comportamento caratterizzato dai sei aspetti di una dipendenza da sostanza: salienza, mood modification, tolleranza, sintomi di astinenza in caso di interruzione, conflitto e ricaduta.

Imm. 1 – Dottoressa Silvia Casale

Questa concettualizzazione ha portato anche allo sviluppo di strumenti costruiti a partire da studi sulla popolazione generale, tramite cut-off ottenuti con criteri puramente statistici senza una validazione esterna, senza popolazione clinica. Quasi in una sorta di circolo vizioso, tali strumenti sono stati poi utilizzati per dare conferma della validità di costrutto dell’uso problematico dei social network, in termini di una vera e propria dipendenza comportamentale.

Stato dell’arte della ricerca sui core symptoms delle dipendenze

Tenendo in mente questo limite, la dott.ssa Casale ha passato in rassegna la maggior parte dei core symptoms delle dipendenze per arrivare a dire qual è lo stato dell’arte, rispetto alle evidenze disponibili, sulla validità di costrutto dell’uso problematico dei social network come dipendenza. Vediamoli di seguito:

1 – Regolazione degli stati emotivi negativi

Il primo criterio preso in esame riguarda la regolazione degli stati emotivi negativi: nelle dipendenze da sostanza è noto che la persona dipendente che entra in contatto con la sostanza va incontro a delle alterazioni del tono dell’umore, quindi la sostanza è usata per alterare degli stati emotivi negativi che possono essere causati anche dalla stessa sostanza in termini di sintomi di astinenza. Cosa accade con i Social Network invece?

La relatrice illustra evidenze derivanti o da case report o da studi longitudinali, volontariamente non riporta i studi cross section che dimostrano sì una correlazione tra disregolazione emotiva e un uso problematico dei social network, ma senza dare ulteriori indicazioni sulla natura di tale rapporto (che sia unidirezionale? O bidirezionale? Oppure circolare?).

Dagli studi presi in esame emerge un utilizzo dei Social Network con il fine di modificare il tono dell’umore. Alcuni dati sottolineano in particolare che la motivazione principale all’utilizzo di Social Network sia il voler alleviare la noia e che tale motivazione porti a un incremento dell’uso problematico dei social nel tempo. Dunque tali risultati metterebbero in luce due aspetti chiavi delle dipendenze: la capacità della sostanza (i social in questo caso) di alleviare stati emotivi poco tollerabili e la conseguente autoregolazione deficitaria. E’ lecito ora chiedersi: questi dati vanno allora nella direzione di un supporto rispetto alla validità di costrutto dell’uso problematico dei social network? In realtà vanno presi con cautela, indicano alcuni autori, per una serie di ragioni. Non dobbiamo dimenticare infatti che, ci ricorda la Dott.ssa Casale, a differenza della dipendenza da sostanza in cui vi sono esclusivamente l’individuo dipendente e la sostanza, nell’uso problematico dei social intervengono un’infinità di variabili tra sostanza e individuo dipendente che ci allontanano dal dire con certezza che sia la sola sostanza (i social) a favorire l’autoregolazione emotiva, al netto delle altre variabili.

2 – Sintomi di astinenza

La dottoressa Casale passa alla ricerca nell’ambito dei sintomi di astinenza. I risultati in questo caso appaiono poco convergenti. Lì dove alcuni studi trovano la presenza di un aumento di stress, una dispercezione del tempo immediatamente dopo l’interruzione dei Social Network, altri studi invece mettono in luce la presenza di un certo benessere psicologico dopo l’interruzione dell’uso dei social. Quest’ultimo risultato però potrebbe avere doppia interpretazione: il benessere post-interruzione può supportare la tesi che prima vi era un utilizzo problematico o che l’uso è associato a indicatori negativi di benessere psicologico, oppure potrebbe dirci che non ci sono sintomi di astinenza utili a collocare l’uso problematico dei social network tra le dipendenze patologiche.

3- Negative outcomes

Perché si possa parlare di un disturbo bisogna verificare che la problematica in questione sia accompagnata nel tempo da negative outcome (conflitti e problemi nell’ambiente in cui la persona vive). In questo senso, studi longitudinali nell’ambito dell’uso problematico dei social ci forniscono risultati convergenti: l’utilizzo problematico di social media è predittivo di un aumento degli stress psicologici e dei sintomi depressivi. Tuttavia questi studi si basano sugli strumenti costruiti a partire dalle ricerche viziate dal limite di cui si è parlato a nelle premesse.

4- Stabilità

Relativamente alla stabilità nel tempo dell’uso problematico dei social, la dott.ssa Casale ci parla di un recente studio che ha misurato l’andamento dell’uso problematico dei social nel tempo, trovando correlazioni significative e forti. Tuttavia, se confrontata con quella delle dipendenze da sostanze, la stabilità emersa dallo studio non risulta particolarmente convincente. Secondo altri autori invece l’utilizzo problematico dei social può essere un fenomeno dipendente dal contesto e in questo caso è facile il rimando all’attuale momento storico di limitazioni e restrizioni dovute alla pandemia in corso: l’eccessivo utilizzo dei social che tutti stiamo sperimentando andrà incontro a remissione spontanea quando l’emergenza rientrerà? Oppure peggiorerà? O, ancora, ha slatentizzato delle vulnerabilità pre-esistenti?

5- Domanda di trattamento

Per quanto riguarda la richiesta di trattamento, continua la Dott.ssa Casale, i case report sono molto pochi, così come pochi sono gli studi su popolazioni cliniche che hanno richiesto un aiuto specifico per l’utilizzo intensivo dei social. I pochi case report ci informano comunque della possibilità dell’esistenza di un uso problematico dei social network (di facebook nello specifico), sia primario (portato all’attenzione del clinico quale unica problematica) che secondario (in concomitanza ad altre problematiche).

6- Somiglianze neurobiologiche

I comportamenti di dipendenza vengono considerati da un punto di vista neuropsicologico e neurobiologico come il risultato di un equilibrio tra differenti sistemi neurali che vanno a interagire tra loro. La relatrice ci informa che ci sono sì alcune evidenze rispetto all’attivazione nell’uso problematico dei social delle stesse aree cerebrali che si attivano nelle dipendenze da sostanze, ma si tratta di studi acerbi dal punto di vista metodologico. I campioni infatti o sono molto piccoli o sono scelti in popolazioni generali non cliniche, in cui i presunti utilizzatori problematici sono distinti dagli utilizzatori non problematici sulla base di un cutoff costruito in modo statistico su una popolazione non clinica.

La dott.ssa Casale conclude il suo intervento sottolineando la necessità che la ricerca continui ad essere condotta soprattutto con campioni clinici. La parola passa in seguito alla Dott.ssa Marino con la relazione dal titolo “ Problematic Social Media Use: Theory, Correlates and Interventions”

Uso problematico dei social media: teoria e interventi

Uso dei social e adolescenti

Anche la Dott.ssa Marino inizia il soffermandosi sulla diffusione del fenomeno dei social. L’uso problematico dei social media si caratterizza come un fenomeno interessante da studiare soprattutto in adolescenza. Le evidenze scientifiche ci dicono infatti che essere sempre connessi è diventata la normalità, per cui si può iniziare a riflettere non più sulla quantità quanto piuttosto su aspetti riguardanti la qualità e quindi legati a complicazioni e compromissioni per la vita quotidiana.

La relatrice passa così ad esporre il progetto di ricerca per cui collabora, uno studio di 40 anni ormai, condotto in collaborazione con la WHO ogni 4 anni in 50 stati (in Europa e America), che fornisce una fotografia di quanto accade a livello internazionale relativamente all’uso problematico delle nuove tecnologie.

Un primo dato che emerge riguarda proprio gli adolescenti tra gli 11 e i 15 anni: circa il 7% degli adolescenti infatti potrebbe essere a rischio di uso problematico di social media. Ricollegandosi all’intervento della Dott.ssa Casali, la dott.ssa Marino precisa che lo studio si basa su una definizione di uso problematico dei social media così come avanzata da un gruppo di ricerca olandese, ovvero riferendosi al social media disorder. Recentemente si è riflettuto sul fatto che l’uso della parola disorder non fosse adeguato. Ecco allora che attualmente si fa riferimento al concetto di uso problematico dei Social Media, che riflette caratteristiche comportamentali, sociali, cognitive ed emotive che si riversano nella vita quotidiana.

Imm. 2 – Dottoressa Claudia Marino

L’uso problematico dei social media in Italia

Qual è la prevalenza del fenomeno in Italia e il suo impatto sul benessere? Quali sono i potenziali fattori di rischio e come si potrebbe prevenire un utilizzo non controllato dei Social Media? La dottoressa ci presenta tre studi volti ad approfondire le domande.

Diffusione e impatto sul benessere

Il primo studio di cui ci parla la dott.ssa Marino ha avuto come campione ragazzi italiani tra gli 11 e i 15 anni. Attraverso l’utilizzo di strumenti standardizzati, i dati raccolti ci dicono come in Italia circa il 9% degli adolescenti va incontro al rischio di essere definito un utilizzatore problematico di Social Media, con una maggioranza del genere femminile. La fascia d’età più a rischio è quella dei 13enni.

Relativamente all’impatto sul benessere, gli utilizzatori problematici hanno più probabilità di riportare sintomi somatici. Dal punto di vista psicologico invece, gli utilizzatori problematici riportano spesso dei cali dell’umore.

Fattori di rischio

In merito ai fattori di rischio invece, la dott.ssa Marino presenta i risultati di un secondo studio che testa l’influenza del gruppo dei pari. Questa variabile, nella letteratura sui social media, è ancora poco studiata. Nello studio in questione la parte sociale è stata unita a una parte di regolazione delle emozioni in un campione di adolescenti italiani che utilizzano Instagram, Whatsapp e Facebook. Sono state misurate le norme sociali, ovvero la percezione di ciò che gli altri si aspettano da noi, e le e-motion che si riferiscono ad alcune dimensioni dei Social Media relative all’espressione emotiva ma anche alle credenze relative ai benefici dei Social Media sui processi di pensiero, di decison making, di problem solving, ecc. I risultati emersi ci dicono che, per gli adolescenti, la percezione di ciò che i pari ritengono importante fare all’interno di un gruppo ha un effetto diretto sull’utilizzo problematico dei social, aumentandone la probabilità di insorgenza.

Al contrario, la percezione dell’uso dei social fatto dal gruppo di pari non ha un effetto diretto sull’utilizzo problematico, quanto piuttosto indiretto: più l’adolescente percepisce che gli amici utilizzano i social in modo intenso, più li utilizzerà anche lui andando incontro a un uso problematico. I fattori sociali dunque possono essere implicati in questo ambito e, per rendere più chiara questa implicazione, la relatrice ci invita a riflettere sullo stress che spesso origina dalle spunte blu di whatsapp.

Dal punto di vista emotivo, le difficoltà di regolazione emotiva avrebbero un effetto diretto sull’uso problematico dei social media: i social diventano dunque strategie di coping per affrontare gli stati emotivi negativi. Questo non si traduce sempre in qualcosa di negativo: ad esempio è stato visto che esprimere, in momenti di difficoltà, le proprie emozioni sui social, non sarebbe collegato a un uso problematico di questi e quindi potrebbe davvero avere un aspetto funzionale di sollievo da stati poco tollerabili. Ciò che potrebbe essere un potenziale problema invece è il credere che, esprimendo le proprie emozioni sui social, possano migliorare le relazioni con i propri contatti, il proprio stile cognitivo e di decision making.

Trattamento e prevenzione

Cosa fare allora? Non esistono ancora evidenze molto forti rispetto all’efficacia di interventi specifici. La letteratura ad oggi suggerisce che la CBT può rivelarsi efficace nel trattamento dell’uso problematico dei social media. Il gruppo di ricerca della Dott.ssa Marino, con la collaborazione con il Dott. Spada, ha avviato un lavoro che prende in considerazione i processi metacogntivi implicati nel problema. Un lavoro che sembra essere molto promettente.

Ciò che spesso passa in secondo piano è il tema della prevenzione, a questo proposito la relatrice ci parla del progetto Cyberscuola che si pone come obiettivo proprio quello di agire in questa direzione. Attivo dal 2017 al 2019 nelle province di Padova e Rovigo, il progetto ha previsto 3 incontri di due ore ciascuno in ogni classe. Gli incontri sono stati interattivi ed esperienziali, caratterizzati sia da attività off-line che on-line: quindi dopo aver fatto uno screening iniziale sull’uso problematico dei social media a livello personale, nel primo incontro sono state avviate delle attività di classe che potessero modificare le norme sociali. Nel primo dei tre incontri, si è tentato di raggiungere un accordo tra i compagni su come si può rispondere ai messaggi su WhatsApp, sui contenuti a cui è importante mettere una reazione su Instagram e sul valore di un like (modificando così le idee sul proprio comportamento e su quello dei compagni). Nel secondo incontro ci si è concentrati sulle motivazioni, sul coping e sulla regolazione emotiva, mentre il terzo incontro ha previsto delle attività sulla costruzione dell’identità sociale. Sui 900 adolescenti del campione, è stato registrato un decremento del rischio alto e un ottimista aumento del basso rischio, con una generale diminuzione dell’uso problematico dei social nei ragazzi.

Ciò che sembra chiaro è il ruolo importante di norme sociali e regolazione emotiva nell’utilizzo problematico dei social, l’invito della Dott.ssa Marino è quello dunque di promuovere un uso sempre più positivo delle tecnologie a partire da queste due variabili.

 

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Marina Morgese
Marina Morgese

Caporedattrice di State of Mind

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