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L’impatto del COVID -19 sulla salute psichica della società. Il ruolo del fattore neurotrofico derivato dal cervello e possibili interventi

Il Covid-19 ha modificato abitudini e stili di vita, contribuendo a far assumere comportamenti potenzialmente dannosi per la salute psicofisica

Di Giacinto D`Urso

Pubblicato il 19 Feb. 2021

Studi recenti sul Covid-19 hanno dimostrato che lo stress e la mancanza di significativi rapporti interpersonali hanno reso sempre più comune la diagnosi di disturbi del sonno, cali del tono dell’umore, apatia, stati ansiosi, disturbo da stress post traumatico, depressione e disturbi di personalità.

 

Ormai è noto che il COVID-19 ha profondamente modificato abitudini e stili di vita, contribuendo a far assumere comportamenti che possono risultare dannosi per la salute psicofisica. Inoltre, il lockdown ha imposto una lunga esperienza di isolamento sociale che ha lasciato gli individui privi di difese di fronte all’intenso bombardamento mediatico sull’andamento del coronavirus, alla paura di perdere il proprio lavoro, di potersi ammalare e di non poter ricevere assistenza o cure adeguate oltre che al trauma legato ad una diagnosi o ad un lutto inaspettati.

Al riguardo, studi recenti (Kwong & al, 2020 e Tacquet & al, 2020) hanno dimostrato che l’esposizione a forti stress e a una condizione psicologica caratterizzata dalla mancanza di significativi rapporti interpersonali hanno reso sempre più comune la diagnosi di disturbi del sonno, cali del tono dell’umore, apatia, stati ansiosi, disturbo da stress post traumatico, depressione e disturbi di personalità (Nenov-Matt & al, 2020). Gli anziani in particolare rappresentano il gruppo sociale nel quale il virus ha mietuto il maggior numero di vittime e ha bruscamente interrotto le abitudini attive (cucire, ricamare, attività artistiche, lettura) le relazioni sociali e l’attività fisica (Di Santo & al, 2020). Tale quadro di situazione, associato ad una maggiore solitudine, può aumentare del 40% il rischio di declino delle capacità cognitive e nel tempo di demenza (Sutin & al., 2018).

Ciò può trovare una possibile spiegazione (Buchman & al, 2016) nella riduzione dei valori del fattore neurotrofico derivato dal cervello (BDNF), una neurotrofina che contribuisce in modo rilevante alla sopravvivenza e alla produzione dei neuroni oltre che all’attivazione dei processi di neuroplasticità. E’ stato, infatti, osservato (Notaras & van den Buuse, 2020) che questa neurotrofina è direttamente coinvolta nei processi di adattamento fisiologico (resilienza) ad eventi stressanti e che una riduzione dei livelli di BDNF, oltre a rallentare la sinaptogenesi e la neurogenesi, rappresenta il comune denominatore di molte malattie e disturbi  (ivi incluse l’ansia, la depressione e il declino cognitivo) che si caratterizzano per anomalie nei processi cognitivi e di elaborazione delle emozioni a causa di malfunzionamenti delle aree cerebrali preposte alla loro regolazione (Price & Duman, 2020).

Risulta quindi molto importante pensare interventi di psicoeducazione che consentano di aumentare la consapevolezza sulla necessità di mantenere uno stile di vita sano (che includa una attività motoria e un adeguato regime alimentare), di essere curiosi, di coltivare interessi, passioni e hobby che facilitino l’inclusione sociale. E’ altresì utile cercare di rinforzare la resilienza familiare promuovendo l’ascolto attivo e il sostegno reciproco tra i membri della famiglia oltre che sviluppare una adeguata capacità di gestione dello stress e delle emozioni anche attraverso il ricorso alla mindfulness e agli esercizi di bioenergetica.

Occorre, inoltre, prendere atto che la pandemia ha proposto in modo forte la necessità di integrare il supporto psicologico nell’ambito dell’assistenza di base del cittadino e di facilitare al contempo l’accesso a questi servizi di pubblica utilità. Infine, è imprescindibile sviluppare una coscienza comune che permetta di abbattere pregiudizi e di rendere normale il ricorso allo psicologo nei momenti di difficoltà.

 

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