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La comunicazione psico-tecnologica nel disturbo dello spettro autistico

Le persone con autismo usano strategie di processamento delle informazioni diverse, richiedendo quindi modalità specifiche per facilitare la comunicazione

Di Concetta Papapicco

Pubblicato il 04 Feb. 2021

La comunicazione è una relazione a due vie, dove sono coinvolti due interlocutori, è per questo motivo necessario che anche gli individui non autistici imparino a relazionarsi secondo modalità di comunicazione comprensibili a persone con autismo.

 

Dottore: Raymond? Sai cos’è l’autismo? 
Raymond: Sì. 
Dottore: E tu sei autistico? 
Raymond: … Non credo. No. Assolutamente no. (dal film Rain man, 1988).

La costruzione di una relazione rappresenta la base di qualsiasi intervento educativo e riabilitativo. Questa premessa diventa determinante nel caso in cui si debba instaurare una relazione con soggetti che presentano un disturbo dello spettro autistico, caso in cui tra gli aspetti sintomatologici è presente l’alterazione qualitativa della relazione stessa, ma soprattutto della comunicazione con la presenza di almeno di uno dei seguenti sintomi (DSM 5): (a) ritardo o totale mancanza dello sviluppo del linguaggio parlato (non accompagnato da un tentativo di compensazione attraverso modalità alternative di comunicazione come gesti o mimica); (b) in soggetti con linguaggio adeguato, marcata compromissione della capacità di iniziare o sostenere una conversazione con altri; (c) uso di linguaggio stereotipato e ripetitivo o linguaggio eccentrico; (d) mancanza di giochi di simulazione vari e spontanei, o di giochi di imitazione sociale adeguati al livello di sviluppo.

Ciò non significa che le persone autistiche non siano in grado di comunicare, al contrario presentano strategie di processamento delle informazioni diverse rispetto a ciò che avviene negli individui non autistici, in quanto riescono a sviluppare molteplici stili cognitivi e modi per selezionare le informazioni, concettualizzarle, memorizzarle, richiamarle alla memoria e usarle. Nel 1994, la psicologa Tager-Flusberg parlò di dissociazione tra forma e funzione nell’acquisizione del linguaggio, cioè di una marcata asincronia tra lo sviluppo della funzione comunicativa e l’acquisizione della grammatica da parte dei soggetti autistici. Prendendo in considerazione i pronomi di prima e seconda persona, la studiosa rileva che gli errori si concentrano nell’inversione ‘io/tu’, pertanto ipotizzò che il problema fosse ‘nella comprensione della diversità pragmatica del ruolo tra parlante e ascoltatore, ma non nel trattamento degli aspetti sintattici del sistema pronominale’ (Brandi, 2005, 169). Tager-Flusberg concluse, quindi, che lo sviluppo del linguaggio non comporta di necessità un parallelo sviluppo della competenza comunicativa.

La comunicazione è una relazione a due vie, dove sono coinvolti due interlocutori, è per questo motivo necessario che anche gli individui non autistici imparino a relazionarsi secondo modalità di comunicazione comprensibili a persone autistiche. Alcune di queste metodologie sono:

  • la comunicazione facilitata (facilitated comunication-CF), una tecnica sviluppata in Australia negli anni Settanta ad opera di Rosemary Crossley che rientra nelle strategie di comunicazione aumentativa alternativa, cioè forme di comunicazione che sostituiscono, integrano o aumentano il linguaggio verbale orale. ‘La caratteristica distintiva della CF è la presenza di un facilitatore che fornisce un aiuto emotivo e mantiene un contatto fisico con la persona con disabilità mentre questi usa un ausilio comunicativo, tipicamente la tastiera di un computer’ (Wehrenfennig & Surian, 2008, 437). Durante la CF, il facilitatore (un caregiver o operatore) aiuta la persona autistica (il comunicatore) a compiere i movimenti, toccandone la mano o la spalla, mentre il comunicatore indica la lettera su una tastiera di un computer o su una tavola alfabetica. Dopo la digitazione, il facilitatore riporta la mano del comunicatore nella posizione iniziale, al fine di evitare errori di battitura. Il ruolo del facilitatore è anche quello di supportare emotivamente la persona con disturbo dello spettro autistico;
  • l’impiego di segni universali, utilizzabili in qualsiasi contesto, possono essere facilmente messi in sequenza per ottenere una frase. Essendo la persona autistica molto legata alla realtà concreta, i segni devono essere molto vicini in termini di somiglianza all’oggetto che si intende comunicare;
  • la comunicazione per mezzo di oggetti, in quanto le persone con autismo usano spontaneamente gli oggetti per mettersi in relazione con gli altri, ma invece di posizionare l’oggetto vicino all’interlocutore, lo mettono vicino alla cosa desiderata. L’operatore, perciò, dovrebbe far comprendere che il fine desiderato può essere raggiunto soprattutto per mezzo dell’interlocutore;
  • l’uso di immagini e pittorgrammi attraverso una strategia definita PECS (Picture Exchange Communication Sistem), che permette una comunicazione immediata. L’operatore sceglie le immagini migliori per facilitare la comunicazione, successivamente si insegna al comunicatore come associare le immagini all’elemento appropriato, si avvia così lo scambio tra immagine e elemento che si svolge tra terapeuta e persona autistica. Le immagini verranno poi poste su una base in velcro che aiuterà a comprendere le associazioni, ciò aiuterà il comunicatore a gestire due variabili: il significato e il significante;
  • l’uso della musica che aiuta la persona autistica ad esprimere le proprie emozioni, infatti se la persona autistica mostra una certa propensione verso la musica, il suono e il ritmo, possono migliorare le capacità comunicative e il comportamento verso se stessi e verso gli altri.

Le tecnologie, perciò, possono aiutare i soggetti autistici a comunicare perché si pongono tra la persona e la società, in modo soprattutto da favorire l’integrazione. Però, da sole le tecnologie non fanno integrazione, risultano essere una risorsa importante per risolvere problemi, ma vanno proposte con attenzione e un certo livello di preparazione, senza sottovalutare possibili esiti o conseguenze. Un esempio di mediatori sociali, utilizzati per aiutare i bambini con autismo a comunicare e ad apprendere, sono i robot. Dopo aver conosciuto le preferenze del bambino, si aiuta a scoprire il mondo esterno giocando. Il gioco, sviluppato tramite questa interazione con il robot, risulta essere una modalità innovativa di integrazione sociale perché entra in contatto con il bambino, permettendogli di esprimere emozioni e interagire con gli altri, senza però spaventarlo. Con questo esempio, è possibile comprendere come l’impiego di tecnologie fornisca alla persona con autismo degli strumenti in più con cui comunicare, con cui interagire e con cui conoscere il mondo che la circonda e verso il quale si dimostra spesso assente.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Brandi, L. (2003). Tra musica e linguaggio: alle origini della parola. Quaderni del Dipartimento di linguistica, Università di Firenze, 13, 31-53.
  • Brandi, L. (2005). Linguaggio e comunicazione: dis/giunzioni autistiche. Quaderni del Dipartimento di Linguistica-Universita di Firenze, 15, 169-192.
  • Siega, S. (2009). Piccoli robot: casi di impiego con alunni diversamente abili. in Atti DIDAMATICA.
  • Wehrenfennig, A., & Surian, L. (2008). Autismo e comunicazione facilitata: Una rassegna degli studi sperimentali. Psicologia Clinica Dello Sviluppo, 12(3), 437-464.
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