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Maladaptive daydreaming: essere prigionieri dei propri sogni ad occhi aperti

Il Maladaptive daydreaming porta il soggetto a creare fantasie strutturate e complesse con una vera e propria trama e personaggi, proprio come in un film

Di Silvia Gervasi

Pubblicato il 20 Gen. 2021

Aggiornato il 22 Gen. 2021 13:59

Fantasticare è una normale attività della mente, che assume solitamente carattere necessario e stimolante per l’uomo nella vita di tutti i giorni, ma non è così nel caso del Maladaptive Daydreaming (MD), che finisce col diventare una condizione profondamente invalidante.

 

Eli Somer ha individuato e definito per la prima volta questo disturbo nel 2002; la traduzione letterale è proprio ‘sognare ad occhi aperti disadattivo’ ed è definito come ‘un’estesa attività della fantasia che sostituisce l’interazione umana e/o interferisce con il funzionamento scolastico, interpersonale  o professionale‘ (p. 197, trad. dell’autore).

Tale definizione si distacca completamente dal semplice concetto di fantasticare, diventando una condizione grave proprio in considerazione del tempo speso, dei contenuti e della mancanza di controllo delle fantasie e dell’esperienza stessa, traducendosi dunque in una condizione di sofferenza che interferisce con il naturale e corretto funzionamento quotidiano (Gervasi et al, 2019).

Questa condizione è più sviluppata di quanto si possa pensare. Infatti, attualmente esistono centinaia di pagine, siti web, blog personali e testimonianze su canali youtube in cui individui provenienti da tutto il mondo condividono le proprie esperienze e angosce, riguardo la presenza di questi sintomi e dell’enorme mole di tempo legata proprio alla creazione di vividi e strutturati sogni ad occhi aperti. Questi individui si definiscono ‘Maladaptivedaydreamers’ (MDers) ed espongono anche tutta una serie di comportamenti ripetitivi e rituali, associati a questa condizione, come il camminare avanti e indietro, comportamenti che si traducono appunto in ulteriore tempo sottratto alle normali faccende quotidiane. Questi individui tuttavia trovano in questi gruppi e/o comunque punti di raccolta di informazioni, degli strumenti fondamentali per confrontarsi, in quanto prima di scoprire questi siti credevano di essere i soli a soffrire di questo insolito comportamento (Somer, Somer e Jopp, 2016a).

Inoltre si dimostrano molto sorpresi e sollevati per il fatto di scoprire di non essere gli unici ad avere tali abitudini e comportamenti, unitamente alla presenza di informazioni su tali siti e il fatto che gli venga fornita la definizione di Maladaptive Daydreaming. Questo gli permette di interagire con gli altri MDers, chiedendo consigli su come smettere o a loro volta dandoli (Gervasi et al, 2019).

Molti MDers affermano di aver cercato in precedenza una cura o un aiuto dai professionisti della salute mentale ma da alcuni di questi il loro MD era stato minimizzato, etichettato come clinicamente insignificante oppure mal diagnosticato e attribuito a qualche altro disturbo (Somer, Somer, &Jopp, 2016b).

In cosa consiste?

Il Maladaptive Daydreaming porta il soggetto a creare fantasie strutturate e complesse che prevedono una vera e propria trama e dei personaggi, proprio come in un film; ad innescare tali processi creativi sono dei veri e propri rituali, come uno specifico suono, la musica o la tv, ovvero i cosiddetti triggers mentre ad accompagnarle è la cosiddetta attività cinestetica, che comprende il passeggiare avanti e indietro o la messa in atto di vere e proprie espressioni facciali connessi alle emozioni sperimentate durante le fantasia come la felicità o la tristezza (Gervasi et al, 2019).

Il Maladaptive Daydreaming può essere concepito sia come una forma di dissociazione dalla realtà circostante, in quanto ci si immerge in una realtà illusoria (Somer et al., 2016a) attraverso una disconnessione dagli stimoli reali (Ross, Joshi, &Currie, 1990,1991) sia una forma di dipendenza in quanto l’individuo non può più fare a meno dei propri sogni ad occhi aperti ( ollander, 1993).

A differenza dei sogni notturni (Freud, 1899, Rizzuto, 1991), che hanno a che vedere con il meccanismo di difesa della rimozione, avendo come scopo quello di soddisfare un desiderio infantile represso, la finalità delle fantasie è quella di ridurre dei sentimenti di vergogna patologica, e hanno a che vedere con il meccanismo della dissociazione (Winnicott, 1990).

Il ruolo della vergogna

Un ruolo fondamentale nella generazione di queste fantasie potrebbe ricoprirlo la presenza di traumi pregressi (Somer,2002), per cui il soggetto potrebbe immergersi in questa realtà alternativa illusoria, proprio per sottrarsi al sopravvento delle emozioni negative associate al riemergere di questi traumi, finendo però col restare intrappolati in queste fantasie (Bigelsen et al, 2016). La vergogna associata a queste emozioni traumatiche spinge con forza l’individuo a rifugiarsi nel suo mondo immaginario (Gabbard, 2007), e l’attività cinestetica assume una valenza fondamentale proprio per allontanarsi da tutti e non essere scoperti (Bigelsen&Schupack, 2011).

Ad avallare il fatto che la vergogna e il distacco possano giocare un ruolo fondamentale è stato anche lo studio condotto da Schimmenti e collaboratori del 2019, effettuato su un gruppo di 135 MDers confrontati con un gruppo di controllo. Dai risultati di questo studio si evince che molto spesso nel Maladaptive Daydreaming non solo siano presenti disturbi dissociativi, ma anche altri percorsi e sintomi patologici di varia natura fino a disturbi di personalità disadattivi e sentimenti di vergogna. Proprio partendo da queste evidenze, gli autori hanno ipotizzato diverse teorie: innanzitutto che il bisogno di percepire la grandiosità del proprio sé sia soddisfatto proprio da tali fantasie, e che quindi l’individuo che attua questo distacco dalla realtà e dalle relazioni reali, possa provare piacere solo immergendosi in questi mondi di fantasia o che la loro presenza disadattiva potrebbe essere associata ad una vulnerabilità narcisistica. Quindi il Maladaptive Daydreaming potrebbe addirittura essere un mezzo efficace che porta l’individuo a dedicarsi con maggiore sicurezza alle attività della vita quotidiana, proprio perché riesce ad allontanarsi e distrarsi da questi sentimenti di vergogna. E inoltre è stato anche ipotizzato che tali sentimenti di vergogna esperiti dal soggetto potrebbero essere proprio considerati come una conseguenza del Maladaptive Daydreaming (Gervasi et al, 2019).

Il confine tra normalità e patologia

Riguardo alle caratteristiche che differenziano il daydreaming adattivo da quello patologico, in primis vi potrebbe essere proprio l’interpretazione che il soggetto stesso dà del proprio fantasticare. Infatti, i soggetti che ricorrono alla fantasia in maniera adattiva, la utilizzano nel migliore dei modi, tanto da incrementare i sentimenti positivi su se stessi e figurarla come una vera e propria risorsa, mentre i MDers, interpretano tale attività solo come un’evidente prova della loro vergogna, debolezza ed inadeguatezza (Somer,2002).

Dagli studi di Bigelsen e Schupak (2011) su individui che soffrono di Maladaptive Daydreaming, in relazione all’interferenza con il funzionamento quotidiano e la quantità, vengono riportate medie del tempo speso a fantasticare che vanno da 1 fino a 10 ore.

Si evidenzia la differenza tra le attività mentali di rievocazione considerate normali (come il pensare a eventi passati o immaginare i futuri), dove i soggetti tornano alle loro attività e alla realtà senza alcuno sforzo, e le fantasie che invece generano una vera e propria sofferenza, impedendo un’adeguata concentrazione e sottraendoli al ritorno alla realtà concreta (Gervasi et al,2019).

Altro elemento chiave è la difficoltà di limitare il daydreaming: la generazione di tali sogni ad occhi aperti avviene in maniera consapevole e senza particolare sforzo da parte dell’individuo ma ciò che non riesce a controllare è proprio l’impulso a creare tali fantasie (Bigelsen&Schupak, 2011).

Anche se l’individuo che ne soffre continua ad avere la capacità di sottrarsi a queste fantasie quando richiesto dal mondo esterno e in presenza di relazioni reali esterne, tuttavia talvolta la possibilità di limitare il daydreaming sembra non avere successo e comunque anche quando viene interrotto permane nell’individuo un irrefrenabile impulso di tornare al mondo generato dalla propria fantasia (Bigelsen et al, 2016).

Nel daydreaming, il soggetto possiede straordinarie qualità e soprattutto l’approvazione degli altri personaggi, cosa che non avviene nel mondo reale, diventando così una realtà alternativa ben più stimolante di quella circostante (ibidem).

L’ultima differenza significativa può essere assunta dalla presenza nel MD dell’attività cinestetica, (Bigelsen et al, 2016). Differentemente dal daydreaming normativo, i soggetti affetti da tale disturbo riescono ad immergersi quasi completamente nelle loro fantasie, tanto da esperire stimoli uditivi, visivi o sensoriali sempre più forti e coinvolgenti (Bigelsen et al, 2016).

 

 

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