I vissuti di inadeguatezza, incompletezza, impotenza e perdita di speranza e la comparsa di ansia, depressione e pensieri suicidari spingono le donne infertili in una crisi che invade la sfera personale e relazionale e che deve fare i conti con un evidente stigma sociale.
I tempi sono cambiati: i modelli culturali attuali sono diversi da quelli del secolo scorso e le donne hanno più spazi per affermarsi nel mondo del lavoro, per acquisire un ruolo sociale e professionale che le soddisfi e per mirare a una gratificazione personale non connessa unicamente alla cura dei figli, della famiglia e della casa. Le nuove scelte di vita tuttavia, per ragioni di tipo economico o legate all’ampliamento delle proprie opportunità educative e occupazionali, posticipano il periodo di vita in cui il desiderio di gravidanza insorge e si traduce in un progetto (Kelly-Weeder, Cox, 2008).
La principale causa di infertilità femminile è l’età. Si registra un incremento di donne infertili sopra i 35 anni, età oltre la quale la capacità riproduttiva si riduce: è necessario più tempo per concepire, la frequenza dei rapporti sessuali tende a diminuire, l’ovario diventa meno efficiente, la probabilità di anormalità cromosomiche incompatibili con la vita aumenta e si riscontra un incremento di aborti spontanei, il 50% dei quali è rilevato dopo i 40 anni (Roupa, Polikandrioti, Sotiropoulou, Faros, Koulouri, Wozniak, Gourni, 2009).
In contrasto con la tendenza a posticipare la maternità, in molte culture la genitorialità è considerata ancora oggi un’importante transizione di vita e di conseguenza l’esperienza stressante dell’infertilità femminile è associata a un ampio spettro di disagi e problematiche psicologiche. Le donne infertili tendono a provare sentimenti negativi nei confronti di loro stesse e degli altri, appaiono più vulnerabili degli uomini agli stimoli ambientali correlati alla riproduzione – come la vista di un’altra donna incinta – ed è probabile che sviluppino pensieri dolorosi e intrusivi legati all’infertilità (Agarwal, Gupta, Sharma, 2005). Tendono a perdere il supporto sociale e ad avere problemi nelle relazioni a causa dello spiccato senso di vergogna per essere incapaci di concepire un figlio, che talvolta combattono sviluppando un “sense of entitlement”, cioè l’idea che ogni cosa nel mondo sia loro dovuta (Akhter, Jebunnaher, 2012).
In seguito al fallimento della procreazione medicalmente assistita, la maggior parte delle donne presenta elevati livelli di ansia e in un quarto di esse si rileva la presenza di pensieri suicidari; il maggiore impatto emozionale si verifica in seguito al fallimento del primo ciclo del trattamento e può persistere per settimane, nonostante l’intensità sia determinata da variabili individuali, come una maggiore predisposizione all’ansia o la presenza di sintomi depressivi precedenti al trattamento (Ardenti, Campari, Agazzi, Battista, 1999).
I vissuti di inadeguatezza, incompletezza, impotenza e perdita di speranza e l’insorgere di ansia, depressione e pensieri suicidari comportano il profilarsi di aspettative negative rispetto al futuro; sono inoltre considerati un importante fattore nei trattamenti all’infertilità, poiché riducono sia la collaborazione e le possibilità di successo del trattamento, sia la capacità di superare l’evento e ricostruire la propria vita rinunciando all’aspetto della maternità (Patel, Sharma, Kumar, 2018). Le difficoltà psicologiche, a livello di emozioni negative o di sintomi psicopatologici, sono accresciute dal fatto che le donne spesso si trovano ad affrontare lo stigma sociale.In culture anche molto diverse fra loro, infatti, un fallimento nella riproduzione può esporre socialmente a una forte disapprovazione. La letteratura scientifica ha evidenziato l’importanza del contesto socioculturale nel definire l’esperienza vissuta di infertilità, che è più difficile in società che enfatizzano la centralità della genitorialità per la definizione dell’identità femminile (Missmer, Seifer, Jain, 2011). In Turchia, ad esempio, uno studio evidenzia come la diagnosi di infertilità crei stigmatizzazione ed esposizione a un linguaggio negativo (Kaya, Oskay, 2019). Le donne infertili in Giordania sono descritte come se avessero le “ali spezzate”; sono definite donne a metà, rami secchi e alberi privi di vita (Daibes, Safadi, Athamneh, Anees, Constantino, 2018). Nella cultura nigeriana le donne devono avere figli per poter comprendere la loro femminilità, mentre se restano prive di figli sono escluse dalla partecipazione alle attività sociali ed è loro proibito toccare i bambini (Hollos, Larsen, Obono, Whitehouse, 2009).
La visione della donna infertile nella società occidentale è caratterizzata da idee di anormalità ed emarginazione. In Italia, in particolare, la forte influenza religiosa porta le donne che non possono realizzare il proprio desiderio di maternità a sentirsi incomplete e inadeguate, nonostante la tendenza attuale conduca molte di loro a posticipare l’età in cui diventare madri.
I vissuti psicologici ed emotivi delle donne infertili sono molteplici e pervasivi in ogni sfera di vita. È importante pertanto che la psicologia si ponga come ausilio nella legittimazione sociale di questa condizione che riguarda uno spaccato sempre più ampio dell’universo femminile e che sostenga le donne infertili nell’elaborazione dei vissuti negativi, promuovendo il recupero di un livello di benessere tale da permettere alle donne di reinvestirsi in altre aree progettuali e generative della vita.