Il rischio di alti livelli di stress, depressione e ansia è frequente tra i parenti di una persona con tumore maligno cerebrale primario; le persone vicino al malato oncologico, infatti, vengono investite di una responsabilità totale e devono fare esperienza di dilemmi etici legati alla cura.
Il tumore maligno cerebrale primario (PMBT) è associato a una prognosi sfavorevole e a un’aspettativa di vita media di 12-15 mesi (Khasraw, Ameratunga, Grant et al., 2014). Il piano terapeutico di solito consiste in un intervento chirurgico, radioterapia ambulatoriale e chemioterapia (Weller, vandenBent, Hopkins et al., 2014) che richiede 9-10 mesi (Danish National Board of Health. Pakkeforløb for kræft i hjernen [Brain cancer pathway]). Il trattamento mira alla sopravvivenza e a mantenere o migliorare la qualità di vita del paziente.
A seconda della localizzazione del tumore e degli effetti collaterali del trattamento, i pazienti possono sperimentare effetti collaterali quali inappetenza, nausea, vomito e debolezza fisica, vari deficit neurologici e cognitivi, che riguardano la concentrazione, l’attenzione, la memoria, disturbi funzionali, crisi epilettiche (Boele, Klein, Reijneveld, 2014; Chang, Parney; Huang, 2005), e cambiamenti di comportamento e personalità (Cavers, Hacking, Erridge et al., 2012; Andrewes, Kaye et al., 2003). Al momento della diagnosi, circa il 95% dei pazienti ha riscontrato problemi cognitivi, fisici, sociali o psicologici (Day, Gillespie, Rooney et al., 2016).
Rispetto ad altri tipi di cancro, i sintomi specifici della PBMT fanno sì che i pazienti abbiano maggiore bisogno di aiuto e sostegno (Ostaghe, Gaertner et al., 2010), cosa che spesso si ripercuote sui loro parenti (Hackel, Hoser et al., 2018). Il processo di malattia è descritto dai parenti come un tempo ricco di rapidi cambiamenti (McConigley, Lobb et al., 2010): in un breve lasso di tempo, i parenti devono adattarsi a nuovi ruoli e responsabilità di cura (McConigley, Lobb et al., 2010; Sterckx et al.,2013). I compiti frequentemente segnalati sono: l’assistenza alle attività di base di vita quotidiana, la somministrazione di farmaci, l’organizzazione e la partecipazione agli appuntamenti ospedalieri, il supporto emotivo e sociale, la gestione dei cambiamenti comportamentali (McConigley, Lobb et al., 2010); a causa dei deficit cognitivi e delle capacità decisionali, spetta ai parenti prendere decisioni riguardanti le attività quotidiane dei pazienti, i compiti di cura e di trattamento che coinvolgono la loro qualità di vita e la durata della vita (McConigley, Lobb et al., 2010; Pii, Juhler et al., 2015; Sherwood, Given, Doorenbos, 2004; Madsen and Pulsen, 2011) , infatti, i parenti diventano responsabili della casa, della famiglia e delle finanze (Pii, Juhler et al., 2015; Schubart, Kinzie and Farace, 2008), generando in loro un senso di responsabilità totale (Sherwood, Given, Doorenbos, 2004). Rischio di stress, depressione e ansia sono frequentemente documentati tra i parenti di una persona con PMBT (Sherwood, Given, Given, 2006; Stieb, Fischbeck, Wagner, 2018). Per sviluppare una comprensione più profonda della complessa situazione in cui i parenti si ritrovano, un recente studio si è concentrato sull’esplorazione delle loro esperienze di dilemmi etici di cura.
Per la raccolta dati è stata utilizzata la Brinkmann’s semi-structured research interview. Il setting consisteva nel reparto di oncologia in un ospedale universitario in Danimarca. I pazienti sono stati trattati con radioterapia e chemioterapia dopo una resezione neurochirurgica. I coniugi spesso accompagnavano il loro partner all’ospedale, il che permetteva di reclutare i partecipanti a questo studio. I partecipanti (N=10) sono stati selezionati in base al criterio secondo cui vivevano con un partner PMBT in cura, e li supportavano nella vita di tutti i giorni.
Dai risultati è emerso che la vita quotidiana dei coniugi era caratterizzata da continue oscillazioni i in termini di umore, stati emotivi e comportamenti rispetto al periodo precedente alla malattia. Spesso i cambiamenti menzionati riguardavano fluttuazioni dell’umore, rabbia, irritabilità e testardaggine. La cura era caratterizzata, da un lato, dal desiderio di fare la cosa giusta per il partner, mentre dall’altro, dal cambiamento di comportamento e di personalità del partner stesso che rendeva difficile fare la cosa giusta. Con il passare del tempo, i partecipanti hanno riferito il crescente bisogno di aiuto e sostegno da parte del partner, contribuendo alla frustrazione e alla disperazione, perciò il dilemma dei coniugi consisteva in arrendersi o resistere. Nel presente studio, gli autori hanno raggruppato le esperienze dei coniugi sui dilemmi quotidiani nella cura in un unico concetto principale: “oscillare in un rapporto instabile” che si declina in tre sotto-temi: “fare la cosa giusta in situazioni quotidiane imprevedibili”, “essere combattuto tra pazienza e senso di colpa” e “vivere in un tempo di incertezza, speranza e disperazione”.
- Fare la cosa giusta in situazioni quotidiane imprevedibili: si tratta di un sentimento di responsabilità nell’aiutare il proprio partner a vivere una vita il più normale possibile. I coniugi hanno mostrato una grande compassione per la situazione di vita, oltre che per i gravi sintomi con cui il partner viveva, tuttavia, si trovavano nel dilemma di voler aiutare il partner a mantenere l’autodeterminazione all’interno della propria posizione, dei ruoli e dei valori che li caratterizzavano prima della malattia, ma che erano cambiati con la malattia. I coniugi vivevano una battaglia quotidiana: volevano mostrare rispetto nei confronti del partner come persona, ma trovavano difficile gestire i cambiamenti dei partner senza farlo sentire compromesso. L’imprevedibile modo di essere dei partner rendeva i coniugi più attenti a come si comportavano e parlavano con il partner. Avere una normale conversazione reciproca con il partner su ciò che era giusto o sbagliato è diventato difficile. Inoltre, in caso di partner con deficit cognitivi, i coniugi hanno espresso la sensazione di sentirsi eccessivamente responsabili della presa di controllo sulla pianificazione della giornata: si trovavano spesso in un dilemma in cui il partner voleva essere coinvolto, ma non ne aveva la capacità, cosa che si traduceva in irritabilità. Sentirsi responsabili di far funzionare la vita quotidiana del proprio partner significa anche aiutare il partner in attività quotidiane come la doccia, vestirsi, servire il cibo e assumere farmaci. I coniugi dovevano fronteggiare la mancanza di autoconsapevolezza dei bisogni da parte del partner: spesso erano intrappolati in situazioni in cui il partner aveva bisogno di aiuto, ma lo rifiutava. I coniugi si sono sentiti disperati tra il prendere decisioni a nome del loro partner quando il loro partner ha avuto bisogno di aiuto, e l’irritabilità del partner quando l’aiuto gli è stato dato.
- Essere combattuto tra pazienza e senso di colpa: si riferisce a sentimenti contrastanti di lotta per rimanere paziente con il cambiamento di comportamento e di personalità dei partner e il senso di colpa per la loro impazienza. Alcuni coniugi hanno espresso che essere sempre vigili e attenti alle fluttuazioni d’umore dei loro partner ha contribuito nel tempo alla sensazione di cedere a un partner sleale, al punto di sembrargli sbagliato fare tutto per il partner per tutto il giorno, per poi essere accolti con irritabilità.
- Vivere in un tempo di incertezza, speranza e disperazione: si riferisce a un sentimento conflittuale tra speranza e disperazione relativamente a come si svilupperà la vita futura dei partner. La maggior parte delle interviste rifletteva una preoccupazione circa come continuare a vivere con il partner, che era molto cambiato rispetto al periodo precedente alla malattia. Pertanto queste persone sperimentavano al contempo speranza per la sopravvivenza del partner e disperazione intesa come “se sopravvivesse non riuscirei a gestire i problemi e i comportamenti imprevedibili del partner”. Questi pensieri erano seguiti da un altro dilemma morale conflittuale: sapere che al partner non piacerebbe essere curato da un servizio di assistenza domiciliare o stare in una casa di cura e deludere il partner se decidesse di lasciare che altri si prendano cura di lui. Per queste ragioni, i coniugi si trovavano a sperimentare un altro dilemma, riguardante ciò che loro stessi hanno definito “pensieri proibiti”: non si sentivano pienamente felici quando le analisi segnalavano stabilità o segni di miglioramento del partner.