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Il fenomeno dei centenari e ultracentenari nel mondo: gli aspetti presi in considerazione

Nel corso del 21° secolo ci sarà una crescita importante del numero di centenari, tanto da stimare oltre 20 milioni di centenari nel mondo nel 2100.

Di Giulia Fontanel

Pubblicato il 29 Gen. 2021

Se ci si concentra all’interno dell’Unione Europea, l’invecchiamento della popolazione è particolarmente rapido, ciò sembrerebbe dovuto alla bassa fertilità e alla riduzione della mortalità per vecchiaia. I paesi europei che hanno il maggior numero di centenari sono Spagna, Francia, Grecia e Italia.

Fontanel Giulia – OPEN SCHOOL, Psicoterapia Cognitiva e Ricerca Mestre

 

Insieme al progressivo invecchiamento demografico degli over 80, anche il numero di centenari nel mondo sta aumentando sempre più rapidamente (Teixeira et al., 2017). Nel 2015, la Population Division of the United Nations (UNDP) stima che nel 1990 si contavano all’incirca 96000 centenari; mentre, nel corso del 21° secolo ci sarà una crescita importante, tanto da stimare oltre 20 milioni di centenari nel mondo nel 2100 (Robine et al., 2017).

Se ci si concentra all’interno dell’Unione Europea, l’invecchiamento della popolazione è particolarmente rapido, ciò sembrerebbe dovuto alla bassa fertilità e alla riduzione della mortalità per vecchiaia (Teixeira et al., 2017). Basti pensare che nel 2006 la popolazione europea costituita da persone centenarie si aggirava a circa 57306 individui e, negli ultimi decenni, ogni dieci anni il numero dei centenari è raddoppiato. I paesi europei che hanno il maggior numero di centenari sono Spagna, Francia, Grecia e Italia, con oltre 20 centenari per 100000 abitanti (Teixeira et al., 2017).

L’Istat nell’ultimo rapporto Cent’anni e non sentirli (2019) mostra come l’Italia sia il paese più longevo d’Europa e con il numero di ultracentenari maggiore: 14456 e la maggior parte di loro, corrispondente all’ 84%, è composto da donne. La maggior parte dei centenari italiani risiede nelle regioni del Nord Italia; in primis, la regione con il più alto rapporto tra semi-supercentenari, ovvero anziani che raggiungono e superano i 105 anni, e popolazione è la Liguria con 3,3 centenari ogni 100 mila abitanti, seguita dal Friuli-Venezia Giulia (3 centenari per ogni 100 mila abitanti). Sempre secondo l’Istat, se si prende in considerazione il rapporto tra semi-supercentenari e la popolazione residente over 80 il Friuli-Venezia Giulia si posiziona al primo posto. Non a caso, nel 2014, a Trieste è stato istituito il progetto CaT: Centenari a Trieste, il cui obbiettivo è quello di raccogliere più dati possibili di tutti i centenari residenti a Trieste e provincia, sulle malattie presenti, passate, sulle loro capacità cognitive e sulla relazione tra caratteristiche biologiche e genetiche (Tettamanti et al., 2018).

Questa veloce crescita da un lato richiede riflessioni urgenti da parte del welfare, dall’altro corrisponde a una sfida, e un interesse, per la psicologia dell’invecchiamento (De Beni et al., 2015).

Ma perché la psicologia è così interessata a questo nuovo fenomeno? Per prima cosa, sarebbe utile comprendere meglio le peculiarità e gli aspetti psicologici, come fattori di personalità, processi cognitivi, aspetti emotivo-motivazionali, che contraddistinguono questa popolazione; in secondo luogo, ci si chiede se è possibile generalizzare e quindi attribuire ai centenari le conoscenze dell’invecchiamento psicologico che si associano alla fascia 65-85 anni (De Beni et al., 2015).

Ci sono diversi modi per classificare gli anziani centenari, uno di questi è quello che prevede l’assenza o presenza di patologie legate all’età di Everts e colleghi (2003). Secondo questa classificazione è possibile distinguere centenari:

  • Survivors – sopravvissuti, anziani ai quali è stata diagnosticata una demenza, o in generale deficit cognitivi, prima degli 80 anni;
  • Delayers – ritardatari, centenari ai quali i deficit sopracitati sono stati diagnosticati all’età di 80 anni o successivamente;
  • Escapers – fuggitivi, ovvero quelle persone che hanno raggiunto i 100 anni “sfuggendo” alle trappole dell’invecchiamento, quindi senza alcuna diagnosi di demenza o deficit cognitivo.

Come sottolineato dal rapporto dell’Istat Cent’anni e non sentirli (2019), vi sono molte più donne che arrivano e superano la soglia dei 100 anni rispetto gli uomini. Però, sebbene le donne abbiano un’aspettativa di vita più lunga rispetto al genere maschile, gli uomini che riescono a raggiungere il secolo mostrano una salute e una performance cognitiva migliore rispetto a quella delle donne.

Infatti, sembra emergere che la prevalenza di differenza di genere nei centenari sia dovuta alla morbilità, ovvero alla presenza in contemporanea di più disturbi, e alla disabilità, ovvero una perdita specifica di funzioni mentali e fisiche. A tal proposito, si osserva una maggiore frequenza di morbilità nelle donne, mentre una maggiore frequenza di disabilità negli uomini (Terry et al., 2008). In altre parole, gli uomini per poter arrivare a quest’età devono essere quasi del tutto indipendenti e in un’ottimale stato di salute rientrando, il più delle volte, nella categoria dei fuggitivi.

Andare ad indagare i profili cognitivi degli anziani centenari non è cosa facile in quanto ci sono diverse difficoltà che i ricercatori devono affrontare, come somministrare test specifici che permettono di valutare le singole funzioni cognitive che solitamente si utilizzano negli anziani più giovani. Un altro problema nel quale si incorre è che molti centenari presentano deficit sensoriali, soprattutto inerenti all’udito e alla vista; anche per questi motivi, in letteratura non ci sono molti studi che indagano ciò.

Luczywek e colleghi (2007) hanno comparato un gruppi di 10 centenari fuggitivi a un gruppo di controllo di 65 anni su una serie di test che vengono utilizzati spesso, con particolare interesse per quelli verbali e visuo-lessicali. Lo scopo era di capire se ci fossero delle differenze nella manipolazione e nel mantenimento dell’informazione tra i due gruppi a confronto.

I risultati hanno mostrato una differenza significativa per i test verbali, mentre nei test visuo-spaziali la performance tra i due gruppi è similare; è importante però sottolineare che l’esecuzione delle prove dei centenari è stata più lenta rispetto al gruppo di controllo.

La longevità è il risultato di un insieme di fattori, come quelli ambientali e genetici, che contribuiscono all’aumento dell’aspettativa di vita. Con il progredire dell’invecchiamento però si può incorrere in diverse malattie e disturbi come infarto, diabete, ictus ecc. Se si vanno ad analizzare gli stili di vita dei centenari si noterà che, all’interno della loro dieta, la verdura ha un grande peso considerando anche il fatto che ai tempi della guerra era difficile o costoso procurarsi carne e/o pesce; l’alcool viene assunto in piccole quantità, solitamente durante i pasti; il fumo è quasi del tutto assente; amano stare in compagnia della propria famiglia e fanno lunghe passeggiate (De Beni et al., 2015). Quello che invece è ancora poco chiaro è cosa determini il mantenimento dei processi cognitivi e perché alcuni centenari, i cosiddetti fuggitivi, mostrino funzioni cognitive intatte, mentre altri incorrano in un deterioramento cognitivo precoce.

E’ stato osservato (Kliegel et al., 2004) che mantenere attivi i processi cognitivi è d’aiuto ai centenari per proteggersi dai deficit tipici della longevità. In particolare, i centenari che non hanno smesso di dedicarsi ad attività intellettive (viaggiare, fare parole crociate, occuparsi dei propri soldi in banca ecc.) sembrano avere un vantaggio importante per il loro stato cognitivo.

Gli obiettivi che i diversi studi dovranno porsi in futuro, molto probabilmente, dovranno concentrarsi sullo studio approfondito delle abilità cognitive, magari ideando e utilizzando test ad hoc per l’età del campione, analizzare più adeguatamente le variabili emotive, di personalità e motivazionali anche tenendo in considerazione il diverso atteggiamento nell’affrontare la vita quotidiana da parte del centenario.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • De Beni, R., & Borella, E. (Eds.). (2015). Psicologia dell'invecchiamento e della longevità. Il mulino.
  • Evert, J., Lawler, E., Bogan, H., & Perls, T. (2003). Morbidity profiles of centenarians: survivors, delayers, and escapers. The Journals of Gerontology Series A: Biological Sciences and Medical Sciences, 58(3), M232-M237.
  • Kliegel, M., Zimprich, D., & Rott, C. (2004). Life-long intellectual activities mediate the predictive effect of early education on cognitive impairment in centenarians: a retrospective study. Aging & Mental Health, 8(5), 430-437.
  • Luczywek, E., Gabryelewicz, T., Barczak, A., Religa, D., Pfeffer, A., Styczynska, M., ... & Barcikowska, M. (2007). Neurocognition of centenarians: neuropsychological study of elite centenarians. International Journal of Geriatric Psychiatry: A journal of the psychiatry of late life and allied sciences, 22(10), 1004-1008.
  • Robine, J. M., & Cubaynes, S. (2017). Worldwide demography of centenarians. Mechanisms of Ageing and Development, 165, 59-67.
  • Teixeira, L., Araújo, L., Jopp, D., & Ribeiro, O. (2017). Centenarians in Europe. Maturitas, 104, 90-95.
  • Terry, D. F., Sebastiani, P., Andersen, S. L., & Perls, T. T. (2008). Disentangling the roles of disability and morbidity in survival to exceptional old age. Archives of internal medicine, 168(3), 277-283.
  • Tettamanti, M., & Marcon, G. (2018). Cohort profile:‘Centenari a Trieste’(CaT), a study of the health status of centenarians in a small defined area of Italy.
  • ISTAT (2019). I centenari in Italia.
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