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La reazione emotiva e comportamentale di fronte alla situazione di emergenza nello specifico caso del Covid-19

Molte persone hanno risposto al Covid-19 con un crescendo di paura, ansia e depressione e forti reazioni allo stress anche da parte del corpo

Di Adriana G. A. Catania

Pubblicato il 15 Dic. 2020

Quest’anno contemporaneamente in tutto il mondo si sono sperimentate le stesse emozioni per una situazione di emergenza comune. Cosa ci è successo psicologicamente e fisicamente durante l’emergenza della pandemia da Covid-19?

Adriana G. A. Catania – OPEN SCHOOL Psicoterapia Cognitiva e Ricerca Bolzano

 

‘Pandemia’ è stata per buona parte della prima metà del 2020 il termine che ha fatto capolino tra le principali notizie giornalistiche quotidiane. Parliamo di pandemia, così come da specificazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (2020), per indicare un’epidemia di rapida diffusione attraverso territori e continenti. Poco dopo l’inizio del 2020 il nostro Paese, più o meno contemporaneamente ad altri Stati del Pianeta, si è trovato, quindi, ad affrontare quella che è stata definita ‘La situazione di maggiore emergenza dal secondo dopo guerra’ (Conte, 2020), ovvero il SARS CoV-2.

Ma come abbiamo e stiamo reagendo? E cosa vuol dire trovarsi in uno stato di emergenza di questa portata?

Quello che possiamo evidenziare è che sicuramente una delle primissime conseguenze di questa situazione è stata una messa alla prova delle capacità di resilienza di tutta la popolazione mondiale. Molte persone hanno avuto risposte psicologiche che hanno visto un crescendo di paure, ansie e depressione (Wang et al. 2020). L’insorgere di questi stati psicologici è uno dei motivi per cui maggiormente si è parlato da parte del Ministero della Salute, dall’Ordine Nazionale degli Psicologi e dall’Organizzazione Mondiale della Sanità dell’importanza di poter fornire un supporto per garantire il benessere psicologico della popolazione, che tutta, in maniera più o meno diretta, è stata colpita dallo stravolgimento causato dal Covid-19.

Paura e Ansia

Sono state citate paura e ansia e queste sembrano assomigliarsi e per certi versi confondersi, va fatto quindi un chiarimento per definirle e differenziarle brevemente. La paura è innanzitutto un’emozione basilare e innata per l’uomo, permette un’attivazione al fine di tutelare la sopravvivenza stessa dell’organismo. Essa è diversa dall’ansia, nonostante possa sembrare simile per via dell’intenso stato di preoccupazione che caratterizza entrambi gli stati emotivi. Una delle caratteristiche principali per comprendere la differenza tra questi due stati emotivi è legata alla presenza del pericolo nel tempo presente. La paura è la preoccupazione rispetto ad un pericolo che è attualmente presente; se volessimo rendere la paura con una metafora, potremmo dire che essa è quell’emozione che abbiamo di fronte ad un leone. L’ansia è più legata ad uno stato preparatorio e/o prolungato nel tempo di preoccupazione per un possibile pericolo che potremmo dover affrontare, ma che ancora non si è palesato di fronte a noi (o che, invece, si è presentato in passato e che attiva un vissuto d’ansia per timore del suo possibile ripresentarsi). Se volessimo riprendere la metafora, l’ansia sarebbe la preoccupazione per l’arrivo di un leone. In un momento come quello che abbiamo attraversato, parti di popolazione hanno dovuto affrontare l’emergenza del virus in prima linea (come ad es. infermieri, medici, conducenti di ambulanze e altre figure), altri l’hanno affrontata comunque come minaccia, anche se non vivendo direttamente la malattia; possiamo ipotizzare un diverso coinvolgimento emotivo o comunque una diversa intensità di emozioni in base all’esposizione con il manifestarsi del Covid-19. Come indicato dalle varie indagini condotte sulla popolazione è stato dimostrato che, prima in Cina nel dicembre 2019 e poi in Europa nel febbraio 2020, ci sia stato un grande incremento della sensazione di paura percepita, (Asmundson, & Taylor,2020) tant’è che si è parlato anche di Coronaphobia. Dal momento in cui la minaccia si è rivelata incerta e continua, come nell’attuale pandemia di coronavirus (Covid-19), il vissuto di paura che è stato esperito più o meno da tutta la popolazione, ha finito per diventare pervasivo e si è manifestato in tante delle sue variabili di intensità. Esperire questa emozione è fondamentale per la nostra difesa e sopravvivenza, proprio in virtù del suo carattere adattivo e attivo per proteggerci, quanto d’altro canto la sua presenza prolungata può diventare cronica e gravosa.

Cos’è un’emergenza

Per parlare della reazione di paura di fronte all’emergenza Covid-19, dobbiamo anche far chiarezza su ciò che si definisce concretamente come uno stato di emergenza, e cosa si associ ad esso. La definizione più comune di ‘emergenza’, fa riferimento ad una situazione particolarmente critica. Emergenza è: una circostanza imprevista, accidente, e, sull’esempio dell’ingl. emergency, a particolare condizione di cose, un momento critico, che richiede un intervento immediato, soprattutto nella locuzione stato di emergenza (Enciclopedia Treccani).

Al concetto di emergenza si associa, quindi, strettamente quello di rischio definito come eventualità di subire un danno connessa a circostanze più o meno prevedibili. Vivere un’emergenza ci pone direttamente nella condizione di sentire su di noi l’eventualità di essere a rischio. Le emergenze possono avere un impatto psicologico importante poiché attivano un vissuto di rischio percepito che può essere vissuto in maniera distorta e amplificata, sino ad arrivare a vissuti di panico, si associa a comportamenti sempre meno razionali, e con sé attiva la catena di risposte biologiche dell’organismo con conseguenze sul corpo e sulla salute psicologica. Vivere eventi emergenziali, nel breve termine, produce effetti transitori e che non comportano danni permanenti, mentre un’emergenza prolungata provoca degli effetti anche permanenti e dannosi sul benessere psicofisico. Questo accade perché l’evento critico è di per sé molto attivante, porta ad un drastico cambiamento rispetto alla situazione precedente all’emergenza e possiamo definirlo con il termine stressor: un elemento del mondo esterno che altera l’equilibrio interno dell’uomo. Inoltre, le persone in un momento di emergenza vedono uno sconvolgimento delle proprie abitudini e sviluppano un senso di impotenza verso tutto ciò che le circonda, che appare come pervaso da forze distruttive e non controllabili. Le domande del mondo esterno in un momento di crisi arrivano con una velocità maggiore rispetto alla capacità di elaborazione degli stimoli esterni che ci è necessaria per produrre una risposta. Attorno all’emergenza si concentrano anche ansie per il futuro, paure per ciò che è percepito come un pericolo nel presente ed emerge un’idea di insicurezza.

E cosa succede al nostro corpo?

Il nostro cervello ricerca sempre l’omeostasi e uno stressor come un evento straordinario emergenziale di questo calibro ci fa perdere l’equilibrio omeostatico e il corpo reagisce con una risposta a questo stress. Durante le emergenze, o quelle che riteniamo emergenze, nel corpo umano si attiva il sistema simpatico (Salpolsky, 2004), questo si trova in prima linea in quegli stati quale vigilanza, eccitazione, attivazione, mobilitazione. Le terminazioni nervose di questo sistema rilasciano l’adrenalina e la noradrenalina, sostanze che possiamo definire messaggeri chimici, che in rapidità mettono in moto i vari organi del nostro corpo. L’adrenalina nello specifico ci pone nella condizione che Cannon definisce flight o fight, ovvero lotta o fuga, quindi ci permette di attivare uno stato fisico e mentale che ci prepara all’azione. È Seyle che ci spiega nel dettaglio le 3 fasi della risposta allo stress:

  • Abbiamo uno stadio iniziale di allarme che si innesca nel momento in cui percepiamo lo stressor;
  • Un secondo stadio di adattamento o resistenza che cerca di ripristinare lo stato allostatico del nostro organismo;
  • Infine, se lo stress si percepisce prolungato nel tempo si entra nel terzo stadio detto di esaurimento.

La situazione Covid-19 si è protratta nel tempo rappresentando uno stato di allarme prolungato e, come abbiamo accennato, un eccessivo prolungamento di uno stato di allarme si traduce poi in conseguenze di malessere per il corpo e per la salute psicologica. Parallelamente all’attivazione fisiologica segue l’attivazione emozionale. Tra le emozioni che si attivano, troviamo la paura che salvaguarda la nostra sopravvivenza ponendoci in uno stato di preparazione all’azione per affrontare la minaccia.

La paura nel caso del Covid-19 si è presentata in diverse sfumature, rivolta al sé, alla propria salute e quindi alla propria sopravvivenza, o a quella di chi ci stava vicino, la paura di perdere qualcuno di caro; il tutto esperito in intensità molto variabili sino ad arrivare a mettere in atto anche comportamenti fobici per evitare il contagio per paura della malattia; vi è stato chi ha sentito la paura di rimanere solo ed isolato a causa della malattia o per via del contatto con persone malate; la paura è stata anche riconducibile alle conseguenze sul piano economico e personale causato dalle misure di chiusura e contenimento che sono state adottate per porre un freno ai contagi; infine, la paura è stata vissuta fortemente da persone che presentavano anche una predisposizione a sviluppare sintomi fobici da prima del Coronavirus. Ad esacerbare questa emozione ha giocato un ruolo fondamentale anche la continua esposizione a notizie preoccupanti e allarmanti, a volte contraddittorie, che ci hanno ripetutamente accompagnati in questi mesi, senza che vi fosse la scelta consapevole di ridimensionare la quantità di tempo passato ad informarsi costantemente e da diverse fonti.

Concentrati a trovare una soluzione

I cambiamenti psicologici dovuti alla paura, inoltre, spesso si traducono nell’iper-focalizzazione sul problema. Tale focalizzazione ci porta a trovarci in un continuo stato di problem solving. Quindi uno stato di perenne ricerca di soluzioni. Legato a questo concetto di attivazione e spinta a trovare una soluzione per la situazione vissuta, è molto interessante l’articolo di MarwaAzab, ripreso dalla dottoressa Francesca Pisacreta, sulle 10 reazioni comuni che si sono presentate durante l’emergenza del Coronavirus. Questo elenco di 10 reazioni sembra spiegare bene tutti quei comportamenti che più o meno abbiamo visto accadere in noi o attorno a noi. Tra queste alcune possono farci comprende come ognuno di noi si è attivato con uno schema comune.

Tra questa rassegna di reazioni si citano di seguito alcune delle più interessanti e comuni.

Abbiamo sperimentato una totale mancanza di controllo, e questo è stato dimostrato essere uno dei fattori che aumentano maggiormente lo stress percepito. Avere la sensazione di avere un controllo inappropriato di fronte a situazioni che consideriamo ‘terribili’ (e il Covid-19 possiamo supporre lo sia stato) ci fa sentire fortemente impotenti e privi di risorse.

Abbiamo iniziato ad abbuffarci. Lo stress può alterare l’appetito. Alcuni sviluppando iperfagia altri ipofagia. Il tipo di stressor che ci troviamo ad affrontare può essere un fattore importante per capire quale delle due risposte si manifesterà in noi, e ovviamente la risposta singola che ogni corpo ha di fronte all’evento stressante. Trovarsi in emergenza può significare trovarsi prima o poi nella difficile condizione di poter non avere un pasto a disposizione, motivo per cui mettiamo nel nostro corpo le riserve necessarie per sopravvivere a tale evenienza. Tuttavia, la sensazione che la minaccia sia già qui fa attivare il nostro corpo con l’idea che i nostri muscoli dovranno muoversi, o almeno questo è quello che la nostra risposta allo stress mette in atto. Quindi abbiamo bisogno di energia e che questa sia disponibile nel modo più veloce possibile, quindi non funge da riferimento quella immagazzinata, bensì quella che ci possiamo procurare nell’immediato e che rifornisce subito i muscoli: parliamo del glucosio e delle forme semplici di proteine e grassi. Sarà per questo che siamo diventati tutti cuochi provetti e siamo andati ad assaltare i supermercati?

Ci è stato praticamente impossibile ripensare ad eventi disastrosi del passato e alla capacità già mostrata di poter far fronte a tali situazioni. Questa sarebbe stata una delle soluzioni ideali se non fosse che gli ormoni dello stress influiscono sulla memoria e quindi il passato non diventa una fonte di informazioni affidabile.

Abbiamo dato credito a fake news. Durante un’emergenza è la nostra amigdala a prendere il sopravvento, come conseguenza si attiva uno stato di iper-prudenza da parte del nostro cervello che tende a cadere in errore e a considerare credibili anche notizie verosimili e un po’ improbabili. Spesso ciò che si fa durante un forte stressor è andare a cercare il maggior numero di informazioni accurate possibili e soprattutto andiamo alla ricerca di quelle informazioni che ci sembrano prevedibili. Tuttavia, tutte queste informazioni, se giungono troppo presto o troppo tardi non sono più utili, anzi diventano stressanti esse stesse.

Alla luce di queste considerazioni, possiamo sottolineare come, i vissuti che questa particolare emergenza ha acceso sono stati come detto all’inizio una messa alla prova per la resilienza di ognuno di noi. Ma va detto anche che nonostante si siano esperiti per la maggior parte delle persone dei momenti di forte stress, preoccupazione e paura, altre persone hanno potuto avere delle esperienze, invece, non del tutto negative. Un vissuto positivo in questa situazione, per quanto possa suonare dissonante, è stato possibile in coloro che hanno potuto trovare un modo per rendersi conto della propria resilienza e delle strategie che hanno permesso loro di affrontare la situazione e poter dare anche un contributo alla comunità, donando a queste persone, quindi, un senso di efficacia che ha permesso loro di rispondere proattivamente a questa situazione.

Le considerazioni che ad oggi, in una fase successiva a quella dell’emergenza iniziale, possiamo fare sono innanzitutto quelle di avere cura e attenzione per i propri pensieri e per le proprie emozioni. Può essere fondamentale per chi ha sperimentato forti vissuti di sofferenza psicologica in questo periodo o per chi teme di svilupparli, potersi affidare ad un percorso di sostegno psicologico che, come accennato all’inizio, è una delle raccomandazioni degli Ordini degli Psicologi, così come degli altri enti della salute. Un percorso Cognitivo – Comportamentale può essere particolarmente adatto data la sua comprovata efficacia scientifica per la cura dell’ansia, del panico, dei disturbi dell’adattamento e altre patologie psicologiche. È necessario mirare ad un supporto che permetta di eliminare i fattori di mantenimento della sofferenza psicologica e di lavorare sui pensieri e sui comportamenti che sono alla base del vissuto di minaccia e sofferenza percepiti. Possiamo porre la nostra attenzione su una serie di considerazioni semplici e immediate per risollevarci da uno stato di paura pervasiva dovuta allo stress, come il circondarsi di una rete sociale che permetta un contatto emotivo e di supporto, trovare quindi fonti di affiliazione e supporto psico-sociale.

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