L’amnesia digitale, digital amnesia, si differenzia dall’effetto Google, Google effect, perché la prima si riferisce alla tendenza a dimenticare le informazioni che sono memorizzate su un dispositivo digitale, mentre il secondo nello specifico alla tendenza a dimenticare ciò che si può trovare facilmente utilizzando i motori di ricerca online.
PSICOLOGIA DIGITALE – (Nr. 14) Amnesia digitale ed effetto Google: la nostra memoria estesa
Anche se si tratta di due tendenze simili, ovvero dimenticare, sia intenzionalmente che involontariamente, informazioni che sono disponibili in formato digitale, amnesia digitale ed effetto Google non sono sinonimi.
L’amnesia digitale, digital amnesia, si differenzia dall’effetto Google, Google effect, perché la prima si riferisce alla tendenza a dimenticare le informazioni che sono memorizzate su un dispositivo digitale (come smartphone, tablet, computer), mentre il secondo nello specifico alla tendenza a dimenticare ciò che si può trovare facilmente utilizzando i motori di ricerca online.
L’amnesia digitale e l’effetto Google: cosa sono
Se adesso vi chiedessi quali sono i colori della bandiera della Nigeria probabilmente vi verrebbe in mente qualcosa ma non sareste sicuri della risposta. Così, lo chiedereste a Google. E Google vi risponderebbe in millisecondi e con esattezza, come sempre.
Siamo abituati ad ottenere risposte alle domande più disparate con un click. Nessuno sforzo, ormai è quasi un automatismo. Possiamo cercare – e trovare – su Google (o online in generale) qualsiasi informazione e curiosità, abbiamo accesso costante ad una memoria esterna illimitata.
A quanto pare ci siamo abituati a questa fonte illimitata e sempre disponibile di dati, tanto che abbiamo la tendenza a non ricordare informazioni che sappiamo di poter trovare facilmente online. E’ questo l’effetto Google, ovvero la tendenza a dimenticare le informazioni che possono essere facilmente trovate tramite motori di ricerca online.
I primi a descrivere il fenomeno sono stati Sparrow e colleghi nel 2011 che hanno testato quanto e come Internet sia diventata la nostra memoria esterna. I risultati principali della ricerca ci dicono che, anche quando sappiamo già la risposta, tendiamo comunque ad affidarci a Google per una verifica. In secondo luogo, tendiamo a non ricordare ciò che sappiamo essere disponibile online. Infine, è molto più probabile che le persone ricordino dove si trova l’informazione piuttosto che ricordare l’informazione stessa, proprio come se Google fosse una immensa libreria dove sappiamo dove andare a cercare ciò che ci serve quando ci serve.
Un altro enorme serbatoio di informazioni sono poi i dispositivi che usiamo quotidianamente, primo fra tutti lo smartphone. Alzi la mano chi si ricorda tutte le proprie password o chi sa ripetere – senza sbirciare sul cellulare! – il numero di telefono del partner. Pochi, e questo perché tendiamo ad affidare la memorizzazione di dati ai nostri dispositivi che riteniamo sempre a disposizione e sempre affidabili. Dimentichiamo quindi queste informazioni ed ecco perché questa dimenticanza viene chiamata ‘digital amnesia’. Il termine digital amnesia è stato coniato ufficialmente dal Laboratorio Kaspersky, un’azienda di sicurezza informatica che ha condotto una survey nel 2015-2016, prima in Europa e poi in Stati Uniti e India per un totale di oltre 6.000 rispondenti, per capire fino a che punto siamo dipendenti dalla tecnologia e il suo impatto sulla vita quotidiana.
In breve, l’immagine complessiva che ne è scaturita ci dice che Internet e dispositivi sono strumenti che vengono visti come ‘un’estensione del proprio cervello’ di cui non si può più fare a meno. Questa dipendenza non è ritenuta né un problema né un rischio, anzi gli intervistati si sono dichiarati contenti di poter fare affidamento su queste memorie esterne, anche quando sono consapevoli di non riuscire più a ricordare semplici dati come il numero di telefono del partner o un indirizzo. Sulla base di questi risultati il Kaspersky Lab ha coniato il termine “digital amnesia” – ovvero affidare la memorizzazione di informazioni a un dispositivo digitale.
Questa tendenza potrebbe avere un impatto sulla nostra memoria. C’è il rischio che la costante registrazione di informazioni sui dispositivi digitali ci renda meno propensi a trasferirle nella memoria a lungo termine e potrebbe anche incidere sul processo di memorizzazione, poiché usare solo la codifica digitale, per lo più visiva, rende più povero questo processo che di solito si avvale anche di altri input sensoriali.
Una nuova forma di memoria: la memoria transazionale digitale
Affidarsi a motori di ricerca o a dispositivi può essere considerata una forma di memoria transazionale (Sparrow et al., 2011). Quest’ultima, definita da Wegner nel 1985, implica la codifica, l’immagazzinamento e il recupero della conoscenza in maniera collettiva e condivisa tra membri di un gruppo. Gli individui sviluppano una “mente di gruppo”, una memoria estesa, un deposito condiviso di conoscenza. E’ un sistema potenziato, più complesso e potenzialmente più efficace di quello dei singoli. Pensiamo a sistemi come famiglia o ambiente di lavoro: i membri sviluppano una conoscenza di ciò che gli altri sanno (metaconoscenza) e sulla base di questa ogni individuo è consapevole di quali informazioni sono disponibili nel gruppo e da quale membro può recuperarle.
Wegner faceva riferimento a gruppi di persone; ora possiamo parlare di memoria transazionale digitale, dove il sistema è il mare magnum di conoscenza condivisa online.
L’amnesia digitale quindi non sarebbe che una risposta adattiva: includendo Internet e dispositivi come sistemi di memoria esterna sempre disponibili non si fa che modificare e ampliare risorse e modalità mnestiche.
Siamo sempre più in simbiosi con i nostri dispositivi digitali, sempre più interconnessi: abbiamo il vantaggio di avere accesso a una vasta gamma di informazioni. E quando le vorremo, sapremo dove e come cercarle.
EUROPEAN CONFERENCE OF DIGITAL PSYCHOLOGY
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