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Digital Phenotyping: sfide etiche e promesse di un nuovo strumento per il clinico – Psicologia Digitale

Il termine Digital Phenotyping indica la raccolta di dati online per identificare i comportamenti legati alla salute aprendo a nuove sfide e possibilità

Di Chiara Cilardo

Pubblicato il 02 Ott. 2020

Aggiornato il 11 Nov. 2020 14:28

La digital phenotyping, la fenotipizzazione digitale, consiste nella raccolta e utilizzo di informazioni digitali che lasciamo online allo scopo di tracciare profili psicofisiologici. 

PSICOLOGIA DIGITALE – (Nr. 13) Digital Phenotyping: sfide etiche e promesse di un nuovo strumento per il clinico

Cos’è il Digital Phenotyping

 La raccolta di dati online – grazie a dispositivi come smartphone, wearable devices o assistenti vocali – al fine di identificare i comportamenti legati alla salute è una pratica definita con il termine fenotipizzazione digitale (Onnela & Rauch, 2016; Mohr et al., 2020).

Nata più di 15 anni fa nell’ambito dell’informatica, viene indicata in vari modi come ‘context sensing’, ‘reality mining’, ‘mobile sensing’, ‘behavioral sensing’ e ‘personal sensing’; ma è solo con le prime pubblicazioni in ambito medico, a partire dal 2015, che si è cominciato a parlare di ‘fenotipizzazione digitale’, digital phenotyping, anche se per alcuni è preferibile il termine ‘personal sensing’ poiché fa un chiaro riferimento alla natura personale dei comportamenti e degli stati che vengono rilevati (Mohr et al., 2017; Mohr et al., 2020). I dati raccolti possono essere attivi o passivi a seconda che l’utente li inserisca attivamente o siano solo rilevati dal dispositivo.

La tutela dei dati personali

Non dovremmo più stupirci di quanti e quali dati vengono raccolti ma concentrarci su come utilizzarli e come approcciarci al loro utilizzo in maniera ottimale (Stanghellini e Leoni, 2020). Tracciare e conservare dati personali solleva sfide e rischi di carattere etico: come preservare la privacy in modo efficace? Per esempio, anche se i pazienti acconsentono a far monitorare il loro smartphone, c’è piena trasparenza e una profonda comprensione di quali dati saranno raccolti e come questi dati saranno utilizzati?

Alcuni di questi interrogativi possono avere soluzioni tecniche come mantenere i dati in locale e non in cloud, oppure come il servizio Takeout di Google che consente di conoscere e scaricare i dati personali condivisi, garantendo quindi la trasparenza per l’utente (Insel, 2018). Ci sono poi piattaforme nate in ambito scientifico (ad esempio, Beiwe, Purple Robot e Monsenso) che rispettando la privacy consentono la raccolta di dati in maniera efficace ai fini di studio e integrazione con gli interventi clinici (Huckvale et al., 2019).

E gli interventi terapeutici?

Stanghellini e Leoni (2020) sostengono che ci sia il rischio di de-materializzazione, di mettere da parte la relazione che è parte integrante del processo terapeutico. Se la fenotipizzazione digitale è un’opportunità per ampliare le conoscenze sui disturbi, il loro decorso e il loro esito, e un mezzo per monitorare i pazienti, trattandoli in modo tempestivo e continuo nel tempo, è pur vero che operare a distanza implica alcuni accorgimenti.

Uno dei timori infatti è che ci si concentrerà su comportamenti ed indici numerici piuttosto che sulla loro eziologia biologica o psicologica, tralasciando la comprensione del paziente. Focalizzati sul potere predittivo di queste tecnologie, i clinici rischiano di tralasciare lo studio e l’analisi qualitativa delle cause. Anche per i pazienti possono esserci dei rischi, come focalizzarsi eccessivamente sul monitoraggio alimentando paure eccessive e interpretazioni erronee di sintomi (ipocondria cibernetica).

Insel (2018) invece parla di problemi specifici ai quali il digital phenotyping può rispondere. Per esempio, le informazioni riportate direttamente dal paziente possono essere non accurate e obiettive; grazie a questo approccio invece abbiamo una misurazione oggettiva ed ecologica, nel contesto dell’esperienza vissuta. Inoltre, si può intercettare il bisogno di chi non cerca esplicitamente un supporto, come per coloro che arrivano all’attenzione del clinico a disturbo già conclamato; o ancora, aiutare a prevenire ricadute, andando a fornire segnali anticipatori. Attraverso raccolta e analisi di dati si può arrivare a promuovere comportamenti virtuosi, identificare condizioni non diagnosticate o la necessità di modifiche al trattamento, progettare interventi su misura, coinvolgere il paziente e monitorare il trattamento.

La promessa della fenotipizzazione digitale

Il rilevamento sistematico delle nostre impronte digitali ha un enorme potenziale. La fenotipizzazione digitale può dare un contributo valido in prevenzione, screening e diagnosi precoce, monitoraggio e trattamento: migliorare la comprensione dei disturbi e delle loro manifestazioni; fornire trattamenti mirati; raccogliere osservazioni obiettive; facilitare l’identificazione precoce di un problema; integrare i dati raccolti nei trattamenti (Huckvale et al., 2019).

Bisogna partire da un approccio multidisciplinare in cui medicina, psicologia e informatica collaborino nello sviluppare strumenti per la raccolta dati che tutelino la privacy e siano funzionali ed efficaci alla ricerca e pratica clinica; ancora, rendere la fenotipizzazione digitale oggetto di studi su vasta scala al fine di individuare standard e protocolli generalizzabili e poter combinarla con gli interventi digitali.

Come per tutti gli strumenti, rimane alla sensibilità clinica del terapeuta farne buon uso in maniera responsabile e nel modo più efficace possibile.

 


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