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Effetti positivi del lockdown su alcuni pazienti. Considerazioni tra psicoanalisi e psicologia evoluzionistica

Nonostante i numerosi effetti negativi del lockdown, alcuni pazienti psichiatrici sembrano aver riportarto un miglioramento nella sintomatologia

Di Lucia Pancheri, Giorgio Kotzalidis

Pubblicato il 30 Set. 2020

Osservando gli effetti del lockdown sui nostri pazienti, ci siamo accorti che molti di loro dicevano di essere stati meglio nel periodo del lockdown rispetto a come si sentivano nel periodo precedente. abbiamo cercato di capirne le ragioni sia nell’ottica psicoanalitica che nell’ottica della psicologia evoluzionistica

 

Abstract

L’esperienza del lockdown è stata un esperimento unico su cui è interessante riflettere. Accanto a tanti effetti psicologici negativi, su cui molto è stato scritto, noi abbiamo notato che alcuni pazienti psichiatrici sono stati meglio durante il periodo del lockdown e abbiamo cercato di capirne le ragioni sia nell’ottica psicoanalitica che nell’ottica della psicologia evoluzionistica, riferendoci in particolare alla teoria del sistemi motivazionali elaborata da Liotti et al. (2017).

Da questo punto di vista gli effetti positivi del lockdown sono stati riportati al gioco dei sistemi motivazionali, diversamente attivati durante il lockdown rispetto a quanto avveniva per questi pazienti nella vita di prima. In particolare riteniamo che i pazienti abbiano tratto sollievo dalla disattivazione del sistema agonistico, rigidamente attivato in precedenza nella posizione di sottomissione o nell’angosciosa alternanza di dominanza e sottomissione (tipica del disturbo bipolare), con le sue specifiche emozioni negative. Questa disattivazione è stata ricondotta sia al fatto che il confronto con gli altri aveva perso di importanza che all’attivazione dei sistemi collaborativo e affiliativo, particolarmente attivati dalla situazione di condivisione che ci siamo trovati a vivere, con le loro emozioni positive specifiche. Il sistema dell’attaccamento, fortemente attivato dalla minaccia alla propria vita, ha ottenuto risposte positive di ‘accudimento sociale’ da parte dei governi attraverso le misure restrittive, che forse anche per questo motivo sono state accettate più facilmente. Ciò ha permesso di sperimentare un senso di protezione in una società in cui le persone si sentono generalmente sole ed esposte. In molti casi inoltre un sollievo contro la disorganizzazione è stato ottenuto anche attraverso la messa in atto di ‘strategie controllanti accudenti’ nei confronti qualche persona cara da proteggere.

Dopo aver discusso sulla stabilità dei mutamenti positivi, si conclude notando che comunque il lockdown in molti dei nostri casi ha dato impulso al lavoro clinico.

Parole chiave: COVID-19, effetti positivi del lockdown sui pazienti, psicologia del sé, teoria dei sistemi motivazionali, sistema di rango, sistema collaborativo.

 

Si è parlato molto dell’impatto della situazione che stiamo vivendo rispetto al COVID-19 sulla psicopatologia (Bello & Caroppo, 2020; Hao et al., 2020; Hasan K. et al., 2020; Huang & Zhao, 2020; Odriozola-Gonzales et al., 2020; Qiu et al., 2020), soprattutto per quanto riguarda l’aumento di sindromi di tipo ansioso e depressivo e i disturbi da stress post-traumatico (Attili, 2020, Lei et al., 2020, Ozamiz-Etxebarria et al., 2020; Paci, 2020; Guerra, 2020). Qui vorremmo mettere a fuoco un aspetto meno trattato su cui ci è parso valesse la pena di riflettere. Osservando gli effetti del lockdown sui nostri pazienti, ci siamo accorti che molti di loro dicevano di essere stati meglio nel periodo del lockdown rispetto a come si sentivano nel periodo precedente e poi, quando il lockdown si è allentato e infine interrotto, hanno mostrato una certa ansia e difficoltà a riprendere la vita di prima.

La fenomenologia è molto varia. Parliamo di pazienti con psicosi che durante il lockdown hanno mostrato un’attenuazione dei sintomi psicotici, di adolescenti che avevano difficoltà a frequentare le lezioni per problemi di ansia da prestazione o di socializzazione con i coetanei, ma sono riusciti a seguire le lezioni on line, di persone con disturbi di personalità o patologie varie che hanno mostrato di stare decisamente meglio durante il periodo di chiusura. Per non parlare di tutti i casi in cui il lockdown ha rappresentato un’occasione di riflettere sulla propria vita introducendo cambiamenti positivi o ha consentito di rivitalizzare rapporti familiari prima dati per scontati o anche semplicemente di lavorare più rilassati e più concentrati in smart working.

Un articolo americano (Godpnik, 2020) riporta il fatto che bambini con ADHD sono riusciti più facilmente  a seguire le lezioni on line rispetto alle lezioni in classe. Un lavoro italiano (Bello, 2020) cita il fatto che nel periodo dei due mesi di blocco c’è stata in Emilia Romagna non solo una diminuzione dei ricoveri ospedalieri, ma si è verificata anche una riduzione dei TSO (trattamenti sanitari obbligatori). E’ interessante notare che un articolo comparso sull’Espresso durante il lockdown (Jesurum, 2020) riporta una risposta positiva anche nei pazienti ricoverati nella Rems di Volterra (‘Come se limitazioni del lockdown li avessero finalmente resi uguali agli altri fuori dalla Rems’ (Jesurum, 2020, p. 64)). Viene anche in mente il fatto che Durkheim (1897) sostiene che nei momenti storici in cui si verificano guerre e rivoluzioni diminuiscono i tassi di suicidio, cosa che l’autore riconduce al fatto che in queste situazioni si crea un maggior senso di comunità e la vita aumenta di significato.

Un discorso a parte meriterebbe il tema dei ricaschi positivi della terapia da remoto, in particolare attraverso Skype, cui possiamo solo accennare. A fronte di tanti aspetti negativi che i pazienti hanno lamentato e noi stessi abbiamo sperimentato, in certi casi abbiano notato che la terapia veniva facilitata e non solo per ragioni logistiche (come il fatto che i pazienti erano molto più puntuali e non saltavano le sedute). Qualcuno ha affermato di essersi sentito più libero nel parlare a distanza, osservazione confermata da altri lavori (Bello et al., 2020), altri si sono sentiti più concentrati, in altri casi la possibilità di focalizzare il volto dei pazienti in primo piano ha consentito al terapeuta di cogliere meglio certe emozioni, mentre la possibilità di vedere l’ambiente in cui i pazienti vivevano ha fornito informazioni importanti sull’atmosfera della casa, per esempio sulla disorganizzazione che regnava in famiglia, sull’intrusività dei familiari e il livello di privacy. Nell’articolo sopracitato (Godpnik, 2020), recentemente apparso sul New Yorker, che riporta le opinioni di svariati psicoanalisti e psicoterapeuti della città di New York, qualcuno ha messo in evidenza il fatto che su Skype l’interazione dei volti in primo piano appare più intensa e drammatica, mentre il feedback del proprio volto fornisce al terapeuta un prezioso rispecchiamento per gestire l’interazione.

A questo punto ci è parso che la situazione meritasse una riflessione più approfondita.

Vignette cliniche

Come altri (Fagiolini, 2020, Zito, 2020) anche noi abbiamo innanzitutto notato un attutirsi dei sintomi nei pazienti più gravi.

Un giovane di trent’anni con gravi sintomi depressivi e crisi ricorrenti in cui soffriva di deliri paranoidi e allucinazioni, ossessionato dal senso di inadeguatezza perché non riusciva ‘a combinare niente’ in una famiglia di persone di successo, in occasione del lockdown ha cominciato a seguire una serie di corsi on line che quando frequentava nella realtà ad un certo punto interrompeva sempre, riuscendo per la prima volta a condurli a termine. Quindi ha iniziato ad accettare di fare dei piccoli lavori che prima, quando gli venivano offerti, rifiutava perché non soddisfacevano le sue aspirazioni grandiose. Questo giovane, che chiedeva continuamente denaro per pagarsi costosi divertimenti e comprarsi nuovi gadget sostanzialmente superflui, manifestando scoppi di aggressività se gli venivano negati, ha accettato senza protestare di non comprarsi più niente per tutto il tempo della quarantena e invece di litigare ininterrottamente con l’anziana madre che poneva un freno alle sue spese, ha cominciato a prendersi cura di lei, facendo la spesa e cucinando. Durante tutto il periodo del lockdown, senza che la terapia farmacologica venisse corretta, questo giovane non ha avuto crisi contrariamente a quanto avveniva in precedenza. In questo caso, al termine del lockdown le manifestazioni psicopatologiche sono riprese in modo attenuato, centrandosi sul timore dei contagi.

L’abbandono delle spese compulsive si è verificato anche in un adolescente che presentava gravi rituali ossessivi e stereotipie, che gli impedivano di arrivare puntualmente a scuola, e che esasperava i genitori, chiedendo continuamente regali, situazioni che provocavano continue scenate familiari con grida, percosse, a volte perfino ferimenti, che spaventavano i vicini tanto da indurli a chiamare la polizia. Trattandosi di una famiglia molto disorganizzata, la terapeuta temeva che la convivenza forzata facesse degenerare la situazione, invece le cose sono andate meglio. Il ragazzo ha diminuito i rituali perché non aveva più l’ansia di andare a scuola ed è riuscito a seguire le lezioni online, perché, se ritardava un po’, la madre oscurava il video finchè il figlio non sopraggiungeva, poi gli riassumeva quello che aveva perso. Per tutto il tempo del lockdown il ragazzo non ha chiesto nessun regalo. Istintivamente la madre ha trovato un sistema geniale per contrastare la disorganizzazione familiare e contenere le ossessioni del figlio: fare poche cose e sempre le stesse in una successione costante. La giornata era scandita in fasi sempre uguali, tra lezioni on line,  ginnastica in terrazza, spesa, bucato, stenditura dei panni in terrazza, cucina, pranzo e così via, tutti avevano un compito e dovevano rispettarlo. La madre, che si è prodigata tantissimo, alla fine ha detto: ‘Mio figlio è ossessivo e questa organizzazione ferrea lo ha aiutato. Il lockdown per noi è stato un bene perché ci ha contenuti. Bisognava convivere per forza e ce l’abbiamo fatta. Siamo stati di più una famiglia’. Al termine della quarantena il ragazzo, che aveva interrotto le stereotipie, ha potuto diminuire la terapia farmacologica.

Una paziente di venticinque anni che soffre di un disturbo bipolare di tipo 1, durante la quarantena ha chiesto di aumentare le sedute (su Skype) da una a tre, cosa che in precedenza aveva sempre rifiutato perché freneticamente impegnata a perseguire un successo irrealistico in un’attività letteraria, dopo di che è riuscita a riflettere sulla sua malattia come mai aveva fatto in precedenza: se prima le interpretazioni sulla grandiosità delle sue aspettative avevano più che altro l’effetto di irritarla o di deprimerla, nella calma concessa dalla quarantena la ragazza ha ripreso lei stessa il discorso, iniziando un’elaborazione delle fantasie grandiose e delle dissociazioni che dominavano le sue fantasie e i suoi comportamenti. Questo ha aperto un discorso tuttora in corso sul proprio falso sé (Winnicott, 1960) e sull’autenticità, sulle aspettative dei genitori nei suoi confronti e su quello che veramente lei voleva, conducendo alla decisione di cambiare la facoltà universitaria. Mentre prima la terapia era focalizzata sul presente, nella calma indotta dal lokdown la ragazza ha sentito l’esigenza di tornare sul suo passato, cercando per la prima volta di ricostruire la storia della sua malattia, portando diari, fotografie e una serie di sogni in cui cercava di riordinare la casa, chiedeva ai professori di integrare le diverse materie scolastiche (gli aspetti dissociati di sé), e infine ritrovava con gioia una amica perduta, che portava molte cicatrici, ma era affascinante (sé stessa prima della malattia). Essendo costretta a vivere a stretto contatto con i familiari, mentre prima stava fuori casa tutto il giorno, ha preso coscienza delle dinamiche competitive e della reciproca svalorizzazione che dominavano i rapporti nella sua famiglia, dopo di che ha cercato di  migliorare le sue relazioni con i familiari con cui prima era sempre in conflitto: con una serie di lettere e colloqui separati ha spiegato ad ognuno di loro il proprio punto di vista, cercando, contrariamente alla regola dominante in famiglia, di vedere in ognuno degli altri qualche aspetto positivo, preoccupandosi del benessere di ognuno di loro, superando così molte incomprensioni. Infine, potendo seguire i propri tempi, ha iniziato a scrivere un’opera autenticamente creativa, ispirata proprio all’esperienza del lockdown, che ha voluto condividere con la terapeuta e che ha intitolato ‘Succede molto, anche se non succede niente’. In questo caso il trend positivo è continuato dopo la fine della quarantena con effetti imprevedibili.

Pazienti con disturbi di personalità, nevrotici o comunque che presentavano una debolezza del sé, che sopportavano a fatica il lavoro, perché non riuscivano a fornire le prestazioni richieste senza ansia eccessiva, sono riusciti più facilmente a lavorare da casa. Una manager trentacinquenne che soffriva di insonnia e ansia in rapporto alle richieste di un capo esigente e lunatico, ma che non riusciva a risolvere la situazione, avendo una struttura di personalità per cui doveva sempre soddisfare le richieste che le venivano fatte, anche le più assurde, allontanandosi dalla situazione concreta per passare allo smart working, è riuscita a creare un distacco, ha superato l’ossessivizzazione sulla sua rabbia e impotenza a risolvere la situazione, ha migliorato il sonno, dopo di che si è messa a pensare di trovare un altro lavoro, cosa che prima era così angosciata e depressa che non riusciva neppure a immaginare di fare. In questo caso l’impasse che si era creata nella situazione di lavoro si era riprodotta in terapia nel senso che anche la terapeuta si sentiva impotente di fronte all’angoscia della paziente. Anche qui la brusca interruzione introdotta dal lockdown ha consentito di intraprendere il discorso sull’autenticità e sul vero sé, che sottostavano alle angosce della paziente. Alla fine del lockdown la paziente si è messa a cercare un casa da acquistare ampliando gli orizzonti della sua vita, ma soprattutto si è accorta che il capo era più sopportabile perché lei riusciva a dire qualche volta di no. Questa paziente aveva detto subito che la pandemia era per lei ‘la manna dal cielo’, tanto che si era creata una rottura (Wolf, 1984), poi riparata, dell’alleanza terapeutica perché la terapeuta non era riuscita subito a empatizzare con qualcuno che fosse così contento nella tragedia collettiva che si stava vivendo.

In questo caso, come in altri casi di pazienti con una struttura di personalità di tipo compiacente, persone che non riuscivano a sottrarsi a richieste e impegni sgradevoli, in occasione del lockdown hanno trovato una giustificazione sociale per rifiutare le richieste che non riuscivano o non volevano soddisfare e si sono sentite meno oppresse.

In qualche caso il lockdown ha interrotto una vita insoddisfacente, creando un break, che ha consentito di dare una svolta positiva alla vita. Il caso più eclatante è quello di un uomo, ormai vicino alla cinquantina e prossimo alla fine della terapia, iniziata molti anni prima per una complessa sintomatologia ormai risolta, che è stato sorpreso dal lockdown in un’altra città, mentre si trovava a trascorrere il weekend con una ragazza. Quest’uomo, che aveva avuto molte donne, ma non aveva mai sperimentato un rapporto veramente intimo, si proponeva sempre di cambiar vita senza mai provarci sul serio. All’inizio del lockdown si è sentito perduto, perché viveva solo ed era abituato ad uscire con gli amici quasi tutte le sere per divertirsi. Poi, potendo lavorare in smart working ha deciso di trascorrere la quarantena a casa della ragazza con cui si trovava. Pian piano si è accorto che poteva sopportare un rapporto di convivenza, cosa che prima aveva sempre temuto di affrontare, e addirittura con suo grande stupore ha sentito che stava meglio rispetto a quando viveva da solo. Verso la fine del lockdown ha sentito che ‘Era venuto il momento di smettere di fare soltanto il fico’ e  con la sua compagna ha cominciato a fantasticare di fare un figlio. Appena interrotta la contraccezione, la gravidanza si è, secondo le sue parole, miracolosamente subito realizzata. Dopo una prima reazione di panico, elaborata attraverso la terapia da remoto, il paziente ha chiesto di tornare alla terapia in presenza, chiedendo di intensificare le sedute per affrontare questa nuova fase della sua vita, che prima auspicava, ma poi aveva sempre paura di iniziare. Al ritorno in terapia il paziente era un po’ ingrassato, ma contento. Ha detto: ‘Ora non mi importa se ingrasso un po’, perché non devo più sedurre, ora devo pensare alla famiglia. Senza il lockdown non lo avrei mai fatto’. Adesso sta ristrutturando la sua casa da scapolo per fare fronte alla nuova situazione. E potremmo continuare.

Meccanismi degli effetti positivi del lockdown

Sui meccanismi di questi effetti si possono fare varie riflessioni.

Il lockdown ha rappresentato innanzitutto un contenimento, che per molti è stato utile. Un paziente ha affermato che ‘Finalmente c’era una regola’ a cui attenersi, un altro ha parlato del lockdown come di una ‘megacuccia protettiva’ che gli ha consentito due mesi di tranquillità e una maggior concentrazione sul lavoro (in smart working). Non a caso i due pazienti citati che soffrivano di shopping compulsivo hanno sopportato di non comprarsi più niente per due mesi: lo Stato ha potuto imporre il contenimento che i genitori non riuscivano a fornire ed è interessante notare che questi pazienti non hanno compensato la privazione aumentando le spese on line, come se avessero avuto bisogno proprio di un contenimento esterno alla famiglia per interrompere la spinta interna a comprare o come se avessero meno bisogno di contrastare la depressione attraverso gli acquisti.

In qualche caso possiamo pensare che avere un nemico esterno possa comportare dei vantaggi dal punto di vista psicologico. Nel caso del giovane trentenne con i deliri paranoidi si può pensare che di fronte a un pericolo reale la paranoia venga mascherata e tenuta a freno dal fatto che c’è un nemico esterno, il virus, condiviso socialmente contro cui esternalizzare la persecuzione, potendo così difendersene e lottare concretamente contro qualcosa di reale e condiviso. Inoltre la paura del contagio normalizza un certo grado di sospetto e di ritiro nei confronti degli altri e giustifica il ritiro sociale. In questo modo aumenta l’aderenza alla realtà e la quota di psicoticità diminuisce. Ma anche in casi meno gravi avere un nemico esterno contro cui organizzare una difesa può aver aumentato la coesione del sé.

In molti casi il lockdown ha rappresentato un’occasione unica di fare un break nella propria vita, di riflettere su cosa è più importante, di riordinare le priorità e magari di dare una svolta alla propria vita. Questo è il caso del cinquantenne, che ha deciso di fermarsi e costruire una famiglia e in parte si è verificato anche per la ragazza col disturbo bipolare, ma è stato verbalizzato un po’ da tutti i pazienti che hanno percepito un aumento di benessere durante il lockdown. La psicologia del sé si richiamerebbe all’idea di un progetto nucleare del sé (Kohut, 1977) o della propria agentività (autodeterminazione) recuperati. Non a caso i temi dell’identità, dell’autenticità, del vero e del falso sé sono apparsi più frequentemente nelle sedute di questo periodo e anche nei sogni (sogni in cui si perdono i documenti e si cercano affannosamente, in cui si guardano le proprie fotografie, ma non ci si riconosce, si cerca qualcosa che manca oppure si riordina la casa scoprendo qualcosa di bello che non si era visto prima). I pazienti, pur sottoposti alle restrizioni imposte dal governo, hanno avvertito un senso di libertà rispetto agli obblighi da cui prima si sentivano oppressi e nel silenzio creato dal lockdown hanno cominciato a chiedersi cosa contava veramente per loro con una frequenza maggiore rispetto a quanto avveniva nella vita di prima, in cui non avevano mai tempo.

Nella maggioranza dei casi però non c’è stata una svolta della vita, ma la persona, pur sottoposta alle restrizioni della quarantena, ha percepito di stare meglio. Molti, che prima non riuscivano ad avere rapporti soddisfacenti o comunque si sentivano soli ed emarginati, durante il lockdown hanno potuto sentirsi meno diversi: non solo l’isolamento non era più stigmatizzato, ma hanno potuto sperimentare una sorta di condivisione, che ha diminuito la loro solitudine. Altri che prima soffrivano perché si sentivano incapaci di ottenere le prestazioni che secondo loro gli altri riuscivano ad ottenere o perché non riuscivano a realizzare le proprie aspirazioni, ora avevano una giustificazione sociale per quello che non riuscivano a fare. In effetti la sofferenza dovuta all’isolamento sociale, all’emarginazione e al confronto con gli altri diminuisce quando si pensa che nessuno ha niente.

Per capire di più queste reazioni ci è parso utile rifarci, oltre che alle teorie psicoanalitiche, a cui ci siamo riferiti fin qui, anche alla teoria dei sistemi motivazionali, recentemente elaborata in campo cognitivista (Liotti et al., 2017).

La teoria dei sistemi motivazionali e le strategie controllanti

Basandosi sulla teoria dell’evoluzione, sul modello proposto da Jackson (1884) e sulla visione dei tre cervelli di MacLean (1973), Liotti (Liotti & Farina, 2011, Liotti et al., 2017) ha ipotizzato l’esistenza di un sistema motivazionale tripartito, selezionato attraverso l’itinerario evoluzionistico, organizzato gerarchicamente, riconducibile rispettivamente ai tre cervelli che nel corso dell’evoluzione si sono sovrapposti: il cervello rettiliano, il cervello limbico e la neocorteccia.

Al primo livello dell’architettura motivazionale si pongono i sistemi che impegnano le reti neurali del tronco encefalico e regolano condotte che riguardano il mantenimento dell’omeostasi corporea, la ricerca di cibo, la difesa dalle minacce alla sopravvivenza, la delimitazione del territorio, l’esplorazione e la sessualità di tipo rettiliano (che non prevede la formazione di coppie). Il secondo livello coinvolge moduli cerebrali situati a livello limbico, che regolano le interazioni sociali finalizzate alla richiesta di protezione, all’offerta di cura, alla definizione del rango sociale, alla cooperazione per realizzare obiettivi condivisi, alla formazione e al mantenimento di coppie sessuali stabili, al gioco sociale e al perseguimento dell’appartenenza a gruppi. Questi sistemi, definiti sistemi motivazionali interpersonali, in quanto regolano i diversi aspetti delle relazioni umane, attivano comportamenti e emozioni specifici. Al terzo livello, che impegna reti neurali della neocorteccia, si collocano sistemi che regolano la tendenza a condividere l’esperienza con altri esseri umani (intersoggettività), la tendenza a mentalizzare e a costruire significati. I sistemi motivazionali sono sempre attivi, alternandosi durante le nostre interazioni sociali.

Ai fini del nostro discorso aggiungiamo che nel caso di un genitore violento, abusante o anche depresso o eccessivamente inerme, l’attivazione contemporanea del sistema di attaccamento, quando il bambino si trova in uno stato di vulnerabilità, e del sistema di difesa, se il genitore invece di proteggere incute paura o comunque non riesce ad essere protettivo, determina nel bambino una situazione di ‘paura senza soluzione’ che disorganizza il sistema di attaccamento (Main M. & Hesse E., 1990): il bambino si trova a fronteggiare vissuti angoscianti e ingestibili legati ad immagini dell’altro (e di sé) multiple e contradditorie – che rimandano ai prototipi del salvatore, del persecutore e della vittima (Ivaldi, 2004)-, le quali possono provocare stati di coscienza alterati e disorganizzare il comportamento. Partendo da questa visione Liotti (Monticelli et al., 2008) ha proposto un’interpretazione delle ‘strategie controllanti’, che i bambini con attaccamento disorganizzato sviluppano dai tre ai sei anni di età per controllare il rapporto altrimenti ingestibile con la figura di attaccamento (Lyons-Ruth, & Jacobwitz, 2008). Secondo Liotti questi bambini, nei momenti in cui sarebbe logico aspettarsi un’attivazione del sistema di attaccamento, per evitare le dolorose emozioni legate all’oscillazione delle immagini di sé e dell’altro, inibirebbero difensivamente il sistema di attaccamento e cercherebbero di gestire il rapporto con la figura di attaccamento attivando un sistema motivazionale (interpersonale) vicariante, dando luogo a una strategia controllante. In particolare la strategia controllante accudente, che caratterizza bambini che si preoccupano della figura di attaccamento, offrendole aiuto e conforto, è stata riportata all’attivazione vicariante del sistema di accudimento, mentre la strategia controllante punitiva, che comporta comportamenti ostili e umilianti nei confronti della figura di attaccamento, è stata riportata all’attivazione vicariante del sistema di rango. Liotti (2008) ha messo in evidenza la possibilità di un’ulteriore strategia controllante che utilizza il sistema di rango in posizione di sottomissione e che si vede ad esempio nelle personalità compiacenti.

Interpretazione degli effetti positivi del lockdown alla luce della teoria dei sistemi motivazionali

Se osserviamo gli effetti positivi del lockdown dal punto di vista della teoria dei sistemi motivazionali sopradescritta, possiamo avanzare alcune ipotesi:

1.La prima cosa che salta agli occhi è che durante il lockdown la sofferenza legata all’attivazione del sistema agonistico (di rango) in modalità sottomessa e perdente con le sue specifiche emozioni negative (sensi di inferiorità, indegnità, sconfitta, umiliazione, vergogna, rabbia, invidia, tristezza) diminuisce notevolmente, producendo sollievo, perché le differenze tra chi ha di più e chi ha di meno, chi ha più successo e chi non ce l’ha, chi vince e chi perde ecc. non contano più come prima. Diminuisce la competizione perché non c’è niente per cui competere. Un paziente ha detto ‘Nella fase 1 siamo diventati tutti uguali’. Un altro ha detto che perfino il suo modo di fare sport è cambiato col lockdown, da meramente agonistico a un modo di percepire e aumentare il proprio benessere. Un altro, che svolge un lavoro creativo all’interno di una grande azienda, ha affermato di esser passato dal lavoro come dovere imposto al lavoro come divertimento.

Questo effetto è stato particolarmente evidente nel caso delle patologie depressive, così legate al sistema agonistico (Onofri & Tombolini, 2003): nei casi da noi riportati lo si vede bene nei tre pazienti con psicosi (anche il disturbo bipolare è stato legato alla periodica oscillazione del sistema agonistico dalla subroutine della dominanza a quella della sottomissione). Ma anche in casi in casi meno gravi le persone che si sentivano costrette a subire le intemperanze di capi autoritari da cui non riuscivano a difendersi o le personalità compiacenti che non riuscivano mai a rifiutare quello che veniva loro richiesto, hanno trovato una giustificazione per evitare di fare le cose sgradevoli per cui si sono sentite più libere e meno arrabbiate.

2. La situazione che si è creata con la pandemia ha incrementato le emozioni positive e i comportamenti legati al sistema cooperativo. Anche grazie all’azione dei media il virus ha contagiato tutti emotivamente e la condivisione si è estesa al pianeta. Se prima i propri dolori erano vissuti in solitudine o comunque in modo individualistico, con questa pandemia la condivisione di emozioni dolorose come la paura del contagio e della morte, l’ansia per la vulnerabilità e la precarietà, condivisione che coinvolgeva nella vita reale gli stessi terapeuti, ha reso queste emozioni più gestibili e inoltre è stato possibile sperimentare i sentimenti positivi specifici del sistema cooperativo, come la gioia da condivisione, l’empatia, la fiducia. La condivisione è stata alla base dell’usanza degli aperitivi su Skype che non a caso si è immediatamente diffusa. Qualche paziente ha notato che la cooperazione è aumentata anche in famiglia. La cooperazione a sua volta sblocca l’agonismo, perché l’attivazione dei due sistemi motivazionali (cooperazione e rango) è in competizione (un paziente ha detto ‘Succede come nei funerali, nel comune dolore i rancori si placano’). L’attivazione del sistema  cooperativo è stata alla base del successo dei flash mob sui balconi sul tema del coronavirus con manifestazioni varie di solidarietà a favore dei medici o di altre categorie impegnate nella lotta contro la pandemia, che hanno caratterizzato in molte città il periodo del lockdown. L’appello alla collaborazione e all’empatia è anche la lezione che studiosi di varia provenienza hanno tratto dall’esperienza della pandemia (Carrara, 2020, Franceschini, 2020, Lombardi, 2020, Truong, 2020).

È interessante notare che durante il periodo del lockdown in Italia il gradimento e l’appoggio al governo che imponeva le restrizioni è salito, mentre aumentava il fastidio per le polemiche dell’opposizione al punto che queste hanno preferito moderare (almeno temporaneamente) i toni.

3. Anche il sistema affiliativo è apparso attivato, con i sentimenti positivi che comporta, in quanto le persone si sono sentite parte di un gruppo di ‘noi’, come ‘quelli che hanno paura’ o ‘che soffrono’ o ‘si difendono’ o ‘lottano’ o ‘sperano’ ecc. Non a caso Durkheim (1897) aveva riportato la diminuzione dei suicidi nei momenti di guerre e rivoluzioni al senso di comunità. Un paziente ha affermato che l’imbarazzo che prima provava a presentarsi come italiano è scemato di fronte all’esempio che l’Italia ha dato di disciplina e compattezza di fronte alla sfida del coronavirus rispetto ad altri paesi, per cui una volta tanto si è sentito orgoglioso di essere italiano.

4. In molti casi anche il sistema dell’accudimento è stato sollecitato perché c’era qualcuno di cui preoccuparsi e che doveva esser protetto (persone anziane, persone con patologie fisiche o psichiche), provando sentimenti come tenerezza protettiva, sollecitudine, amore di tipo genitoriale. Spesso la messa in atto di una strategia controllante accudente (Lyons-Ruth & Jacobvitz, 2008) ha consentito di tenere a bada la disorganizzazione. Questo è evidente nell’atteggiamento nei confronti della madre messo in atto dal paziente con psicosi, dalla ragazza col disturbo bipolare e soprattutto dalla madre del ragazzo ossessivo.

5. Il sistema di attaccamento a sua volta, fortemente attivato dalla paura del contagio e dal senso aumentato di vulnerabilità, per molti si è attivato anche per quanto riguarda le emozioni positive legate al raggiungimento della meta del sistema (senso di protezione, sicurezza, rilassamento, fiducia), in quanto il lockdown e l’atteggiamento direttivo imposto dal governo hanno dato a molti il senso di ricevere una protezione, che non avvertivano più in una società in cui tutti si sentono soli, esposti e impotenti. Il contenimento stesso è una forma di accudimento. Questo forse è un motivo per cui le misure restrittive sono state accettate più facilmente. Sappiamo che in altri paesi rispetto all’Italia, come ad esempio il Regno Unito, dove il lockdown è stato imposto con ritardo, il senso di insicurezza è stato avvertito molto di più che in Italia.

6. Il fatto di sbloccare il sistema agonistico rigidamente attivato in precedenza, ha dato modo a molti di sperimentare altri registri di emozioni, arricchendo la vita di emozioni positive prima precluse, legate ad altri sistemi motivazionali, incentivando modi diversi di entrare in relazione e dando luogo a una serie di cambiamenti. E’ il caso della paziente che non sopportava il capo e che è riuscita a sbloccare la polarizzazione sulla rabbia e il vittimismo, cercando un nuovo lavoro e poi una nuova casa riuscendo ad ampliare gli orizzonti delle sua vita, ma soprattutto incrementando il percorso psicologico di ricerca di sé.

Nella fase 2 questo equilibrio è cambiato e questo ci spiega il ritorno dell’ansia in molte persone. Un paziente, che svolge un’attività di libero professionista, ha detto: ‘Quando nessuno si aspetta niente stai bene, con la fase 2 ricominciano le aspettative tue e degli altri. Se il lavoro non c’è, ti senti incapace’.

Queste idee, derivate dalla teoria dei sistemi motivazionali non ci sembrano in contrasto con le spiegazioni offerte dalla psicoanalisi, ma ci sembrano offrirne un’utile integrazione.

Conclusioni

L’esperienza del lockdown è stata un grande test, sui cui risultati potremo riflettere a lungo. Accanto a tante ripercussioni negative del lockdown sui pazienti, su cui molto è stato detto, abbiamo notato che diversi pazienti sono stati meglio durante questo periodo.

Per capire questi effetti abbiamo cercato di vederli da più punti di vista. Alcuni effetti clinici positivi li abbiamo spiegati con le teorie della psicoanalisi e soprattutto della psicologia del sé, in particolare quelle relative al falso sé (Winnicott, 1960) e alla ricerca dell’autenticità, che qualcuno considera come il fine dell’analisi (Neri, 2006) e del proprio progetto interno (Kohut, 1977); il lockdown ha favorito l’emersione di questi temi in molti pazienti, nel momento in cui si interrompeva il rumore del mondo esterno con le sue pressanti richieste e si creava uno spazio per pensare. Mentre altri casi li abbiamo spiegati alla luce della teoria dei sistemi motivazionali elaborata da Liotti (2018), chiamando in causa la particolare attivazione di questi sistemi durante il periodo del lockdown rispetto a quanto avveniva normalmente nella vita di prima. In particolare il benessere che soprattutto alcuni pazienti gravi hanno mostrato di provare ci è parso legato alla disattivazione del sistema di rango, in precedenza per lo più attivato in modalità sottomessa, e alla maggior attivazione dei sistemi motivazionali collaborativo e affiliativo, in precedenza piuttosto bloccati, nonché alla possibilità di controllare la disorganizzazione mettendo in atto delle strategie controllanti accudenti nei confronti di qualche persona percepita come fragile o in difficoltà a cui i pazienti erano legati. L’effetto positivo sui pazienti depressi da noi rilevato non è necessariamente in contrasto con l’aumento di depressioni legato allo scoppio della pandemia stimato da Guerra (2020), assistant director general for strategic initiatives dell’OMS, dato che la sua previsione include i nuovi casi, legati non solo alla pandemia, ma anche alla grave crisi economica che ne è seguita.

In tutto ciò certamente ha contato l’atteggiamento dei terapeuti nei confronti del lockdown nel senso che gli autori di questo articolo hanno subito sentito che si trattava di un esperimento unico, che poteva avere effetti positivi sui pazienti, sia per la possibilità di condurli più facilmente ad approfondire il lavoro su sé stessi, a ripensare alla propria vita e a raggiungere una maggiore autenticità, sia per il fatto di disinnescare il sistema agonistico e dare spazio al sistema collaborativo, secondo quanto i terapeuti stessi stavano sperimentando nelle loro vite. Mai come in questo caso infatti si è creata una situazione di condivisione della vita tra pazienti e terapeuti. Va comunque detto che in un caso la risposta di una paziente è stata opposta, nel senso che l’atteggiamento comunque positivo della terapeuta di fronte alla situazione creata dalla pandemia, ha suscitato un senso di lontananza e una reazione rabbiosa.

Naturalmente ci siamo chiesti se il lockdown abbia fornito sollievo solo temporaneo, per esempio consentendo ai pazienti di evitare situazioni sociali stressanti (in questo caso colludendo con la patologia) o sbloccando solo per un tempo limitato alcune situazioni irrigidite oppure abbia comportato dei veri e propri miglioramenti clinici. E’ difficile dirlo. Intanto bisogna distinguere. Nei casi in cui la ricerca di sé ha portato a dei movimenti positivi nella realtà, la situazione cambia comunque, perché cambiano le relazioni e si innesca qualcosa di nuovo. Il caso più eclatante è quello del ‘Peter Pan’ cinquantenne che ha deciso di fermarsi e formare una famiglia, ma anche nel caso della manager con l’ansia da prestazione o della ragazza col disturbo bipolare i movimenti positivi hanno innescato delle reazioni a catena da cui non è facile tornare indietro.

Nei casi in cui il benessere del paziente è stato temporaneo, a parte il fatto che due mesi di sollievo psicologico per chi sta male non sono comunque da disprezzare, anche il semplice fatto di avere sperimentato un equilibrio psicologico differente a cui prima non si poteva accedere può avere un valore sia per i pazienti che per le loro famiglie e per i terapeuti: sappiamo che è possibile stare meglio e sentire diversamente, possiamo ricordarlo e richiamarci al benessere provato in quei momenti, ma soprattutto nella terapia possiamo comprendere i meccanismi di quello che è accaduto e lavorarci insieme al paziente. In ogni caso questa esperienza ha dato un impulso al lavoro terapeutico.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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